
Sarai felice
Serie: Morirò d'estate
- Episodio 1: Bastardo
- Episodio 2: Morirò d’estate
- Episodio 3: Fame d’amore
- Episodio 4: Mind to mind
- Episodio 5: Uomo fritto
- Episodio 6: Mutande nuove
- Episodio 7: Sarai felice
- Episodio 8: In gabbia
- Episodio 9: Chiamato per nome
- Episodio 10: Campo Base
STAGIONE 1
«Attacco di panico» questo lessi sul foglio di dimissioni volontarie che mi rilasciò l’ospedale dopo tre giorni di degenza.
I medici mi consigliarono di non lasciare la struttura, perché ero molto debilitato fisicamente, ma io non volli sentire ragioni.
Volevo andare via, tornare nella mia isola, nel mio container e rivedere quell’abbraccio di quel Cristo Risorto a cui non credevo, ma da cui ero attratto.
Lessi velocemente tutti gli accertamenti e gli esami fatti, ma mi soffermai sulle raccomandazioni: esame ECG per escludere problemi cardiaci; esami del sangue e visita psichiatrica.
«Visita psichiatrica?» lessi ad alta voce, tanto che mia madre, che mi stava accanto, mi guardò con preoccupazione.
Sogghignai sarcasticamente, anche se avrei voluto gridare con tutta la mia anima, piangere dalla frustrazione o semplicemente scappare da tutto, ma mi trattenni, cercando di mantenere un’apparenza di calma.
Salutai il medico che mi aveva consegnato le dimissioni e uscii dall’ospedale camminando come un automa, con passi meccanici e la mente altrove, mentre mia madre arrancava al mio fianco per starmi dietro.
Percorsi il lungo corridoio del reparto, con la testa bassa e le spalle curve, come se il peso delle mie preoccupazioni mi stesse schiacciando.
Le mie gambe erano tremanti e il cuore batteva forte, come se stesse per esplodere.
«Calmati Luca!» pensai. «Respira lentamente ed esci il prima possibile da qui».
«Uno, due, tre…» contavo, cercando di sincronizzare il mio battito cardiaco con il ritmo della mia respirazione.
A ogni inspirazione, sentivo il mio petto espandersi e la mia mente calmarsi leggermente.
A ogni espirazione, sentivo la tensione abbandonare il mio corpo, mentre le porte automatiche dell’ospedale si aprivano con un sibilo, lasciandomi finalmente libero di uscire.
Mi trovai immerso nella luce del sole, che mi investì come un pugno in faccia, facendomi sentire vivo e allo stesso tempo vulnerabile.
Avevo evitato un altro attacco di panico? O peggio ancora un infarto?
Non potevo saperlo, ma di una cosa ero certo: dovevo andare via da questo paesino e tornare nella mia isola, dove il mare e il sole potevano guarire le mie ferite e calmare la mia mente e dove mi sentivo a casa, nonostante tutte le cose strane e inspiegabili che mi erano accadute.
«Rimani qualche giorno a casa da noi» mi disse mia madre.
«Sei appena uscito dall’ospedale! Aspetta almeno di riprenderti un po’» continuò.
«No mamma, devo andare via! Io qui mi sento ancora più male» dissi. Sentendo la mia voce più dura di quanto volessi.
Lei mi accarezzò delicatamente la guancia destra, con un’espressione di dolore e di comprensione negli occhi e poi senza parlare il suo volto si addolcì e annuì lentamente, come se capisse che non potevo restare, anche se sapevo che non poteva capire.
«Almeno per oggi rimani? Ti fai una doccia, mangi bene, ti riposi un po’ e domani con calma vai» mi chiese a bassa voce, come se pensasse potesse infastidirmi.
La sua voce era dolce e preoccupata, e io sentii un’ondata di senso di colpa per le parole forse troppo dure che avevo usato prima.
«Certo!» risposi sorridendo, con la speranza di farmi perdonare.
Ma dentro di me sapevo che non era facile, soprattutto perché non avevo voglia di incontrare mio padre.
Il mio malore mi aveva involontariamente salvato dall’incontrarlo, visto che in ospedale non era mai venuto.
Non potevo dare un altro dolore a mia madre. Non lo meritava.
Lei mi aveva sempre sostenuto e aiutato, e anche in questa occasione lo stava facendo.
Anche se significava affrontare mio padre e fingere che tutto andasse bene, dovevo rimanere almeno un giorno. Glielo dovevo.
Quando arrivammo a casa, mio padre era nella sua camera da letto, immerso nel bagliore del televisore che teneva sempre acceso.
Mia madre lo avvertì che c’ero anch’io, ma lui non accennò alcuna risposta. Allora feci un grande respiro e andai io da lui.
La stanza era piena di un’atmosfera pesante e stantia, come se il tempo si fosse fermato lì dentro.
«Ciao papà!» dissi fingendo un sorriso.
Lui senza neanche spostare gli occhi dal televisore accennò un saluto con la mano e io sentii un peso sullo stomaco, come se fossi stato colpito da un pugno.
Uscii dalla camera, già appesantito dal suo silenzio e con la voglia di urlargli contro tutto il mio disgusto.
Per tutto il resto della giornata, rimasi nella mia vecchia camera, sdraiato nel letto e col viso rivolto al tetto.
«Sarai felice!» mi ripetevo quasi a volermi convincere.
E più ripetevo la frase più avevo la sensazione di sentire Enza pronunciarla.
«Sarai felice! Sarai felice! Sarai felice!» un mantra che piano piano stava sostituendo quel «Bastardo» che per troppo tempo avevo sentito, tanto da convincermi che fosse vero.
Quando fu ora di cena, mia madre, con la sua solita dolcezza mi avvisò.
Fu come mangiare da solo: mio padre che aveva spento la tv in camera da letto ne aveva accesa un’altra in cucina, mia madre che evitava di parlare forse per paura di avere qualche altra delusione e io che mi concentravo su quel piatto di pasta al pomodoro, che vedevo come una montagna di merda e sangue che ero costretto a mangiare.
Masticavo lentamente cercando di trattenere i conati di vomito.
«Non farlo Luca! Non vomitare» ripetevo tra me e me.
Poi all’ennesimo ingoio, sentii salire dentro di me, un fuoco che partiva dallo stomaco fino ad arrivare alla testa.
Corsi in bagno, infilai due dita in bocca e buttai giù fino all’ultimo spaghetto, fino a vomitare solo acqua e acido.
Mia madre, rimase fuori dalla porta del bagno e quando uscii, aveva gli occhi pieni di lacrime e mi disse con voce tremante: «Preferisco un figlio lontano ma vivo, che vicino ma morto!» abbracciandomi, come forse non aveva mai fatto.
L’indomani partii all’alba.
«Sarai felice!» mi disse mia madre prima che io salissi sull’autobus.
Questa volta non era la voce di Enza a dirmelo.
Questa volta era la voce di mia madre.
Serie: Morirò d'estate
- Episodio 1: Bastardo
- Episodio 2: Morirò d’estate
- Episodio 3: Fame d’amore
- Episodio 4: Mind to mind
- Episodio 5: Uomo fritto
- Episodio 6: Mutande nuove
- Episodio 7: Sarai felice
- Episodio 8: In gabbia
- Episodio 9: Chiamato per nome
- Episodio 10: Campo Base
Ciao Corrado, un passaggio molto crudo della storia. La contraddizioni tra l’indifferenza del padre e le premure della madre invitano alla riflessione. L’ origine del malessere di Luca è sempre più chiaro.
E sì, Luca è il frutto della disfunzionalità in cui è cresciuto…
Ciao Corrado. Questo episodio è molto intenso e mette a nudo il dolore familiare, il senso di colpa e il desiderio di fuga, fino a un finale che mi ha molto commossa. Colpisce la forza delle immagini corporee (il cuore, il vomito, l’abbraccio) che rendono palpabile il disagio.
Forse l’unico limite sta nell’uso frequente di frasi subordinate comparative introdotte da “come”, che a tratti appesantiscono la lettura e rischiano di indebolire la potenza del racconto.
Nel complesso, però, il tuo testo ha un’autenticità rara e lascia un segno emotivo profondo.
Grazie @cristiana per l’attenzione con cui leggi il mio racconto.
Condivido il tuo pensiero e mi impegnerò ad essere meno complesso.
L’uso (forse eccessivo) delle frasi subordinate nasce dalla mia meticolosità nel descrivere, luoghi e soprattutto emozioni, ma mi rendo conto che in effetti possono appesantire un discorso.
Grazie sempre 🙏🏻
Meglio “un figlio lontano ma vivo, che vicino ma morto”: mi ha molto colpito questa frase. Come sempre, leggo le tue parole e rivivo emozioni che non ho mai condiviso con nessuno.
Credo sia consolatorio scoprire di non essere soli, anche quando, anzi soprattutto, quando si vivono emozioni non proprio positive.
E mi fa piacere sapere che un mio “racconto” possa comunque creare empatia con chi mi legge.
Grazie 🙏🏻
“Questa volta era la voce di mia madre.” Il protagonista, acquistando sicurezza, adesso riconosce anche l’amore che prima credeva di non ricevere. Bravo, Corrado!
@conchita59 grazie ❤️
Il panico, il padre/muro, la pasta che diventa sangue, tutto passa dal corpo prima che dalla testa. E poi quella madre che trasforma il mantra in salvezza: “lontano ma vivo”. Ci sta tutto.
@pasqualetintore grazie per la lettura e il commento… 🙏🏻😊
“«Sarai felice!» mi disse mia madre prima che io salissi sull’autobus.”
E quando le stesse parole non vengono pronunciare da nessun padre o madre o figura parentale diversa, bisogna riuscire a dirsele e crederci e realizzarle con tutte le nostre forze interiori.
@cedrina ❤️
“Mia madre, rimase fuori dalla porta del bagno e quando uscii, aveva gli occhi pieni di lacrime e mi disse con voce tremante: «Preferisco un figlio lontano ma vivo, che vicino ma morto!» abbracciandomi, come forse non aveva mai fatto.”
Che dire, se non amore materno incondizionato. E tu hai reso bene l’idea.
@cedrina è proprio così! ❤️