
San Rocco
Evviva Sando Rocco e Sando Rocco evviva.
È la voce di un uomo a cantare. Una voce greve, a tratti incerta, rotta dal pianto imminente. Intorno è buio. Il cigolio di una porta interrompe la nenia. Il nero si squarcia svelando il contesto. Una cintura appesa al lampadario, un corpo a terra. E poi un cane, un bracco pezzato, a leccargli la mano tra un guaito e l’altro. La luce, ora fortissima, abbaglia la stanza e una voce sottile, quasi un sussurro, svela un’altra presenza.
“Bentrovato Giuseppe.”
Il cane scodinzola. L’uomo a terra, sorprendentemente, balza in piedi.
“Chi é?” domanda portando la mano alla fronte per ripararsi dalla luce.
L’altro non risponde.
“Chi é?” Ripete.
“Non mi riconosci? Eppure sei stato tu a chiamarmi.”
L’uomo non capisce, fa un passo avanti, strizza gli occhi e poi, finalmente sembra riconoscere il visitatore.
“E mo te ne vieni?”
Come dici? Chiede l’altro venendo in avanti.
“So murt?”
“Come dici?” Ripete conciliante.
“Ho morto?” Specifica allora l’uomo.
Il visitatore sorride benevolo.
“Che mi combini Giuseppe?”
L’uomo tace, con la testa china e le mani in tasca prende a sfottere la sedia.
“Peppino, allora? Come stanno le tue bambine?”
“Stanno bene.”
“E tua moglie?”
“Bene pure lei.”
“E tu come stai?”
“Eh, si tira a campare.”
“Brutta affermazione questa, lo sai?”
“Che volete dire?”
“Voglio dire che la vita non é un fardello da tirare col rimorchio e tu non sei un somaro.”
“E vabbun, non sarò un somaro, come dite voi, ma mi ho stangato lo stesso come un ciuccio a tirare e tirare sempre. D’estate e d’inverno, ciongato o con la febbre. E mai nessuno mi dice: camin Peppin, nan’accssind, damm a me.”
“Come dici?”
“Nessuno mi dice: Dai Peppino, non ce la fai, ti aiuto io . Ognuno pensa al fratello suo.”
“E non siamo tutti fratelli?”
“No, non al fratello di sangue ma al fratrello, quello che avete detto prima: il peso, il sacco.”
“Il fardello?”
“Eh il fradelo suo, sì.”
“Giuseppe, ti capisco, adesso sei arrabbiato ma ricordati che beati sono i poveri perchè di essi è il regno dei cieli”.
“Signorsì e mentre che aspettiamo questo regno dei cieli, crepiamo di fame sulla terra.”
Il visitatore gli sorride compassionevole. Poi riprende:
“Giuseppe, fratello mio, è la rabbia che parla per te adesso. Non devi mai, mai dimenticare che gli ultimi su questa terra saranno i primi nel regno dei cieli.”
“Quand cazzat!”
“Come dici?”
“Dico: QUANDE CAZZATE.”
“Ma perchè, Giuseppe?”
“Perché se sei povero, devi sperare di morire presto per andare a riposarti nel regno dei cieli. Se invece sei ricco devi campare il più possibile perché ti aspetta l’inferno. Insomma, come la fa e la fai, te la prendi sempre in faccia al naso.”
“Oppure puoi essere un uomo giusto, aiutare gli altri, rinunciare alle ricchezze.”
L’uomo si ferma a guardare con sincera curiosità il visitatore, poi gli si avvicina e lentamente chiede:
“Ma, ti si vist?”
“Come dici?”
“Ti hai visto? Con tutto quell’oro addosso.”
Il visitatore esita un attimo, china la testa e si guarda le braccia. Poi, con un moto di impazienza, replica:
“Cosa c’entra? Me lo avete messo voi quest’oro addosso.”
“E come no!”
“Sì, Giuseppe, me lo avete messo voi. Voi con le vostre richieste, con il baratto, con la compravendita. Con la corruzione. Pensate che tutto si risolva col denaro: la salute, la felicità, persino il paradiso per voi si possono comprare con due collane e 4 bracciali. Vuoi la verità Giuseppe, a me quest’oro mi intralcia, per me è un maledetto peso.”
“E dammelo a me, me lo prendo io questo peso se tu ti prendi la fame di mia figlia. Io a mia figlia non la posso guardare in faccia. Mi vergogno e mi dispero perchè appresso alla fame, vedo lo stesso disgraziato futuro mio. La verità é che a me del paradiso tuo non me ne frega proprio niente. Posso morire dannato tra le fiamme dell’inferno. A me mi interessa di vivere adesso. Mi interessa la dignità.”
Il visitatore, serrando la mascella per trattenere un’ondata inaspettata di rabbia, si mette in piedi e avvicina la faccia a due centimetri dall’uomo. I due ora si toccano.
“La dignità? La d i g n i t à! È questa per te la d i g n i t à?” Dice prendendo tra le mani una catena d’oro.
“Prendila. Coraggio, prendila.”
Si stacca di dosso il monile e lo lascia cadere ai piedi dell’uomo.
“Questa è per la salute.”
Indietreggiando prende a strapparsi anche gli altri ori: un bracciale, poi un anello, un crocifisso.
“Questa per le cambiali, per la casa, per la macchina, per la spesa. Dai Giuseppe che aspetti? Prendi tutto e vediamo se così sei più felice, se ti passa la voglia di morire. Prendila la d i g n i t à. Coraggio, prendila.”
La porta sbatte con violenza. La stanza piomba nuovamente nel buio. L’uomo è di nuovo solo, ma stavolta è in piedi. La cinta regge i pantaloni. Nelle tasche i pugni sono stetti. È il momento di tornare a casa. Manca da 2 giorni. Chissà cosa starà pensando Ida, sua moglie. Le mostrerà gli ori che stringe tra i pugni e le dirà la verità, che San Rocco lo ha salvato dalla miseria e dalla morte.
Quell’estate del 1949 Giuseppe, detto Peppino, fu, per sua ammissione, salvato da San Rocco.
45 anni dopo il santo tornò a fargli visita.
“Ho morto veramente questa volta?”
“Sì, Peppino.”
“Aspitt’”
Si alzò a fatica dal letto, sollevò il materasso e tirò fuori l’antico tesoro.
“Riprenditelo” disse porgendolo al santo.
Lui allungò la mano ignorando l’oro. Afferrò invece la sua e stringendola forte gli disse:
“Camin Peppin, nan’accssind, vinatin.”
(Coraggio Giuseppe, sei esausto, vieni con me)
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