Stasi apparente con rivelazioni

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Dopo una tempesta improvvisa di luci stroboscopiche, che stordiscono Gustav e terrorizzano la cantante, mettendo in fuga la signora volpe, ritorna la calma, oltre a un filo di canto andaluso dalle labbra di Elvira, mentre scende la sera.

Ritornai di colpo al mio presente, quindi alla mia cantante. Allungai una mano sulla porta, la aprii lentamente – lei non si accorse di me. Mi infilai dentro come un ladro. Lei continuò a canticchiare; quando avvertì le mie dita gelide sulla nuca fece un balzo e si voltò, mostrandomi, quasi per ripicca, le orbite completamente bianche. Quell’immagine mi atterrì, facendomi retrocedere con violenza verso l’uscio.

«Aggiusta gli occhi, Elvira! Che diavolo ti succede! Andiamo piantala, adesso. Non sono scherzi da farsi! La smetti?»

«Sono o non sono una cantante morta? Ti faccio impressione, vero? Guarda, non esce nemmeno un po’ di nero. Sono due chiare d’uovo, intatte. Il trucco degli occhi bianchi l’ho imparato da Carlotta, una mia compagna di classe che sognava di diventare medium. Peccato che non ne ha avuto il tempo. È morta troppo presto, precipitando dalla ruota panoramica di un luna park. Prima di salire aveva litigato col suo fidanzato, un tipo aggressivo, gelosissimo, che l’avrebbe buttata di sotto. Solo pochi anni di detenzione, essendo all’epoca un minore, poi l’assoluzione – che lassù non vi erano nemmeno testimoni. Lui ha raccontato in lacrime di non avere nessuna colpa, che di sotto si è buttata Carlotta, di sua volontà, senza che lui muovesse un dito, se non per tentare di salvarla quando ormai era troppo tardi. Ha consegnato delle lettere in cui la mia compagna parlava di spiritismo, di follia, del rapporto dei suicidi con le macchie solari e storie del genere. In fase di appello le hanno tirate fuori, una per una le sue letterine, i suoi bravi avvocati, capisci? Un omicidio che si trasforma in suicidio, cosa ne pensi? Con una vittima che non può difendersi e che guarda caso diventa l’unica responsabile della sua fine. Ti sembra ragionevole? Lo sto chiedendo all’avvocato e non più al direttore della rivista. Saresti riuscito a tirarlo fuori un tipetto del genere utilizzando una manciata di lettere, a mio parere riscritte e artefatte all’occorrenza? Ma perché non mi rispondi, Gustav? Non sai cosa dire? Ti sto mettendo paura? Dimmi la verità» mi disse Elvira, in pieno delirio.

«Devi aggiustare subito gli occhi, per favore! Altrimenti ti lascio qui da sola e non torno più! Lo giuro sulle mie figlie» le dissi, con una mano davanti al viso, non riuscendo a tollerare la visione dei suoi occhi bianchi, lunari.

«D’accordo. Adesso li rimetto a posto. Va meglio, Gustav?» e quando tolsi la mano dal viso ritrovai il suo sguardo di sempre.

«Giurami che non lo farai più!»

«E tu giurami che quando la luce impazzisce non mi abbandoni qui da sola, come è successo poche ore fa. Non credere che abbia dimenticato il tuo comportamento, direttore. È stato inqualificabile!»

«Ma io non volevo abbandonarti. Le luci impazzite, fuori controllo, hanno creato il totale disfacimento degli spazi, dovresti ricordarlo. Ho avuto le vertigini e ho perso anche i sensi. Non ero in grado di fare nulla» le feci, avvicinandomi a lei e prendendole un braccio.

«Sono crollato secco, non so per quanto tempo avrò dormito, e poi… c’è una cosa importante che devi sapere, Elvira.»

«Passami l’accappatoio, intanto» mi disse lei, con tono brusco.

«È qualcosa che sa di incredibile ma che è collegato al guasto delle luci, ma che va ancora oltre.»

«Non me lo ricordare, per cortesia.»

«Ascoltami bene, invece. La novità, tieniti forte, è che l’orchestra darà un concerto notturno all’interno del bosco.»

«Di quale orchestra stai parlando?»

«Della tua orchestra.»

«Ma se sono tutti morti!»

«Lo so benissimo. Infatti suoneranno tutti da morti. È questa la notizia incredibile che ci tenevo a comunicarti» e alle mie parole Elvira piombò secca, con la faccia nella vasca, schizzandomi nel tonfo le braccia e i pantaloni. Feci appena in tempo a sollevarla e a riportarla sul letto, prima che qualcuno bussasse alla porta. Era una cameriera asiatica, sorridente, che teneva tra le mani un vassoio con la nostra cena. Una cena profumatissima, ricca di prelibatezze che mi avvolsero in un benessere profondo. Mi chiese con garbo dove avremmo preferito consumarla.

«Lasci tutto sul tavolino, accanto alla finestra. Così mentre ceniamo guardiamo fuori, come se fossimo al ristorante» le dissi, con tono mansueto.

«Gradisce che le porti la carta dei vini, direttore?»

«Se non le è di peso, signorina, sarebbe magnifico. Ma, aspetti un momento, mi faccia capire: che cosa ne è stato dei famigliari degli orchestrali? Mi era stato detto che avrei dovuto riceverli personalmente qui, all’interno della mia suite, per comunicare loro dei decessi. Ho visto la processione delle auto nere scorrere nel viale, poi più nulla. Le chiedo se lei sia o meno al corrente dei programmi previsti per la loro accoglienza, oltre ai tempi di permanenza» e la cameriera, continuando a sorridermi, mi fece: «Sono andati tutti al bosco per assistere alle prove. La direzione dell’albergo ha preferito che le comunicazioni ufficiali avvenissero dopo il concerto, al fine di non rovinare un momento artistico di rara bellezza e mistero con una notizia tragica. Il concerto si terrà tra due notti; quindi, per il momento, non ha alcun tipo di impegno o di obbligo nei loro riguardi. Ora, se lei permette» mi disse ancora, in procinto di uscire.

«Un’ultima cosa, signorina. Per quanto riguarda il fastidioso assedio delle luci di poco fa – tra l’altro la cantante ne è rimasta terrorizzata, il solo parlarne la mette in ansia – volevo solo chiederle… oh, eccola che arriva. Vieni, Elvira, ti presento la signorina che fa servizio al piano. È la mia personale, immagino. Non è corretto?»

«Non ricordo con precisione, ma forse… sì, è possibile che quando sono di turno al suo piano mi occupi unicamente di lei.»

Quando invece smonta o non è di turno al piano?»

«In quel caso la servirà la signora volpe. Ma, mi raccomando, direttore: non vorrei che le riferisse che le ho servito la cena. Gradirei che rimanesse un nostro segreto, se fosse possibile. Immagino possa comprendermi.  Per quanto riguarda le luci stroboscopiche di cui mi accennava poc’anzi, ne so quanto lei, direttore. Mi dispiace.»

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