Sabbia

Per quanto tempo si può camminare nel nulla?

Mi sembra di non aver mai visto altro che questo deserto.

Soltanto sabbia, sabbia e ancora sabbia.

Sotto di me e sopra di me. Nient’altro che sabbia.

Da dov’è che vengo? Non lo ricordo più. Dov’è che vado? Non so neppure questo.

La sabbia deve essersi infilata attraverso ogni piccola fessura del mio corpo fin nel cervello e aver coperto ogni cosa. Non c’è passato, non c’è futuro, soltanto un’infinita, uniforme, distesa rossiccia. Non mi resta che camminare, camminare, camminare. La direzione non importa, ma camminare. Camminare, perché fermarsi significa morire.

Fa impressione morire.

Li vedo, i morti, sotto la sabbia. Nei loro sguardi non c’è pace, ma torbida agonia. Hanno gli occhi spalancati, come la bocca, sempre che la faccia non gli sia stata strappata via da qualche animale affamato. Pensa te, non avere più nemmeno un volto o un nome da offrire al mondo. Che barzelletta triste, la vita.

Eppure, qualche volta, lungo il cammino, mi è sembrato di riconoscere, in alcune di quelle testoline ossute, qualcuno. Una volta, ad esempio, vidi quello che restava del capo di un uomo. Aveva la mandibola spaccata e pensai che, poverino, non avrebbe potuto più mangiare in quelle condizioni. Chissà che fame che aveva. Piansi, ma, siccome nel mio organismo non vi era più acqua, piansi senza lacrime. Tuttavia, mentre, accovacciata nella sabbia, silenziosamente compativo quell’anima sfortunata, una lucertolina di un verde brillante come le foglioline primaverili andò a posarsi proprio nella bocca del mio amico. Allora, un peso mi si tolse dal petto, il cuore mi si alleggerì, e risi, per la prima volta, dopo tanto tempo.

Se tutto questo sia accaduto davvero, non saprei dirlo. Forse è stata un’impressione, un’allucinazione. La solitudine, la fame e la sete giocano brutti scherzi alla memoria. A volte, addirittura, mi sembra che nel cielo stellato la luna mi guardi, oscena. Sembra quasi che lo faccia apposta a illuminare quei pezzi magri di corpi e di volti che sbucano dalla sabbia gelida. Come se mi dicesse di guardarli bene, mentre diventano sabbia a loro volta. Come se mi sussurrasse che è tempo anche per me di fermarsi. Di lasciare che la sabbia mi entri in bocca e che gli avvoltoi mi pizzichino gli occhi. Ma io so a cosa vuole arrivare e non ascolto il suo bedtalking.

«Lo so che lo fai con tutti, bagascia.»

Allora, non abbasso più lo sguardo, e non lo alzo nemmeno. Guardo fisso davanti a me un punto lontano, all’orizzonte, e cammino, cammino, cammino. Perché, se non cammini, la sabbia ti prende, e sei soltanto un altro di quei volti secchi e bianchi senza nome.

Fai silenzio, sgualdrina di una luna. Lo so bene, prima o poi la sabbia mi afferrerà. Ma l’uomo è una bestia pavida e preferisce illudersi che per lui la regola non valga, che in qualche modo si salverà. E, allora, chiudo gli occhi e spero che la pioggia arrivi presto a lavare via la sabbia dai vestiti, dalla pelle, dalla mente, dagli occhi tristi dei dannati. Soltanto questo miraggio mi dà la forza ancora di camminare.

E, quindi, cammino.

Cammino.

Cammino.

Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ciao Viviana, ben arrivata e complimenti per questo primo racconto che condividi. Mi piace sia lo stile, che la struttura, che le diverse strade interpretative che lasci aperte. Spero di leggerti ancora presto.

  2. è la tua prima pubblicazione qui, e direi che è un esordio di tutto rispetto. Una fantasia variamente interpretabile ma rigorosa sul piano strutturale e , soprattutto, scritta davvero bene. Complimenti.