Sopra le nuvole. PT1

Serie: Sopra le nuvole.


Ho sempre amato gli aeroporti. All’asilo guardavo gli aerei veleggiare tra le nuvole, seguiti da quel rombo di tuono, e li immaginavo atterrare in posti esoterici, o a New York (anche se non avevo la minima idea di dove fosse). Immaginavo la vita piena ed appagante di chi sedeva sul posto finestrino, vestito di tutto punto, e ricco sfondato. La vita gli sorrideva, ed aveva tutto, e dico proprio tutto. Idealizzavo ogni singolo centimetro di quel fantomatico passeggero, e speravo che un giorno anch’io avrei volato tra le ali di quegli angeli d’acciaio. La prima volta che ho preso l’aereo però è stato tardi, avevo 22 anni. E ricordo perfettamente, che è stata una delle esperienze più belle della mia vita. E’ come andare sulle montagne russe, però ti senti un po’ più figo. Hai la sensazione di vivere un’esperienza unica, guardare le cose da quell’altezza è come sognare di volare, senza però svegliarsi mai. E’ veramente un piccolo miracolo, e ti senti unico, perché non è da tutti vivere l’esperienza di guardare le cose da sopra le nuvole. Ti fa sentire leggero, e potente.

 Quando torni a terra, però, ti accorgi di quanto la vita può regalarti emozioni forti, e l’attimo dopo riportarti alle banalità del giorno che passa. Ti manca quell’adrenalina, quel misto paura e stupore.

Dentro di me ho sempre pensato che non esistano veramente delle emozioni nuove, ma che ogni sensazione che provi, in qualche modo, venga ripescata dalle emozioni che hai vissuto quando eri più piccolo. E quando qualcosa di profondo viene toccato, comincia a vibrare, e le lacrime cominciano a scendere. Siamo un magazzino di emozioni già provate, che vogliono uscire di nuovo, per prendere aria e farti sentire vivo.

Non è detto, però, che un’esperienza debba essere per forza già stata vissuta per farti vivere un’emozione passata. Mi ricordo ,ad esempio, una sera d’estate in un paesino di montagna in cui trascorrevo le vacanze con la mia famiglia. Era il primo anno in cui io e mio fratello avevamo trovato degli amici di avventure. Erano due ragazzi e una ragazza. Ci eravamo dati appuntamento al calar del sole, come in tutti i film western che si rispettino. Avevamo i nostri cavalli di metallo, delle bici nuove di zecca, e ci spostavamo in branco come dei cazzo di fuorilegge pronti a disturbare la quiete di quel paesino sperduto tra le montagne abruzzesi. Non ricordo chi fosse il capo della banda, ma di sicuro ricordo che in mezzo a quattro maschi in piena fase ormonale, l’unica ragazza del gruppo era qualcosa di raro e di conteso. E come tutti i film che si rispettino, quella ragazza così tanto contesa, prima o poi avrebbe sfiorato le labbra di uno dei quattro ragazzi, il protagonista carismatico e duro. Tutti volevamo essere il protagonista di questa meravigliosa storia, tutti volevamo uscire vincitori dal viaggio che l’eroe compie per tornare tra le braccia della sua amata. Avevamo la nostra penelope, ma chi di noi era Ulisse?

Il pomeriggio dell’appuntamento, qualche ora prima del tanto atteso calar del sole, scoppiò in me il desiderio ardente di essere protagonista. Ricordo che all’epoca, quando volevo che qualcosa accadesse, come rito apotropaico, iniziamo la frase con :” Tanto non succederà mai che… ” e finivo la frase con quello che desideravo.

Conoscevo ormai la forza di questa antica tecnica. Qualche settimana prima infatti avevo usato tutto il suo potere per ottenere una fetta di prosciutto ad una sagra di un paese vicino. Ero il primo della fila, davanti ad una ragazza grassottella che ormai da qualche ora affettava un prosciutto san Daniele di rara bellezza. Io ero davanti al bancone, vicino a mia madre. Dentro di me volevo quella fetta come se fosse l’unico scopo della mia vita di bambino. La guardavo con lo sguardo ipnotico di uno stregone, e dentro la mia testa ripetevo il solito mantra. ”Tanto non mi darà mai una fetta di prosciutto ”. ”Ti pare che adesso mi da una fetta di prosciutto?” Lo ripetevo con tutta la concentrazione possibile, continuando a mantenere il contatto visivo come se in ballo ci fosse la mia intera esistenza. Avrò ripetuto quel mantra 100 forse 200 volte. Quando all’improvviso la ragazza mi guarda, con l’occhio languido di chi vede un cucciolo di cerbiatto affamato, e mi passa da sopra il vetro del bancone una fetta di quel meraviglioso cosciotto di prosciutto.

”La vuoi..?”

Mi guardava con la certezza di chi sapeva quello che faceva.

Ovviamente la presi, e ringraziai come se niente fosse.

Ma dentro di me sapevo che ero stato io. Avevo piegato l’universo, e costretto quella povera ragazza ignara, ad agire sotto il mio potere.

Mi sentii Dio, più basso ed affamato però.

Conoscevo bene, quindi, il potere di quel mantra grandioso. L’avevo usato altre volte, e non mi aveva mai deluso. Una volta era scattato il verde al primo mantra, oppure un’altra volta mia madre era tornata prima che fosse il mio turno alla cassa del supermercato.

Decisi di usarlo, questa volta, per fare qualcosa di più.

Guardai il crocifisso che avevo appeso sul muro della cameretta.

Pensai intensamente a Francesca, la ragazza della Gang.

E cominciai a recitare il solito mantra.

”Ti pare che piaccio a Francesca?”.

”E’ impossibile che si innamori di me”.

Continuai per una decina di minuti.

Poi d’improvviso venne l’illuminazione.

Erano gli anni del catechismo, e dell’attesa per ottenere finalmente la prima comunione, che significava, almeno per me, essere diventato grande.

Decisi, quindi, di unire al mantra qualche preghiera, soprattutto padre nostro ed Ave Maria. (o forse perché erano le uniche che conoscevo?)

Tra l’una e l’altra feci delle richieste specifiche a Dio, volevo che il cuore di Francesca battesse per me. Volevo si innamorasse di me come io lo ero di lei.

Mi sentivo imbattibile. Sapevo avrebbe funzionato.

Serie: Sopra le nuvole.


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Discussioni

  1. ” E’ veramente un piccolo miracolo, e ti senti unico, perché non è da tutti vivere l’esperienza di guardare le cose da sopra le nuvole. Ti fa sentire leggero, e potente.”
    ❤️