The sound of silence

Serie: Daydreamer


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Kassandra cerca di farsi nuovi amici, e incontra Davide, decidendo di offrirgli un pranzo.

~Davide.~

Le due ragazze si guardavano intensamente, anche troppo per i miei gusti. Nel filo invisibile che congiungeva i loro occhi correvano ricordi, discorsi, ma soprattutto silenzi: parole non dette, anni di parole non dette probabilmente, e mi sentivo di troppo. Il primo dubbio mi era sorto quando la sconosciuta di nome Milena aveva chiamato la persona che mi sedeva davanti Carmen: non si chiamava Kassandra? Qualcosa non tornava in quella vicenda, e per un attimo rimpiansi di non essermi accontentato, per l’ennesima volta, della monotona vita che conducevo a Roma: tutti quegli anni di sconcertante piattezza mi avevano messo nelle condizioni di non riuscire a gestire qualcosa di insolito.

“Che ci fai qui?” chiese Kassandra, triste.

“Potrei chiederti la stessa cosa” ribatté Milena, sconsolatamente. Cosa stava succedendo? Perché il loro rapporto era così teso? E se..? Mi fermai un attimo per bloccare quello che si definisce overthinking, e mi resi conto che la fine del loro discorso era quasi giunta.

“Siamo entrambe su quest’isola, vediamoci qualche volta, io abito nell’ultima casa della traversa qui a destra” disse Kassandra in tono piatto.

“Va bene, sono all’Hotel Blue Dream per altre due settimane, passa quando vuoi” fece Milena con un tono identico. Sapevano entrambe perfettamente che non si sarebbero più viste, e altrettanto bene l’avevo percepito io, eppure cercavano di portare avanti quell’assurda pantomima. Si salutarono senza sorrisi né affetto, poi Kassandra mi rivolse uno sguardo rassegnato, come se si aspettasse una domanda. Inizialmente rimasi zitto, ma i suoi occhi riflettevano un tale desiderio di sentirsi rivolgere certi interrogativi che non riuscii a tirarmi indietro.

“Carmen?” chiesi, tremando per la perplessità che traspariva dalla mia voce. Kassandra tuffò gli occhi nel blu della caldera e sospirò, poi. cominciò a parlare.

“Sì, Carmen. È il mio nome di battesimo, la verità è che io sono qui per lasciarmi alle spalle un’esistenza ingrata, visto che ho passato anni a dedicare tempo a gente che non se lo meritava, tra cui Milena. Kassandra è uno pseudonimo per dimenticare.”

Si fermò un attimo, poi riprese, e ascoltai una storia da non credere: uno zio ricco defunto, tre case di cui una a Santorini, altrettanti amici che non si erano rivelati tali, e nel mentre mangiavamo. Un telefonino staccato. I documenti in un cassetto. Come finii l’ultimo pezzo di moussaka lei mi sorprese.

“Scusa, non ho più voglia di parlare di questo” si lamentò, “passiamo ad altro: vuoi trattenerti a Santorini a lungo e non sai dove stare, giusto?” Esitai: spiegandole che mi ero appena licenziato e volevo restare sull’isola per più tempo possibile.

“La casa di zio Luigi ha due appartamenti, e quello al piano di sotto è vuoto. Ti andrebbe di trasferirti da me? Non pagheresti nulla” mi chiese, con una semplicità disarmante. Volevo rifiutare, ma c’era qualcosa nel suo sguardo che mi diceva che quella non era un’opzione.

“Davvero posso? Ci siamo appena conosciuti” le chiesi a bassa voce, esitante.

“Certo, zio Luigi mi ha insegnato la generosità” affermò orgogliosamente. Il cameriere ci portò anche due kataifi, e una Kassandra pagò, malgrado la mia resistenza, prima che ci avviassimo verso casa sua. Mi disse di aspettare al pianterreno mentre lei andava su, e ridiscese poco dopo con un mezzo di chiavi, con un portachiavi a forma di rosa dei venti, che mi mise in mano, e mi indicò la porta che mi stava davanti.

“Prego, questa per qualche giorno sarà casa tua, accomodati. Qualunque cosa ti dovesse servire, sali senza problemi” disse, prima di avviarsi su per le scale.

Afferrai il manico della valigia ed entrai nell’appartamento. Tutto profumava di fresco, e c’erano piccole piante di orchidee finte da tutte le parti, che conferivano un piacevole nota di colore in netto contrasto con il buio che regnava sui miei pensieri: tutto ciò a cui avevo assistito mi aveva lasciato sconvolto, e pensai che l’unica cosa da fare era sedermi nel terrazzino in fondo al soggiorno e rilassarmi guardando il mare. Abbandonai la valigia vicino alla poltrona e corsi ad aprire le imposte: una folata di una brezza fresca e salmastra mi passò fra i capelli, portando con sé una nuova sensazione di libertà. Mi adagiai su un divanetto di vimini e sprofondai nell’abbraccio di Morfeo.

Mi risvegliai dopo qualche ora, molto riposato. Mi alzai, ma fui bloccato da una fitta al collo: addormentandomi con il lato destro esposto al Sole, mi ero bruciato nel punto dove avevo la voglia, così pensai di andare da Kassandra per chiederle se avesse una pomata da applicare, ma fui bloccato dalle note di una chitarra che venivano dal piano di sopra. In pochi secondi, una voce meravigliosa iniziò ad intonare “The sound of silence”. Mi arrestai, incurante del fuoco che ardeva nel mio collo: quella non era una semplice canzone, ma un’allegoria di quanto avevo visto e sentito quel giorno. Gli anni di silenzio fra Milena e la mia benefattrice avevano un suono, e tutto quello che lei cantava era vero. Il silenzio cresceva come un cancro, e consumava le loro vite fino a straziarle nel più nero buio dell’indifferenza. Non potevo sapere esattamente quali fossero i trascorsi delle due, ma i pochi elementi a mia disposizione parlavano di una ragazza che era stata data per scontata. E se il suo silenzio mi appariva intollerabile, che dire di quello che mi era stato imposto da mio padre? Anni di sogni ed emozioni repressi, in cui avevo dovuto dire a me stesso che dovevo rientrare nei canoni della mia famiglia. Il silenzio continuava, adesso che lui non poteva più parlarmi, e vidi, nella mia mancanza di ribellione, un’occasione sprecata. Eppure, se anche avessi parlato, lui avrebbe potuto sentirmi, ovunque fosse nel cielo, sempre che fosse lì e non nelle profondità della Terra. Decisi che dovevo assolutamente parlare, e sfogarmi con lui per tutte le strade che mi aveva precluso, così iniziai un dialogo solitario con quella persona che tanto mi aveva limitato. Gli rinfacciai tutti i torti subiti finché non scese la sera, il dolore al collo divenne troppo forte e fui costretto ad andare da chi mi ospitava in cerca della pomata.

Serie: Daydreamer


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