Stanza 42

Serie: Crazy Train #1


“Sarà molto triste di saperlo” sussurrò la donna per non farsi sentire dal figlio, ancora intento ad ingurgitare cereali.

“Lo so, tornerò presto, te lo prometto. Ora devo andare, un bacio” Howard riattaccò senza aspettare risposta, come faceva sempre.

Rimase per un attimo con la mano sulla cornetta del telefono e lo sguardo spento, perso nel vuoto davanti a sé. Quello che tutti, più o meno consapevolmente stavano vivendo, era il giorno in cui l’umanità avrebbe incontrato il suo destino, nel bene o nel male.

Dalton era fermo davanti la porta di vetro opaco. Quasi in iperventilazione. Fissava le lettere rosse, ASAC – H. P. Morgenstein, senza leggerle davvero. La testa era da tutt’altra parte.

“Si può?” chiese facendosi coraggio e sporgendo di appena qualche centimetro la massa di capelli rossi e spettinati oltre la soglia immacolata.

L’uomo all’interno della stanza non lo aveva sentito bussare. Chiuse piano la porta dietro di sé ed entrò a piccoli passi. Solo allora l’uomo alla scrivania si rese conto che stava ancora stringendo la cornetta e la mollò di scatto.

“Si Dalton, scusa, non ti avevo sentito” gli disse poggiando entrambe le mani sulla scrivania con i palmi rivolti verso l’alto.

Il ragazzo fece un lieve segno di assenso con la testa.

“Quanto tempo abbiamo?”

“Giusto un paio di minuti. Questo aggeggio ha la batteria quasi del tutto consumata” rispose estraendo dalla tasca una scatola nera più piccola del suo palmo.

“Poggialo qui davanti a me e siediti. Piano.”

“Oggi è il gran giorno eh?” disse il ragazzo abbozzando un sorriso quasi isterico. L’ansia lo stava mangiando vivo. Le spalle curve e due chiazze di sudore sotto le ascelle lo facevano sembrare ancora più scheletrico del solito. Sperava che il suo capo potesse infondergli un po’ del coraggio necessario ad arrivare fino a sera.

“A quanto pare sì. Hai controllato i turni di questa mattina?”

“Si, signore. Tutto in ordine. Possiamo andare quando vuole. Ci aspettano al magazzino.”

“Bene.”

Si avviarono entrambi verso la porta, Howard in testa. Dalton raccolse il mascheratore a micro-impulsi e lo seguì. Attraversarono più corridoi e piani di quanti l’agente speciale riuscisse a contarne. Era arrivato a Quantico solo un anno prima ed era subito stato assegnato a H. P. Morgenstein, diventando la sua ombra. Quando non veniva spedito ai quattro angoli degli Stati Uniti, lavorava in simbiosi con l’agente Morgenstein ad un progetto di cui erano i soli a conoscere l’esistenza all’interno del Bureau.

“Hai già parlato con il capo magazziniere di turno?”

“Si signore, nessun problema. Ci lasceranno passare. Ho usato la solita scusa.”

“Bene. Meglio lasciarli pensare che sperperi l’elemosina che mi passa il Bureau con le prostitute piuttosto che la verità.”

A Dalton non piaceva per niente scendere fino a lì. Non era l’ambiente fisico a renderlo inquieto ma quello che si sarebbero trovati davanti nella stanza 42. Non riusciva a sopportarlo. Si trattava di un malessere psicologico, che nasceva dalle viscere e che non poteva controllare.

In quindici minuti arrivarono nella parte più nascosta dell’accademia. Poche persone al mondo sapevano dell’esistenza di quella sezione dell’edificio e solo loro due, in tutti gli Stati Uniti, erano a conoscenza di quello che nascondeva. Per tutti gli altri era semplicemente un non-luogo.

“Mio figlio continua ad avere gli incubi” disse ad un certo Morgenstein mentre procedeva lungo lo stretto corridoio illuminato dai neon pallidi e sfarfallanti.

Dalton non osò proferire parola. Sapeva che sarebbe stato un soliloquio. Quella era l’unica piccola, minuscola sezione del pianeta in cui entrambi potevano davvero parlare liberamente.

“Capisci Dalton? Mio figlio. Stanno mangiano il cervello anche a lui. Non mi interessa se dall’altra parte del mondo quel mezzo filosofo di Tze è convinto che dovremmo prima capire e poi agire. Io devo distruggerli, non ho più tempo.”

“Si signore” si limitò a rispondere per dare la possibilità all’altro di continuare a parlare.

“Mio figlio…a quest’ora sarà insieme a tutti gli altri bambini in quel campo a raccogliere cadaveri dilaniati da quella…cosa!”

Per paura di rimanere indietro in quello stretto corridoio, Dalton aveva accelerato il passo e adesso era solo a pochi centimetri dal suo superiore, tanto vicino da sentire il calore della sua rabbia passare attraverso il tessuto del completo grigio scuro.

Morgenstein posizionò la mano destra sullo scanner e la porta a tenuta stagna si aprì con uno sbuffo. Le narici dei due uomini furono invase da un forte odore di muffa acida.

Morgenstein fu il primo ad indossare la maschera con il respiratore e i guanti in mercurio. Aprì la porta che lo separava dalla cella senza aspettare il ragazzo.

“Svegliati!” urlò con tutto il fiato che riusciva a tirare fuori dalla maschera, “svegliati!”

Dalton si affrettò all’interno.

“Signore…”

“Non preoccuparti Dalton, non voglio toccarlo.”

La figura davanti a loro si mosse piano, producendo un rumore simile a quello di ossa e muscoli che vengano stirati dopo una lunga notte di sonno.

Dalton provò a vincere la repulsione che gli impediva quasi di respirare e si girò verso il prigioniero.

“Lo so che puoi capirmi” ringhiò Morgenstein mentre il ragazzo faceva istintivamente qualche passo indietro. “Oggi non sono venuto qui per chiederti nulla. Non proverò più a capire di cosa sei fatto, né da dove vieni. Non mi interessa più. La curiosità la lascio ai miei compagni. Io voglio solo che questa storia finisca.”

Dal prigioniero non arrivò nessuna reazione apprezzabile, almeno agli organi sensoriali dei due agenti.

Un tonfo sordo alle spalle di Morgenstein.

“Dalton! Che cazzo…” urlò l’agente più anziano voltandosi di scatto e impugnando l’arma.

“Mi dispiace signore, io…” balbettò il giovane rialzandosi lentamente. “L’ha fatto di nuovo. Questa schifosissima bava arriva fino alla porta. Sono scivolato. Mi dispiace.”

“Non preoccuparti. Assicurati solo di non avere ferite aperte di nessun tipo e passa per la stanza di decontaminazione prima di uscire da qui.”

“Si signore.”

“Abbiamo ricevuto aggiornamenti dagli altri?”

“Nulla signore. Nessuno dei 40 ha comunicato dopo la riunione di ieri sera.” Il ragazzo deglutì a stento pensando a cosa sarebbe successo di lì a qualche ora.

“Ok. Tanto meglio così. Oggi finisce il loro Grande Piano o finiamo noi. Avvisa gli altri che il soggetto sotto nostra custodia non ha fornito prove ulteriori che possano aiutarci a perfezionare gli algoritmi della macchina. Dovremo usare quello che abbiamo.”

“Si signore.”

Erano le 23.56.43 del 5 aprile 2092 e quarantadue uomini sparsi per tutto il pianeta Terra stavano per lanciare un attacco simultaneo verso più di metà della popolazione mondiale allo scopo di distruggere un culto di cui quasi nessuno conosceva l’origine. Le probabilità di friggere quei cervelli piuttosto che liberarli era altissima. Ma dopo qualche flebile resistenza interna avevano decretato che tutto sommato quella era una probabilità tutto sommato accettabile.

“È tutto pronto signore. Gli altri sono in posizione e siete tutti sincronizzati.”

Morgenstein non rispose. Fissava il touchscreen davanti a sé. “È possibile che qualcuno che può fottere il cervello a metà della popolazione mondiale non ci abbia ancora scoperto?” i dubbi montavano veloci nella testa di Morgenstein, “premendo questo pulsante rischiamo di condannare quasi quattro miliardi di esseri umani, mio figlio compreso, ad una vita atroce. Ma sarebbe davvero peggio di questa? Ne avrebbero coscienza? Adesso hanno coscienza di quello che fanno? Jerry no di certo, lui è nato dopo che il culto aveva già iniziato a diffondersi quindi non ricorda un prima e forse non conoscerà un dopo.”

“Cinque secondi signore.”

Morgenstein sgranchì velocemente le dita della mano

“Tre secondi.”

“Due secondi.”

Serie: Crazy Train #1


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Discussioni

  1. Un episodio che si lega molto bene al precedente, bravo Sergio! Hai ben illustrato la situazione all’interno di Quantico lasciando agli altri lo spazio per mostrare la situazione fuori.

  2. Una svolta inaspettata ma molto interessante, il bello di questo esperimento è che non si sa mai dove andrà a parare la storia.
    Un bel brano e un ottimo invito a seguire il prossimo episodio.

  3. Coerente con il primo episodio, aggiunge parecchie novità su cui meditare. La serie inizia ad apparire come una commistione di generi, ora distopico ora Shi-Fi. Sono curiosa di leggere il seguito… ehm, aspetta. Forse sono nei guai. La faccenda si complica parecchio, me la state mettendo giù “tosta” 😀