
Settembre 1998
Ci sono volte che mi chiedo cosa ci faccia io, qua, in mezzo agli iraniani.
Mi chiamo Farid e sono un membro della minoranza araba in Afghanistan.
I miei capi, o padroni, mi hanno imposto di fare un lungo viaggio a piedi e infiltrarmi fra le unità dell’esercito persiano che si stanno ammassando sul confine tra il loro paese e il mio.
I persiani non mi sono mai piaciuti. Nello scorso decennio facevo il tifo per Saddam mentre i miei connazionali combattevano i sovietici, ma questo è il passato.
Diciamo che è stato in quel periodo che ho imparato come lavorare. Grazie ad alcuni ufficiali del KHAD, adesso so muovermi senza farmi notare e registro i movimenti delle truppe, riconosco le formazioni militari che siano di fanteria o di corazzati, e memorizzo tutto per poi trasmettere le informazioni ai miei capi a Kabul con un telefono satellitare che ho nascosto avvolto in un panno sotto una grossa pietra.
I miei capi sono i talebani, e adesso fra loro e l’Iran non si vive un bel periodo. Anche se, a dire il vero, le relazioni non sono mai state buone. L’ambasciata che fa capo a Teheran, a Mazar-i-Sharif, capitale dell’Alleanza del Nord ribelle che combatte gli studenti coranici di Kabul, è stata attaccata, ci sono stati dei morti. Dei camionisti iraniani, intanto, sono scomparsi e, mentre le loro famiglie li piangono augurandosi che tornino a casa, io sono pronto a scommetterci che sono stati uccisi.
A volte i talebani sono iperaggressivi. Come i piranha di certi film statunitensi attaccano senza riflettere, poi ci sono delle conseguenze. E sono io quello che si deve occupare di fare la spia e preparare i miei capi ad accogliere l’esercito iraniano. Si scatenerà una guerriglia, ne sono sicuro, gli iraniani si impossesseranno dell’Afghanistan, ma certe zone non saranno controllate del tutto e si lotterà. L’Alleanza del Nord si coalizzerà con l’invasore, ci saranno ripercussioni internazionali e, che io sappia, le Nazioni Unite ne stanno già discutendo. Poi, forse, il conflitto finirà nel dimenticatoio.
Non devo soffermarmi su questi pensieri, il mio obiettivo è spiare i nemici di Wotan e fare del mio meglio per aiutare i padroni – o quasi – dell’Afghanistan.
Continuo così.
Adesso che la sera sta per calare con dolcezza, nonostante le urla furibonde dei sergenti, faccio per nascondermi, quando poi sento diffondersi una voce:
«L’ONU ha mediato. Non invadiamo più l’Afghanistan».
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