Temporale estivo

Serie: Brevi minime di quotidiana transitorietà


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Una finestra spalancata su momenti di umanità pura, a volte dolce, a volte amara, altre volte divertita, ma sempre autentica. Spero che questa raccolta di straordinaria e ordinaria transitorietà, parallela alle mie canzoni, possa piacerti.

Il sole picchia, è appena passata l’ora di pranzo e l’aria tira, ma non tanto da alleviare il sudore che gronda sulla guancia o per evitare che la sabbia prenda la mia forma.

Le onde rompono fragorose, giocose. Sembra che battano un ritmo irregolare, quasi un jazz sincopato.

Non è fastidioso, nel suo essere discontinuo riesce a calmare, una calma interrotta solo dalle urla dei bambini. Urla e risa di chi, trascinato dall’onda, riesce a riemergere orgoglioso dall’acqua mentre genitori preoccupati gridano, non di gioia, ma per lanciare un monito.

“Hai mangiato da poco!” una mamma.

“Pericolosissimo! Stai attento!” avverte un babbo.

Forse non sanno che tra qualche anno avranno nostalgia di quei finti rimproveri.

Ricordo, ricordo bene quanto fossi poco severo nel dire che non potevamo fare il bagno subito dopo aver mangiato. Ma anche noi adulti in fondo siamo bambini, e se ti schizza con acqua salata che fai? Non rispondi? Certo che rispondi, solo che finivamo con la testa sott’acqua poco dopo.

Non si dovrebbe stare troppo sotto il sole cocente del primo pomeriggio, ma costruire un castello è importante. Il cavaliere deve avere la sua dimora, una dimora circondata da un fossato, altrimenti – babbo – che cavaliere è?

La sua mano aveva bisogno della mia per rendere le torri di quel castello sempre più alte, poco importava se la marea passava e distruggeva tutto; la mia mano era sempre lì, pronta a costruire insieme a la sua immaginazione e alle sue risate.

Il sole batte forte, il vento soffia ma non tanto da alleviare il sudore sulla mia guancia, e lui, che non si preoccupa minimamente del caldo, lo intravedo in lontananza con gli amici. Ride, la sua voce spensierata si mescola alle risate della sua compagnia. E’ cresciuto, cresce e crescerà.

E’ passato poco tempo, ma forse un’infinità di granelli di sabbia, anche più di quanti ve ne siano in questa spiaggia, sono scivolati nella clessidra da quando lo tenevo tra le mie braccia. Quando piccolo cercava rifugio nel mio abbraccio.

Mi perdo nei ricordi, avventure e momenti semplici eppure tanto preziosi.

Un bubbolio improvviso interrompe i miei pensieri. Il cielo, fino a poco fa terso e azzurro, lascia spazio a nuvoloni neri che minacciano un temporale. Cerco riparo sotto una vecchia tamerice, proprio quella dove, anni prima, io e mio figlio trovammo riparo da un acquazzone improvviso.

Poco dopo vedo proprio lui correre verso di me, bagnato fradicio. Si accascia accanto a me, al mio fianco come faceva quando era bambino. Sorrido di un sorriso amaro.

“Ricordi Babbo?” dice ansimando, “Tempo fa ci rifugiammo sotto questa pianta, mi raccolsi, protetto e portato al sicuro proprio qui. Sarai sempre il mio rifugio anche se ho affondato le mie radici.”

Le sue parole un boato, più forte di quello che annunciò quel breve temporale estivo. Due radici, due alberi che si sostengono a vicenda.

Il temporale si placa lentamente, lui sorridente corre verso gli amici, e mentre il sole torna a splendere capisco il valore di quelle parole. Sorrido di un sorriso dolce.

Ancora piove sulla mia guancia, ma è una pioggia diversa. E’ una pioggia di gioia, orgoglio, gratitudine.

Serie: Brevi minime di quotidiana transitorietà


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ciao Mattia. Mi fa davvero piacere trovare un tuo racconto pubblicato qui su Open.
    Il tuo testo si fonda su una prosa sensoriale e circolare, che usa elementi naturali ricorrenti, come sole, sabbia, vento e acqua, come struttura emotiva.
    Il ritmo è fluido, costruito su passaggi continui tra presente e memoria, con una sintassi semplice ma intenzionale. Le ripetizioni variate danno coesione e creano un andamento quasi musicale.
    La scena della spiaggia alterna rumore esterno e silenzio interiore, fino al climax delle parole del figlio, momento che, a mio parere, concentra il significato dell’intero racconto.
    La metafora delle radici e la chiusura con la “pioggia sulla guancia” mostrano un uso misurato ma efficace delle immagini, evitando eccessi sentimentali.
    Trovo che il tuo testo sia compatto, ben calibrato e coerente nel tono.
    Spero di leggere presto altro di tuo.