Sentinelle
Serie: Gabbia Metallica
- Episodio 1: Amici
- Episodio 2: Incubi
- Episodio 3: Sentinelle
STAGIONE 1
Fu investito dal paesaggio monotono e privo di colore e di vita: intorno a lui solo tonalità spente, una distesa di grigi, cemento e asfalto. Qua e là, sprazzi sporchi di marrone e nero di cavi e tubi scoperti che erano le vene e le arterie delle strutture: cadaveri di mostri orribili fusi con il pavimento. L’unica luce era quella fioca e giallastra dei lampioni che illuminavano a malapena, emettendo timidi aloni.
La strada in discesa, incrociata da sentieri secondari, era incorniciata da case basse e consunte, sovrastate da imponenti edifici sullo sfondo, disseminati di finestre rettangolari che punteggiavano le facciate. Ogni costruzione era soffocata da una rete intricata di cavi e condutture: si attorcigliavano fitti attorno ai muri esibendosi in delle danze macabre: in alcuni punti aderivano alle pareti, in altri pendevano in pieghe minacciose, ricadendo per poi risalire in caotici grovigli, talmente fitti da rendere difficile distinguere la forma degli edifici.
Miriadi di robot si arrampicavano sui gusci di fili e tubi, muovendosi come colonie di formiche operaie, impegnati in continui lavori di manutenzione che si sarebbero svolti in eterno.
Non un filo di vento, nessun profumo nell’aria, soltanto gli odori del metallo e del cemento industriale che si mescolavano dando vita ad un aroma acre e pungente.
All’orizzonte si intravedeva l’ascensore nord, una colossale colonna nera avvolta da condotti vorticosi che, simili a serpenti stretti attorno a un tronco, si arrampicavano lungo il pilastro formando una tetra spirale. La colonna arrivava fino ai cosiddetti “Piani Sovrastanti”, invisibili all’occhio perché troppo in alto. Nessuno dei bassifondi li aveva mai visti, eppure tutti davano per certo che esistessero.
La dirompente neutralità e assenza di vitalità insite nelle facce delle persone vaganti, le rendevano pesanti e dure come rocce. Si muovevano per la strada attraverso movimenti meccanici, non troppo diverse dai robot arrampicati sugli edifici.
Sam alzò lo sguardo verso l’alto e, nonostante sapesse che lì sopra, ad un’altezza incalcolabile, ci fosse un enorme soffitto, non riusciva a vederlo per quanto si trovasse lontano. Ne avvertiva solo l’estrema pesantezza che lo schiacciava sul freddo asfalto della strada.
Sospirò e abbassò di nuovo lo sguardo, poi si avviò in direzione della fabbrica, distante circa due chilometri, situata su un livello leggermente superiore. Risalendo la strada, notò il brulicare delle sentinelle: di recente, il loro numero era aumentato vertiginosamente, e il pattugliamento si era fatto più opprimente e severo che mai.
Più simili ad automi che a esseri umani, si aggiravano per le strade fermando i passanti con fare brusco, esigendo di mostrare tessere identificative e instillando terrore. Le sentinelle erano i segugi dei Piani Sovrastanti, erano dotate di innesti artificiali, spesso visibili anche dall’esterno, che aumentavano esponenzialmente forza ed efficienza di legamenti, articolazioni e muscoli. Tutte indossavano la stessa divisa, costituita da pantaloni neri ricchi di tasche e una corta giacca di tessuto verde scuro, dal colletto alto. Sui polsi, due fasce con sopra ricamato il simbolo di Avern. Il simbolo raffigurava un cono capovolto, suddiviso in sezioni da una serie di segmenti interni. Erano armate di fucili irradianti, appesi a una tracolla e tenuti saldamente sotto braccio.
Quella mattina, le loro mani sembravano fremere d’impazienza, pronte a premere il grilletto a qualsiasi pretesto. Sam lo capì subito dai loro sguardi torvi e cupi, più scuri della città stessa. Procedeva a testa bassa, cercando di evitare di incrociare quegli occhi gelidi. Quando la strada verso la fabbrica sembrò sgombra dalla presenza delle guardie, tirò un sospiro di sollievo. Ma proprio allora, una mano pesante si posò sulla sua spalla, abbassandogliela con forza.
«La sua tessera d’identificazione» disse una sentinella con tono grave.
Era un colosso, alto e massiccio. Lo sovrastava con le spalle larghe che oscuravano la luce di un lampione alle sue spalle, il volto dai lineamenti spigolosi incupito dall’ombra.
Sam non attese un secondo di più e sfilò il tesserino dalla tasca interna della giacca.
«Sam 1030» lesse l’uomo, fissando il rettangolo metallico. «Va al lavoro?»
«Sì, alla fabbrica di robotica e armamenti Ergast.»
«Da quanto ci lavora?»
«Cinquant’anni. Da quando sono arrivato ad Avern.»
«Noto che è nato ad Avalon. È caduta nelle mani delle creature?»
«Già.» rispose. Fu scosso da un leggero brivido e il cuore aumentò i battiti.
«Mi segua. Procediamo con un controllo» ordinò la sentinella, voltandosi verso un veicolo di pattuglia poco distante.
«Ma così arriverò in ritardo» provò a protestare Sam.
La guardia si girò di scatto, gli occhi iniettati di sangue che lo trafissero. Ma prima che potesse replicare, si udì uno scoppio assordante, avvenuto in lontananza, che fece tremare il terreno. La sentinella lasciò cadere la tessera e si voltò, correndo goffamente verso la fonte del boato. Fece solo pochi metri prima di fermarsi di colpo.
Qualcuno gli era comparso davanti. Sam non riuscì a capire da dove fosse sbucato: udì solo un tonfo secco. La visuale era bloccata dalla mole della guardia, ma fu chiaro cosa stava accadendo quando la testa della sentinella fu recisa di netto, rotolando sull’asfalto.
Il corpo crollò con un tonfo sordo, rivelando l’assassino.
Aveva l’aspetto di un uomo slanciato, indossava un cappuccio che gli copriva la testa e oscurava il volto.
A Sam venne subito la pelle d’oca: quell’essere sembrava tutt’altro che umano. Il corpo nudo era interamente composto di metallo cromato, senza traccia nemmeno di un minuscolo lembo di pelle. Da spalle e gomiti spuntavano tubi corrugati che si congiungevano dietro la schiena, scintillanti come il resto degli innesti. Stringeva una lunga lama segmentata, ancora sporca di sangue, composta da placche metalliche incastrate l’una nell’altra, come le scaglie di un rettile.
La gente intorno si diradò e scomparve rapidamente. Sam rimase pietrificato. Voleva fuggire, ma le gambe erano appesantite da due zavorre.
L’assassino girò lentamente la testa verso di lui. E fu in quell’istante, forse a causa dello shock, che Sam credette di vedere due puntini rossi brillare sotto il cappuccio che ne celava il volto.
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