
Scelta
Serie: Gran Premio
- Episodio 1: Bisognava parlarne
- Episodio 2: Corre come un matto
- Episodio 3: Scelta
- Episodio 4: Tenebre
STAGIONE 1
Herbert si ritrovò in una stanza, seduto su una sedia da ufficio. Davanti a lui, un tavolino in acciaio. L’illuminazione era forte, e avvolgeva senza lasciare ombre. Herb alzò lo sguardo e si voltò, prima a destra, poi a sinistra e infine si girò guardando dietro di sé. Non c’era alcuna traccia di lampade, di nessun tipo. Le pareti erano perfettamente pulite, come fogli di carta, e così il soffitto. Non vi erano finestre, e c’era un’unica porta, anch’essa di acciaio, sulla parete alla sua destra.
“C’è qualcuno?” disse, con tono deciso, secondo la sua prima intenzione, ma calando subito, intimidito dall’eco potentissimo della sua voce. Per la sorpresa, sobbalzò sulla sedia.
Nessuno rispose.
Era curioso, l’eco, ma in fin dei conti non era nemmeno un fenomeno così straordinario. Herb pensò al giorno in cui gli imbianchini avevano finito di tinteggiare le pareti del bagno, lasciandolo la stanza vuota e candida, proprio come quella in cui si trovava ora. Si era ritrovato a cantare da solo motivetti blues, affascinato dalla particolare acustica. In effetti, l’eco era molto simile, ma non uguale.
“Mi chiamo Herbert!” urlò, e dovette tapparsi le orecchie dal frastuono che lo travolse penetrandogli forzatamente nelle orecchie. Attese che il fischio dei timpani cessasse, poi provò a parlare di nuovo, ma stavolta a un volume più basso, quasi sussurrando.
“Mi chiamo Herbert” disse, e iniziò a intuire qualcosa.
“Herbert.”
“Her – ber – t” aggiunse, e l’ultima consonante risuonò come il click di un accendino.
Dopo qualche tentativo, Herbert era giunto a una scoperta: la voce non usciva dalla sua bocca. Se si concentrava abbastanza, poteva accorgersi che dalle labbra non trapelava alcun suono.
“Mi chiamo Herbert” disse per l’ennesima volta.
Nessun dubbio; non sono io a parlare.
“Cavallette mangiano l’insalata del nonno” provò, ma lo aveva detto a voce alta, e la sensazione di non star parlando non era così nitida come quando aveva sussurrato.
“Cavallo storpio al macello” e finalmente capì. La voce arrivava da fuori. Fuori dal suo corpo, come se fosse un’altra persona a parlare, in perfetta sincronia con le sue labbra e conscia dei suoi pensieri. Si chiese cosa diavolo stava dicendo, inconscio dell’espressione ebete che chiunque avrebbe notato sul suo volto.
Lo stupore venne smorzato dal clangore della serratura della porta di acciaio, che si spalancò. Entrò un uomo alto, magro e con gli occhiali. Portava una giacca di lana, nera come la camicia. Nella mano destra, portava una cartelletta rossa, talmente piatta che sembrava non contenere nulla
Si sedette e fissò Herbert per qualche istante, le mani conserte sopra il tavolo, poi tirò fuori dalla cartelletta un foglio di carta stampata. Herb provò a sbirciare, senza riuscire a leggere. Forse non era nemmeno inglese.
“Herbert, buongiorno.”
“Buongiorno” bofonchiò Herb. “Chi… chi è Lei?”
“Io? Non ha alcuna importanza. Piuttosto, lei sa perché si trova qui?”
“Io… ero ubriaco. Ho sentito il rombo del motore di una macchina. Poi non mi ricordo nulla. Le direi che sono apparso qui subito dopo, come per magia, ma… devo essermi perso un pezzo. Ero ubriaco, sa” aggiunse abbassando lo sguardo.
“Oh”, esclamò con pacatezza, “Lei non ha perso nemmeno un secondo degli avvenimenti tra l’incidente e ora.”
“Incidente?” esclamò inorridito. E di colpo, ricordò la luce che non proveniva da nessuna lampada, e la sua voce che giungeva da lontano mentre le sue labbra si muovevano e contorcevano, perfettamente mute.
“Sono morto?” disse.
“Si” rispose l’uomo, aggiungendo, notando come il volto di Herb stesse impallidendo “ma non lo abbiamo ancora detto a nessuno.”
“A… nessuno?”
Herbert si chiese se quell’uomo scheletrico in giacca nera non si stesse divertendo a spaventarlo e confonderlo. Quello sembrò leggergli nella mente, perché rispose: “Non la sto prendendo in giro, Herbert.”
Un’altra lampadina si accese nella testa di Herb: “Come fa a sapere il mio nome.”
“Signor Herbert” disse l’uomo, ignorando la sua domanda “non abbiamo molto tempo. Per circostanze che non posso spiegarle, può tornare in dietro. In qualche modo, soddisfa i nostri requisiti. Sebbene sia morto, per quando riguarda questo lato della vita, dall’altra parte non lo sanno ancora.”
“Come sarebbe a dire, che sono morto e non lo sanno? Sono in coma?” la voce di Herb si stava scaldando. Era evidente che lo stessero prendendo in giro. L’uomo tacque continuò a guardarlo da sopra gli occhiali spessi.
Herbert aspettò e, notando che quello non diceva nulla, parlò di nuovo, stavolta con un tono molto meno pomposo.
“Era lei a fare la voce, prima?”
L’uomo lo guardò inarcando le sopracciglia, e la sua espressione dichiarò tacitamente: “Stai dando di matto, amico?”
“Le ho detto che non abbiamo tempo. Ora” disse, capovolgendo il foglio e passandoglielo mentre estraeva una penna dal taschino della giacca, porgendogliela “Lei deve barrare il sì, se vuole tornare, o il no, se vuole restare.”
Herbert indugiò per un attimo. L’uomo gli avrebbe detto che il tempo stava per scadere. Non aveva voglia di sentirlo parlare di nuovo, quindi afferrò la penna e, con la mano tremolante, decretò con l’inchiostro nero la sua scelta.
Serie: Gran Premio
- Episodio 1: Bisognava parlarne
- Episodio 2: Corre come un matto
- Episodio 3: Scelta
- Episodio 4: Tenebre
Il cliffhanger finale lascia col fiato sospeso e invoglia a volerne sapere di più sia sulla vicenda che sulla scelta di Herb.
Sono davvero curioso.
Grazie Giuseppe!
“Lei deve barrare il sì, se vuole tornare, o il no, se vuole restare.”
È geniale questo passaggio. Restare, dove? Tornare, dove? Le tue storie sono sempre originali e, aggiungo, da pelle d’oca. Stanze che si aprono nelle teste dei protagonisti.
Una frase molto semplice, quasi banale, che potremmo sentire in molteplici situazioni di vita reale (per esempio, quando accettiamo/rifiutiamo una proposta di lavoro)… qui però è applicata a una questione di vita o di morte. E per Herb, la scelta non è così scontata.