
TERRORE
Rachel colpiva ripetutamente la torcia spenta con il palmo della mano, sapeva che in un luogo così oscuro non poteva fare a meno della luce artificiale. Avanzava a piccoli passi all’interno di quel che sembrava essere un lungo corridoio vestito di tenebre, ornato di strani sibili e agghiaccianti rumori in lontananza. Non incontrando ostacoli iniziò a camminare con più sicurezza, ma sempre più costretta tra le spire dell’ansia e disorientata dal perpetuo buio; scosse la torcia con maggior violenza finché quest’ultima, alla fine, si accese.
Urlò forte, senza riserve, poi chiuse gli occhi e accovacciandosi tremante a terra gridò di nuovo, ma le uscì un rantolo sordo, frutto della più sincera paura. Sicura di tener puntata la luce verso il basso, aprì cautamente le palpebre e guardò di nuovo ciò che la sua mente, poco prima, non aveva pienamente elaborato. Due piedi gonfi e lividi penzolavano ad una ventina di centimetri dal pavimento, sporchi di un liquido nero e denso che colava ammassandosi in una pozzanghera disgustosa all’olfatto e alla vista. Proseguendo verso l’alto si rivelarono due gambe che finivano sotto un vestito chiaro macchiato di sangue, strappato in più punti da evidenti ferite da morso. Illuminò infine il viso pallido di una donna sconfitta, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, abbandonata alla gravità; non era sua sorella, pensò disgustata da ciò che osservava. Le braccia del cadavere salivano oltre la testa e finivano immerse nello stesso liquame color pece che poco prima Rachel aveva visto colare a terra, ma stavolta rappreso come cemento andando a bloccare saldamente gli arti della vittima al soffitto e lasciandola dondolante a mezz’aria. La ragazza prese un avido respiro che le fece gonfiare il petto, poi espirò facendosi sottile e duttile, adattandosi perfettamente al misero spazio tra la parete destra ed il corpo senza vita che preferì non guardare più. Lentamente oltrepassò l’ostacolo a penzoloni pensando che da lì non sarebbe mai uscita viva.
Riprese timorosa a camminare con la schiena curva e la testa incavata tra le spalle; dopo pochi metri non ebbe altra scelta che fermarsi, perché una barricata composta da vecchi mobili rotti bloccava il proseguimento del corridoio. Delle gocce caddero dal soffitto impregnandole le scarpe e Rachel reagì d’istinto illuminando di scatto sopra la sua testa, ma non vide nulla di nuovo oltre alle grosse chiazze rossastre e nere che ricoprivano gran parte delle superfici intorno a lei.
La ragazza si guardò indietro pensando per un attimo di andarsene da quel posto, correndo verso l’uscita e bramando il tepore che solo i raggi del sole primaverile sanno regalarti.
Combattendo la paura tornò in sé, poi notò una porta divelta e sgangherata alla sua sinistra che timidamente la separava da una stanza; era tenuta in piedi solamente dagli stipiti su cui si poggiava, così Rachel allungò la mano per farla cadere ma un suono cupo e inumano, la fece trasalire; del sudore freddo le rigò la fronte. Respiro fuori controllo. Corpo rigido. Panico. Avvertendo uno spostamento d’aria alle sue spalle, puntò la luce in tutte le direzioni possibili senza trovare altro che odori irrespirabili e rumori ostili, poi scivolò nella melma putrida schiantandosi a terra in preda al terrore. Spense la torcia e chiuse gli occhi stringendosi tra le braccia per cercare di fermare il suo corpo in continuo sussulto, ma qualcosa continuava a muoversi in quell’angusto andito; Rachel udì distintamente due, tre, quattro, cinque, sei passi alternati fra loro sulle pareti intorno a lei. Zampe.
– Adesso riaccendo e ti affronto!
Si convinse la ragazza accumulando adrenalina in corpo; aprì di scatto gli occhi illuminando temeraria il soffitto e finalmente vide il crudele incubo che la tormentava, troppo orrendo da poter descrivere, poi completamente succube dell’istinto scaraventò la torcia contro la creatura e prima che potesse attaccarla, Rachel si era già alzata e scagliata contro la porta in legno marcio, sfondandola con una violenta spallata. Atterrò su un freddo pavimento composto da mattonelle spaccate, pezzi di legno e calcinacci, poi spaventata come l’erbivoro braccato dal predatore, si girò sulla schiena puntando i gomiti e indietreggiò aiutandosi con le gambe, senza però riuscire a tirarsi su; la torcia, carambolata sul pavimento del corridoio, partecipava a dei giochi d’ombra prodotti da un mostro che si muoveva come un esercito brulicante di insetti frenetici, spostandosi da una parte all’altra del pavimento, delle pareti e del soffitto, senza rivelarsi mai pienamente.
La ragazza intravide in più fasi delle zampe lunghe e pelose, cucite ad un corpo ricurvo alla base che via via si allungava fra strati di tessuto necrotico trasudante materia aliena spumosa e maleodorante, tenuto insieme da suture che ricoprivano l’intera creatura. Una testa infine si affacciò, sfiorando gli stipiti all’interno della stanza in cui si era catapultata Rachel: capelli corvini a chiazze che mostravano gran parte del cranio e quattro occhi animaleschi, luminosi e senza pupille, vogliosi di coordinare la mandibola piena di denti aguzzi per dare il colpo di grazia alla sua vittima. Rachel piangeva e continuava ad arretrare come un gambero mentre implorava che qualcuno la salvasse, ma la bestia penetrò velocemente all’interno della stanza, poi contrasse i muscoli e agganciata al soffitto appena sopra la sua preda, le si scagliò-
Il lampadario nella stanza di Filippo e Carlo si accese, abbacinando gli occhi dei due colpevoli ancora svegli a mezzanotte passata.
– Aaaah che dolore!
Urlò il piccolo Carlo stropicciandosi gli occhi. Filippo era paralizzato a gambe incrociate sul letto del fratello, con le braccia piegate in aria e le dita delle mani a mo’ di artigli, per aggiungere enfasi alle storie che raccontava. Colto sul fatto.
– Guarda quello scemo! Ancora terrorizzi tuo fratello con quelle storie in piena notte!
Sbraitò la signora De Magistris all’ingresso della stanza con il dito poggiato sull’interruttore della luce. Filippo si guardò attorno in cerca di vie di fuga, ma la madre era già balzata in avanti senza lasciargli scampo e con grande agilità gli mollò un ceffone.
– Aiaaah mamma!
– Mamma non picchiarlo! Gli ho chiesto io di leggermi la storia!
La implorava il piccolo Carlo già rintanato all’interno del suo letto.
– Tu vedi di dormire all’istante che ne ho anche per te! E questo caro il mio “Stephen King”, è REQUISITO!
Disse imperativa la signora De Magistris arraffando come un rapace in picchiata il quaderno intitolato “Storie di terrore e dove trovarle”, in cui Filippo scriveva i racconti che poi recitava al fratello.
– E se vi becco di nuovo alzati quando ripasso, giuro su Dio che lo strappo!
– Mamma prometto che adesso dormiamo, ma domani ridammelo ti prego..
Mormorò Filippo tornando a testa bassa verso il suo letto mentre si massaggiava la guancia dolorante. La madre uscì dalla stanza e spengendo la luce annunciò:
– Sta a te Filippo, comportati bene e riavrai il tuo amato quaderno. In quanto a te scricciolo sotto le coperte, MI SENTI?! Se stanotte hai gli incubi non azzardarti ad entrare in camera mia e di tuo padre!
Appena dietro di lei c’era il signor Franco De Magistris che, tornato dal suo ufficio poco prima, si lavava i denti in mezzo al corridoio con sguardo interrogativo. Mentre la moglie chiudeva la porta, lui rispose “scusa amore” alla domanda: “secondo te è normale lavarsi i denti al di fuori del bagno?”.
I due fratelli rimasero soli, Carlo completamente occultato dalle lenzuola di Superman e Filippo poggiato alla testata del suo letto.
– Filippo?
– Che c’è…
– Dormi?
– Oddio Carlo che domanda è?
– Volevo dirti che la storia MI HA FATTO IMPAZZIRE!
– Grazie ma abbassa la voce.
– Mi ha fatto paurissima più delle altre!
– Si è venuta bene, sapevo che ti sarebbe piaciuta.
– Come finisce?
– Alla fine il mostro se la mangia.
– Cioè… finisce male?
– Le storie dell’orrore non sempre finiscono bene, Carlo.
– ….
– Non…non lo uccide il mostro la-la ragazza?
– No Carlo non lo uccide, ma perché stai ancora sotto le coperte? Mamma è andata via eh.
– Si ma c’ho un po’ paura.
– Oh non ti azzardare ad andare da mamma e papà che quelli mi ammazzano.
– Il mostro è ancora vivo però…
– Carlo, mamma mi uccide.
– Tranquillo Filippo… dormo qui.
– ……
– ……Filippo?
– Oddio Carlo ma vuoi dormire!?
– Filippo io mi sto cacando sotto!
– Vuoi che mi metto vicino a te?
– NO VOGLIO ANDARE DA MAMMA!
Piagnucolò ad alto volume il piccolo Carlo uscendo improvvisamente dal letto come un vietcong e accendendo a più tentativi la abat-jour sopra il comodino. Filippo provava a bloccare il fratello, ma già sentiva i passi pesanti di una donna sui quaranta perennemente incazzata: sua madre. La porta si spalancò rivelando un viso corrucciato madido di una crema “effetto rigenerante” ed un corpo massiccio coperto da una vestaglia rosa, coordinata per colore a delle pantofole di pelo sbiadite.
– IO NON SO PIU’ CHE FARE CON VOI!
Mentre la madre eruttava di rabbia, il piccolo Carlo chiese al fratello se per la storia del mostro si fosse ispirato a lei e Filippo, ridendo sotto i baffi, disse:
– Ti odio nano cacasotto.
Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Umoristico / Grottesco
Adoro il piccolo Stephen King, non è che hai altri di quei racconti che ha scritto in “Storie di terrore e dove trovarle”? Bellissimo il finale (quasi mi auguravo fosse un sogno), mi ha fatto sbellicare la fonte di ispirazione di Filippo. Ma in fondo, non succede sempre così? Chi ama scrivere a volte non si discosta tanto dalla realtà, anche magari gli dà un paio d’occhi in più ;D
Ce n’erano di storie all’interno di quel quaderno, purtroppo quel “mostro” della madre lo ha strappato senza pensarci due volte! Fortunatamente Filippo le ha tutte in testa, deve solo far mente locale e scriverle prima che si dimentichi ;D
Felice e onorato che tu abbia apprezzato il racconto nel suo complesso, grazie davvero Micol <3
Interessante.
Grazie xamax😁