
Sola come Poe
Fin da bambina, “io non sono stata uguale agli altri; non ho mai guardato il mondo come gli altri, né ho tratto le mie passioni da una fonte comune”. Scrisse Edgar Allan Poe nella sua poesia più nota, Solo. Poesia che ho scoperto a quattordici anni, pochi mesi prima che cominciassi le superiori. Che ho deciso di recitare nel laboratorio teatrale del mio liceo di cui facevo parte. Una delle prime poesie che mi ha fatto scoprire la forza della letteratura, che per me è alla base della mia passione, alla base del motivo per cui scrivo: il sentirsi meno soli.
C’è qualcosa di davvero confortante nel leggere su carta un dolore che ci ha fatto sempre sentire isolati dal mondo, come se nessuno ci potesse mai comprendere. Un dolore che con parole quotidiane o troppo parafrasate non riesce a far comprendere il suo peso che grava sulle nostre spalle, o che trasciniamo con le nostre mani nude e usurate. La solitudine è sempre stata la mia compagna di vita, e purtroppo sento che nonostante tutto, non riuscirò mai a sciacquarmela via di dosso. Tutto quello che ho amato, l’ho amato da sola; proprio come scrive Poe. A volte sento come se, magari, nudi ai miei occhi, io sia in realtà ricoperta di chiazze, o qualsiasi altra cosa strana ed evidente a primo impatto. O che il mio linguaggio forse per gli altri suoni come una lingua straniera. Perché allora non mi spiego come mai per tutta la mia vita io non sia mai stata vista come qualcosa di normale. Ancora prima che mi tingessi i capelli di colori strani, ancora prima che decorassi il mio viso con gioielli, ancora prima che mi vestissi come se fossi uscita da qualche fumetto. Nella mia più semplice forma di una bambina solare, agli occhi di tutti, ero diversa.
Diversa era la parola che mi ripetevo più spesso nella mia testa. Mi ripetevo che se solo io fossi stata come gli altri, avrei potuto avere degli amici; e non sarei più rimasta sola ad ogni singolo intervallo a disegnare dentro l’aula vuota, o a parlare con le api in giardino. Per qualche settimana sul portone della mia scuola elementare c’era un poster in cui c’era scritto con caratteri cubitali “Essere diversi è un dono”, ed io ogni mattina pensavo “che grandissima stronzata”. Per me essere diversa era una condanna, uno strazio che non aveva mai fine. Se veramente le mie maestre fossero state d’accordo con quella frase, non avrebbero riso di me insieme ai miei compagni per le mie stereotipie, per le mie paure, per i miei sbagli. Non mi avrebbero condannata a sentirmi per tutta la mia vita una rincoglionita che non riesce a stare al mondo. Se essere diversi era davvero un dono, allora perché passavo tutte le notti a piangere e a pregare dio di avere un amico? Qualcuno che parlasse la mia lingua, che però poi non arrivava mai. Infatti smisi di credere nella religione abbastanza presto, e anche questo aggravò sulla mia situazione. Gli altri bambini non si facevano scrupoli a dire che sarei andata all’inferno dato che non ho fatto la comunione a differenza di tutti loro; poi subito dopo iniziate le medie hanno iniziato a sostituire le bestemmie alle virgole.
Crescendo ho scritto innumerevoli poesie, racconti e pagine di diario nel cercare di dare forma tramite le mie parole a quest’immensa solitudine. Quest’immenso dolore che porta la consapevolezza che qualcuno come me in questo mondo, non esiste. Che le mie grida saranno sempre rivolte al vuoto, e che l’unica risposta che riceverò sarà il mio eco assordante. Ma leggere sentimenti di questo tipo scritti da qualcun altro, mi ha fatto finalmente sentire di appartenere a qualcosa, di non essere sola. E vedere le lacrime scendere sugli occhi di chi sta leggendo quel che scrivo, mi dona un calore al cuore incontenibile. Sapere che c’è qualcuno come me; qualcuno che come me sta cercando da una vita qualcuno che lo possa comprendere, è tutto quello che avrei potuto desiderare quando ero piccola. Le mie grida non sono buttate nel vuoto, bensì ascoltate e comprese nella loro profondità, da altre persone che per tutto questo tempo stavano nella mia stessa identica grotta, senza che ce ne fossimo mai accorti.
Non c’è ossimoro più bello, che non sentirmi sola nella mia immensa solitudine.
Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Il testo che hai scritto è intenso, autentico e profondamente emotivo. La tua capacità di mettere a nudo i sentimenti di solitudine e inadeguatezza, senza retorica o autocommiserazione, è notevole. La scrittura è diretta, sincera, e il lettore viene trascinato nelle tue emozioni, quasi come se stesse vivendo quei momenti al tuo fianco.
““Essere diversi è un dono”,”
Penso che sia una delle verità più grandi. Complimenti, una storia che colpisce👏
“Non c’è ossimoro più bello, che non sentirmi sola nella mia immensa solitudine.”
sono d’accordo con Cristiana, questa conclusione mi ha colpito. Mi piacciono gli ossimori, e questo è azzecatissimo.
“il sentirsi meno soli”
Grazie Salvia per averci regalato questa preziosa riflessione condotta molto bene in parallelo con il pensiero di Poe. Il finale molto originale, colpisce.