Serpenti e topi

Serie: SID- Le Fessure


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Il Vecchio, al pari di un mandante, elabora una strategia per intrappolare una mente che intesse infiniti orditi, capace di inghiottire mondi interi. Qualcosa di sconosciuto smuove l'anima del suo servitore sicario. Un sottile velo di pelle separa questo mondo dall'altro.


Pergamena della Via del Dolore. [Riproduzione inserita nel Manoscritto la Grande Cascata]


«S’adempie nel Dolore la Pratica di Perfezione,

Solo marciando attraverso il Dolore si compie

Dell’anima dispersa la finale trasfigurazione,

Gloria a lei, Nera Signora di tutte le Porte Superne,

Sofferenza ha nome la Regina dei Santi Penitenti,

Dell’urla l’Oscura Dominatrice negli astrali campi.»

Terminato di trascrivere, sbattei fiaccamente i fogli sulla scrivania e mi massaggiai le tempie. «Sì, avanti.» risposi al tocco di nocche sulla porta.

«Direttore, è il momento.» gracchiò un servitore.

Percorsi senza troppa voglia meditando ogni mio passo nel corridoio più lungo e angusto della Clinica. Sospirai, giunto alla porta che lo interrompeva, comparendo bruscamente nel buio. Sfiorai la solita pittura di una spirale sul muro e i battenti senza maniglia si schiusero muti. Le ampie vetrate mi accecarono quasi coi loro giochi policromatici. Stordito dall’odore penetrante delle piante d’ogni specie che vi venivano allevate, avanzai in quell’atrio nel quale si aprivano le sale riservate alla sola presenza del Vecchio. Il Vecchio e quei dannati fiori esotici erano un tutt’uno, anche la sua pelle emanava quel miscuglio incomprensibile di fragranze. Chiunque varcata la porta per la prima volta, sarebbe colpito di sorpresa da quell’ambiente, poiché i fiori provengono da mondi remoti a qualunque immaginario umano. Ma col trascorrervi tempi sempre più lunghi e lenti, ci si avvezza allo spettacolo di forme e colori cangianti; alla fine si rimane solo prigionieri di una massa odorosa impossibile da discernere.

«Mi pare abbiamo fatto ottimi progressi con il soggetto.» Ruggì il Vecchio dalla sua barba fluente.

Raccolse un bicchiere dal tavolo e mi invitò a fare altrettanto, il Cognac era una sua passione assieme alla scacchiera, sulla quale di sovente mi accanivo in interminabili partite contro di lui. Si sedette proprio al tavolo di marmo, ove troneggiava la scacchiera più preziosa della sua collezione. Fra noi accadeva così, quando eravamo soli a parlare. La fregola scacchistica aleggiava sempre sui nostri intenti, anche quando discutevamo delle materie interne alla Clinica, i re e le regine si fronteggiavano sul tavolo, quasi la Scacchiera fosse il centro di quel nostro mondo.

«Ne convengo, Signore, penso di averlo disponibile fra non molto. Mi occorrono solo un paio di giorni per ordinare la sequenza degli interventi.»

«Sette operazioni, non una di più, non una di meno.»

«Non sarà fatto nulla di diverso da quanto abbiamo predisposto, Signore.» Rassicurai il Vecchio e gli avanzai sul tavolo i fogli.

I suoi occhi brillarono come una notte senza stelle: «La Pergamena della Via del Dolore.»

«Sì Signore, almeno una delle Sette Pergamene.»

«Sei riuscito a recuperarle tutte dalla gola di quell’animale?»

«X09 non è sempre collaborativo, ma posso gestirne le reazioni. Ho imparato a divellere quella sua apparente impassibilità.»

«Il suo sistema limbico funziona diversamente dagli altri umani, ma hanno un luogo della mente che reagisce a determinate sollecitazioni. »

«Mi chiedo cosa voglia ottenere la SID innestando i suoi demoni in quelle carni.»

«Il Grande Ampliamento della SID non è solo un concetto bellico.» Mugghiò, carezzandosi la lunga e calda barba. «Significa aumentarsi in ogni direzione e in ogni spazio possibile. Persino all’interno di anime che giudicheremmo indecenti.»

«Dunque occupare le anime degli animali inferiori equivarrebbe all’aumentare i suoi domini?»

«Non importa che la sue orde dilaghino nei cieli o nelle carni inferiori, le occorre che la sua presenza occupi spazio.»

Raccolse i fogli di appunti e in mezzo a questi la Pergamena con il carme trascritto dalla stessa voce di X09. Potei cogliere il suo sguardo compiaciuto, mentre palpava la pelle ancora morbida del vellum.

«Possiamo iniziare, adesso.» Proferì, soddisfatto.

«Sì Signore. È già tutto predisposto in laboratorio.»

Le spalle pendevano sotto un peso ineluttabile. Un fardello che mi ero issato sulla schiena, non ricordo neppure il momento in cui me lo tirai addosso. Probabilmente in primavera, quando nella mia vita erano ancora freschi gli studi di medicina, perché l’edificio dell’ospedale psichiatrico in cui feci la specializzazione lo ricordo meglio di altre cose. Per quanto scavassi, nella mia memoria non c’era altro che l’arcigna facciata di un palazzo, la cui scalinata principale sembrava un ghigno malefico che irrideva l’intera città. E sull’arco d’ingresso campeggiava una scritta in un elegante lettera gotica: Asilo di Sant’Ermo, Casa di Cura per Alienati. Spesso non ero consapevole di quanto pesasse quell’unica immagine residuale nei miei processi mnemonici.

«Cerca di far uscire da quella bocca putrida una frase in particolare. -Mi esortò il Vecchio quando c’incontrammo nella sala della Scacchiera Marmorea- Sicuramente prima o poi la pronunzierà. Tu rimani in attesa che lo faccia, allo stesso modo di una serpe che balza sul topo, irrigidendolo col suo veleno.»

Lui era lì, l’avevano preparato per l’interrogatori, incamiciato in un immobilismo espressivo denso del nulla che la sua anima tarlata ospitava fra le sue cavità.

«Sei sicuro che uscirai da questo posto, hai raccontato a un guardiano.» Dissi, spulciando gli appunti vergati di fretta dagli infermieri sul Diario d’Internamento.

«Noi non rimaniamo dentro le strutture dei mortali. Siamo fatti per altri regni, così questa nostra carne cesserà di sanguinare nel mondo e il nostro spirito si dileguerà alla vostra comprensione.»

Percepii un sottile ago elettrico scuotermi la spina dorsale, il segno che avevo intercettato ciò che il Vecchio voleva. M’immaginai allora arrotolato come la sua vipera, in attesa che il calcagno di lui fosse abbastanza prossimo alle mie zanne.

«In parole più chiare, mi stai dicendo che come tutti noi anche tu devi morire.»

«Morte è la santa madre di nostra signora, Sofferenza; quando verrà il giusto tempo noi viaggeremo sul palmo della sua mano. Per quelli come te non v’è la Sua mano pietosa a sollevarvi l’anima verso il paradiso, ma solo il disfacimento, a meno di non venire trasfigurati dalla nostra opera.»

«Non morirai, se questo è quello che speri. In questo luogo non si vive e non si muore.» 

Sentii i miei nervi tendersi come corde carezzate su di un violino; ora non potevo distrarmi. La serpe si irrigidì nella sua spirale, nascondendosi alla vista. Se il Custode dentro di lui avesse annusato le mie intenzioni, lui sarebbe stato eliminato negli inceneritori della Clinica, tanto non sarebbe più servito. Le cose si evolsero nel modo in cui il Vecchio le aveva predisposte. Sul vellum s’impressionò la cantilena che il suo spirito intonava interiormente, per richiamare i suoi protettori. Un’operazione sottile quella di catturare i canti psichici; il vellum è una pelle spettrale, proviene da entità cosmiche catturate e inchiodate negli Specchi Astrali,  conciata in oscuri processi di scorticazione e putrefazione, sino a trarne una membrana plasmatica che si distenda fra questo mondo e l’altro. 

 Avevo preso ciò che stavo cercando.

Non mi era noto il motivo per il quale una mente come quella della SID, il cui campo di forza probabilmente tratteneva galassie intere, potesse cadere in simili debolezze. Il Vecchio mi spiegò che era una divinità scaltra, feroce, con supreme doti di strategia e tattica, ma anche molto tracotante e invidiosa. Spesso era incapace di tenere a freno quei turbamenti maligni che le squassavano l’anima, se di anima possiamo parlare in un’entità simile. L’ira e l’invidia risalivano dalle sue viscere cosmiche come spume marine in tempesta e spesso si raffreddavano in una spietata arroganza e nella pianificazione malvagia di dominio; ma capitava che in certi luoghi della sua anima il sommovimento rimanesse bollente e informe per secoli, allora quel preciso luogo della galassia dominato da quei sui spasmi era più facile all’essere intrappolato. Per quanto mi sembrasse una visione piuttosto coerente di una simile mente, non mi lasciò del tutto soddisfatto. Una mente dedita a un così vasto ed eterno ordire, come avrebbe potuto lasciare buchi tanto visibili di debolezza nella sua trama? Ma anche allora, mi lasciai alle spalle, come facevo di consueto, tutte quelle domande.

«Morte è la santa madre di nostra signora Sofferenza. Gloria a lei, Nera Signora di tutte le Porte Superne» Lamentò in una nenia senza quasi staccare le parole, il Vecchio. Trascinando l’ultima vocale generò un sospiro ferale che si accartocciò nell’etere, richiamando forze oscure dai reami dell’immaginazione. 

Non ho idea da quale recondito angolo della mia anima provenisse, ma fui attraversato da una scossa straniera alla mia percezione. Una luce aliena dei miei nervi si accese all’improvviso; quasi una stella  irrompesse in un cosmo non suo, da un altrove sconosciuto, estemporaneamente.  Cercai sul volto del Vecchio qualcosa da cui intendere se si fosse o meno accorto di quel mio stato bizzarro. Il viso canuto accartocciato nell’estesi dell’evocazione non subì alcun mutamento, ne arguii che il mio incomprensibile spasmo rimase segreto dentro di me. 

Serie: SID- Le Fessure


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