Salvati

Serie: Due soldati


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Le sorti di Carlo nelle campagne di Pietro.

Nel frattempo, il convoglio che trasportava mio nonno era giunto a destinazione; ancora una volta, la sua scodella me ne indica il nome nei caratteri incerti della parola Sadauen. La banca dati degli internati italiani offre una carta geografica che colloca il posto nell’attuale Polonia, in un’area poco più ad est di Danzica. Stando alla dicitura Stalag IF con cui viene registrato, doveva trattarsi di un campo di prigionia per sotto-ufficiali e militari di truppa, la cui numerazione rimandava ad una specifica appartenenza distrettuale. Sulla latta, altre cifre formano la breve serie 2149: tanto poco pareva bastasse per rivolgersi a chi fino ad allora aveva vissuto da uomo.

Al vagone merci si sostituirono precarie baracche di legno, quantomeno riscaldate da delle stufe.

Adattandosi a poco a poco alle nuove condizioni, i prigionieri si fecero più audaci, sgattaiolando fuori di notte in cerca di cibo. Di solito, non potevano confidare in qualcosa di meglio delle bucce di patata scartate dai sorveglianti tedeschi: un bottino tanto più misero se considerato alla luce dei rischi corsi per accaparrarselo. Le scorze così guadagnate venivano abbrustolite sulla superficie rovente delle stufe.

Si dice che il loro sia tra i più sgradevoli dei sapori; non a caso, da allora mio nonno non ha più potuto soffrire le patate, neppure quando ben cotte e usate a guarnizione di un succulento arrosto.

In un primo periodo, al suo gruppo venne assegnato il compito di scaricare le navi attraccate nel vicino Mare del Nord. Incoraggiati dai crescenti morsi della fame, i detenuti si ingegnavano a trafugare dello zucchero per addolcire la brodaglia che gli valeva da pasto. Più tardi, furono spostati nell’officina di un fabbro; fu soprattutto al riparo di quelle pareti che la clemenza del vecchio caposquadra risparmiò loro quante più fatiche possibili. In quella figura presero forma le speranze di Maria, si materializzò per il figlio una protezione simile a quella che lei aveva dato a Carlo.

Con ogni probabilità, l’uomo doveva essere un kapo, ossia un prigioniero di razza ariana a cui era stata affidata una funzione di comando su altri deportati. Di norma, i kapo dimostravano una completa adesione alla politica scelta dalle SS per la gestione dei campi; ciò nonostante, il personaggio in questione, quasi avesse afferrato il più esteso abominio nazista, era riuscito a serbare un germe di umanità nel più profondo degli inferni. Impietosito dall’aspetto macilento dei prigionieri, in fabbrica concedeva loro frequenti pause; aveva preventivamente stabilito un segnale per richiamarli al lavoro nel caso di un controllo da parte delle autorità superiori.

Naturalmente, i suoi isolati accorgimenti, non risparmiarono ai detenuti i gesti atroci di altri; anche nella storia di mio nonno, ci furono molti di quelli che Levi avrebbe chiamato “sommersi”. Un solo episodio ne valga da conferma. In occasione di un rancio, un prigioniero pescò dalla propria sbobba i resti di un topo. Disgustato, si azzardò a gettarne via l’intero contenuto: fu fucilato seduta stante. Così redarguiti, i compagni mangiarono senza esitazioni pur consapevoli che, se sul momento alle loro scodelle di topi non ne erano toccati, comunque dovevano aver sguazzato nella brodaglia che portavano alla bocca.

Nonno tornò a casa nel settembre del 1945. La sorte si intestardì a iscriverlo nel registro dei salvati, quasi che avesse letto quella sulla sua gavetta come una promessa inappellabile.

Dei segni tracciati sul recipiente, mi resta infatti da ricordare una manciata di parole, le più importanti:

– MAMMA – Ò – FAME – MA – NON – MORIRÒ –

Serie: Due soldati


Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. E’ veramente molto bella e commovente la tua storia che sa di famiglia e di rapporti umani speciali. Sullo sfondo la guerra, ottime ricostruzioni storiche e accattivanti descrizioni paesaggistiche. Mi unisco al coro dei nostri colleghi sul fatto che il finale è veramente ‘luccicante’. Bravissima

  2. Scritto davvero bene. La parte finale mi ha commossa. Tendiamo a scordarci troppo spesso del passato, invece dovremmo tenerlo vivo. Ora mi vado a recuperare anche le puntate precedenti.

  3. A me piace scrivere di guerre e battaglie, però amo l’aspetto avventuroso e anche tecnico, ma sono consapevole che queste cose hanno un aspetto sgradevole e squallido: orrore, disperazione, distruzione… A volte mi sento un mostro ma sono uno scrittore e il mio “servizio militare” è stato giocare a soft air cinque anni e mezzo, non mi sento un assassino (poi è vero, non è che i soldati siano dei sadici che godono nel provocare sofferenza). Insomma, io scrivo, che colpa ne ho! Questa riflessione è dovuta alla lettura del tuo librick