
Sogni d’oro
«Che ne dite di un buon gelatino? O magari, un prosecchino DOC» aveva proposto Betta alle due donne e a Francesco, noto Cicci.
Prosecchino corretto e sogni d’oro – aveva pensato subito dopo.
A poche centinaia di metri dalla farmacia, da cui Susi era appena uscita, c’era Il Malaga, un bar con gelateria artigianale.
Susi e Gi’, sedute sui sedili rosa in alcantara della Porsche, sprizzavano gioia da tutti i pori. Al pensiero di affogare i dispiaceri amorosi, recenti e passati, in una maxi coppa Malaga (specialità del locale), a Gi’ brillavano gli occhi. ‘Fanculo al suo ultimo, penultimo, terzultimo e primo stronzo che l’aveva fatta soffrire. L’importante era il qui e ora, comodamente seduta sulla sua macchina, rubata e ritrovata, e una bella scorpacciata di malaga con panna montata.
Betta, invece aveva in mente un calice di prosecco corretto con doppia dose di Alpha-Night-Plus. Prosecchino e pisolino per il bel Ciccino, aveva pensato Susi mentre gli versava le gocce nel bicchiere, quando lui era andato a lavarsi le mani. Infatti dopo mezz’ora era già KO, semi disteso sul sedile posteriore, accanto a Gi’, ronfando con la bocca aperta.
«Svuotagli le tasche, al maiale» aveva detto Betta, interrompendo i pensieri di Ginetta.
«Perché maiale? Aveva chiesto Susi. «Non è mica grasso. Sembra uno stoccafisso.»
«Non è per la corporatura, è per l’oroscopo cinese» aveva spiegato Betta. «E non solo per l’oroscopo. Poco fa, mentre guidavo, mi fissava le cosce con uno sguardo da suino affamato davanti a un trogolo pieno di siero. Mi aspettavo di sentirlo grugnire da un momento all’altro.»
«Ho trovato un accendino d’oro.»
« Quello è mio, dammelo» aveva reclamato Betta.
«Il portafoglio è gonfio. Vediamo quanti soldi ha. Uhm… solo carte di credito, molte ricevute e pochi spiccioli. Eppure sembra uno pieno di “pilla”, come diciamo noi del quartiere Santa Lia.»
«Che volete farne di questo qua? Ci avete pensato?»
«Io gli toglierei la camicia e gli farei un bel tatuaggio, poi lo lascerei seminudo sulla panchina di una piazza, esposto al pubblico lubidrio.»
«Susi, ma come parli, oggi? Sei strana. Si dice pubblico ludibrio.»
«Perché io che ho detto?»
«Lubidrio»
«E va be’, mi avete capito.»
«Che tipo di tatuaggio vorresti fargli?» aveva chiesto Betta, incitandola a continuare.
«Un bel disegnino che gli somigli e qualche scritta che lo rappresenti.»
«Tipo?» aveva continuato a chiedere Betta, incoraggiandola.
«Tipo un maiale, un pezzo di escremento, un lombrico… o parole come ladro, wanted, bastardo.»
«Vedo che le suore del collegio ti hanno istruita bene» aveva commentato Gi’, ironicamente, stupita da quel nuovo linguaggio della sua più cara e unica amica.
«Ma tu i tatuaggi li sai fare?» l’aveva incalzata Betta, ancora una volta.
«Che ci vuole?» aveva risposto Susi. «Li faceva anche il mio fidanzato. Io lo osservavo quando…»
«Fidanzato?» l’aveva interrotta Gi’ «Quando mai sei stata fidanzata, tu?»
«Quando siamo andate in vacanza a Porto Vecchio, molti anni fa. Ti ricordi di Paul?»
«Si, certo, mi ricordo. Una vacanza di otto giorni, quasi una vita.»
«Non erano otto, erano dieci. Lui mi aveva invitato a pranzo a casa sua, per farmi conoscere la famiglia: i genitori, la sorella e la nonna.»
«E il cane.» aveva continuato Gi’, prendendola in giro.
«E poi, io e Paul abbiamo continuato a scriverci per un anno intero. Per Natale mi chiamò per farmi gli auguri. Mi disse che doveva partire in missione, poi è caduta la linea. Non ho mai capito se dovesse arruolarsi nel corpo della Legione Straniera, se dovesse andare in Africa con i missionari Francescani o in India, a curare i lebbrosi. Era un ragazzo pieno di risorse, di progetti. Aveva già superato alcuni esami all’università, per diventare medico. E doveva fare ancora il servizio militare. Boh! Chissà che fine ha fatto. Da quel giorno non l’ho più sentito.»
«Beh, allora – aveva ironizzato Betta – avete avuto un intenso rapporto erotico spinto e sfiancante. Una storia da proporre al regista Tito Bos.»
Poi, rivolgendosi a Gi’«Tu che gli faresti a questo bel fighetto? La Porsche è la tua. Chi ha subito l’affronto maggiore per il furto sei tu».
Betta continuava a istigare le due donne alla vendetta, come se quel tipo le piacesse meno di un geco rugoso sulla faccia. La sua flemma la irritava. Il passo lento, la voce pacata, la sua arrendevolezza. Non aveva battuto ciglio neanche quando l’aveva mandato, per la terza volta, a prendere un’altra bottiglia di acqua minerale naturale. Un uomo senza spina dorsale – era stata la sua impressione. Gli ricordava il suo ex, con cui aveva mantenuto un costante rapporto di sincero vaffanculo. Avrebbe voluto fargliela pagare cara quell’ultima scappatella con la figlia della sua amica Stella. Betta era una donna poco poetica: non amava le rime, soprattutto in quel caso. Quando il penoso ricordo di quella ferita ancora aperta, riaffiorava nella sua mente in quei termini, riformulava il pensiero in una forma più prosaica, con una sfilza di parole aspre, impregnate di rancore. La sua mente in tempesta si placava solo all’idea che – prima o poi – tutto torna indietro, nel bene e nel male, anche il marciume di un lurido verme come il suo ex.
Gi’, intanto, ruminava pensieri più o meno sadici, per vendicarsi di chi le stava accanto, addormentato sul sedile. Il sedere dell’uomo, aveva iniziato a vibrare. Il cellulare pressato nella tasca posteriore dei pantaloni segnalava una chiamata. Gi’ l’aveva sfilato con destrezza, evitando di palparlo per non rischiare di svegliarlo. Insieme al numero che compariva sul display c’era scritto Fratelli A.R.. In quello stesso momento Betta aveva beccato una buca in strada: la macchina aveva sobbalzato, Susi, senza le cinture allacciate, aveva rischiato di andare a sbattere la testa sul cruscotto della Porsche. Cicci, ancora addormentato, stava per cascare giù dal sedile. Gi’ l’aveva raddrizzato come un manichino sbilenco. Subito dopo un altro cellulare aveva iniziato a squillare. La suoneria con le note di una canzone neo-melodica di Gigi D’Alessio era uguale alla sua. Il suono proveniva da sotto il sedile del conducente. Dopo aver subito il furto dell’auto, Susi e Gi’avevano perso tutto, compresi gli zaini, le valige, le borse con i soldi per le vacanze e i loro cellulari. Quello smartphone, finito chissà come sotto il sedile, era il suo. Gi’ l’aveva preso e si era affrettata a rispondere. Era Pino, suo cugino, quello che lavorava per la ditta Ama Rott & f.lli. Ditta di demolizioni industriali e rottami ferrosi.
«Ciao Peppi’, dimmi.»
«Gine’, aundi sesi? Ti sesi sparessia. Innui dimoniu ti sesi stimponada?» ( Ginetta dove sei? Sei sparita. Dove diavolo ti sei cacciata?)
«Senti Peppino, mi puoi trovare la carcassa di una macchina sportiva, tipo la mia, di quelle da rottamare? Meglio ancora se le hanno dato fuoco.»
«Che ci vuole? – aveva risposto lui nel suo dialetto – Se non è bruciata, l’accendo io un bel fuoco. Un po’ di benzina e bum! Cotta e arrostita. Ma… Gine’ … ‘orca put… A cosa ti serve?»
«Peppi’, non farmi domande e non ti dirò bugie.»
Poi, rivolgendosi alle due donne: «Ragazze, ho deciso. Appena mio cugino trova la carcassa giusta, il signorino dovrà spostare il suo bel culo alla Brad, dai sedili rosa in alcantara, a quelli un po’ fumè. Il suo viaggio in Porsche finisce qui. Ne sono rimaste di quelle gocce? Dorme come un angioletto, è un peccato svegliarlo; tanto ronfa con la bocca aperta.»
Avete messo Mi Piace5 apprezzamentiPubblicato in Umoristico / Grottesco
Mi piace che nulla sia scontato, ogni storia porta ad una svolta inaspettata. Condivido l’opinione di Cristiana, la caratterizzazione dei personaggi merita un applauso: non è facile creare personalità diverse. Spesso, quando ci sono tanti personaggi in gioco, si tende a attribuire caratteristiche comuni che non permettono loro di emergere.
Ciao Micol, forse e` vero, come dice Cristiana, che in ogni personaggio proietto qualcosa di me: come sono e come vorrei essere, con i desideri, le paure, le cicatrici, e le ferite ancora aperte. Spero di riuscire a farlo senza essere pesante; anzi, suscitando qualche sorriso.
Grazie Micol, a presto.
Ci stai riuscendo benissimo 😀
Bello, veloce. Mi piacciono i personaggi, molto reali e ben definiti.
Grazie Valentino, ne sono lusingata. Da un autore che scrive egregiamente come sai fare tu, un commento positivo e` particolarmente gradito.
Durante la lettura di questo tuo nuovo capitolo, sono riuscita a stare ancorata a quel sedile della macchina dall’inizio alla fine perché il tuo stile narrativo non mi ha mollata un secondo! Adoro i tuoi personaggi femminili che mi affascinano e mi divertono. Tre donne così diverse che sembrano completarsi a vicenda. Mi piace pensare che in ognuna tu abbia messo un po’ di te. Perché alla fine è proprio questo che abbiamo fatto quando un testo ci riesce così bene. E poi c’è lui…emblema invece di tutto quello che di un uomo ci piace poco. E tu lo sai descrivere attraverso gli occhi delle protagoniste, ciascuna che lo vede a suo modo. Quella che un pochino lo compatisce, quella che ci fa pensieri strani, quella che lo vorrebbe bruciare. Mi fa pensare alla femminile vulnerabilità. Il nostro giudizio è sempre molto condizionato dal nostro animo. A volte continuiamo ad amare chi ci fa soffrire perché siamo offuscate da noi stesse, ma questa è un’altra storia. Bene, aspetto il prossimo episodio perché voglio capire come prosegue questa complicata vicenda di spionaggio al femminile. Un abbraccio!
Ciao Maria Luisa! Bello anche questo episodio di una serie non serie. Il dialogo vendicativo è stato divertente. La chiamata con Peppi mi ha fatto morire dal ridere, rende estremamente di più in sardo, non ci sono storie. E poi, il riferimento a Sant’Elia. Conosci la faida tra Sant’Elia e San Michele? Tra i due, non saprei chi scegliere! Alla prossima avventura del trio!
Grazie Carlo, sapevo che avresti colto i riferimenti ai luoghi che conosciamo bene entrambi. Ho letto il tuo episodio, l’ho commentato e involontariamente, non so come, compariva inviato al mio racconto. Mo’ te lo riscrivo. Scusami per il pasticcio.
Ciao Cristiana, mi piace molto l’ analisi attenta che hai fatto di questo mio raccontino. Non ricordo piu` quale scrittore, disse una volta che un autore (di narrativa immagino), scrive sempre e solo di se’. Allora non capivo bene cosa intendesse; ora forse un po’ di piu`. Chi scrive proietta sempre qualcosa di se`, che il cervello ha elaborato, modificato, invertito o sperato, della vita personale o di chi ci portiamo dentro, con pensieri, sentimenti o emozioni che formano il nostro modo di essere. Nei nostri personaggi, quindi, come osservi giustamente tu, c’e` sempre qualcosa che, direttamente o indirettamente, ci appartiene.
Per la prosecuzione del “giall… ino canarino” di questo trio, sinceramente non so ancora bene cosa inventarmi. Sono tendenzialmente pacifista e contro la violenza in ogni sua forma; pero` scaricare con l’immaginazione, forse aiuta a tenere sotto controllo l’ aggressivita`. Ancora non so. Mi lascero` guidare dalle mie fantasie bizzarre.
Ciao Maria Luisa, segnalo che una tua risposta al commento di @cristiana è finita tra i commenti rivolti a Carlo. Lo dico semplicemente per far sapere a @cristiana che le avevi risposto 🙂