Ultimo giorno in città

Serie: Solo


Il ragazzo racconta la sua storia e il perchè sia necessario lasciare il suo nido "sicuro"

Ho preso la mia decisione. Quando la fine è arrivata avevo solo tre anni, quindi sono cresciuto in questo mondo barbaro e violento. I miei genitori erano persone giuste, e questa è stata la mia fortuna. I valori che mi hanno trasmesso sono la cosa più preziosa che ho, assieme al loro ricordo. Ogni notte nel buio ripeto i loro insegnamenti, perché non voglio dimenticarli per nessun motivo. Grazie a loro posso discernere la differenza tra un uomo e una bestia, perché in un mondo buio è facile smarrire la luce che ci rende umani.

Qui dove vivo, nel centro di quella che un tempo era una grande città – i soprusi sono all’ordine del giorno; le bande armate non hanno pietà di nessuno e persino i ragazzini uccidono per un pezzo di pane.

Da anni vivo senza i miei genitori, che sono stati deportati in chissà quale remoto angolo di mondo. Di loro non ho notizia da diversi anni. Divenni orfano nel cuore di una gelida notte: allora la zona era controllata da una milizia di criminali, che gestiva una miniera a sud e reclutava forzosamente schiavi.

Fecero irruzione violentemente, mia madre venne stuprata e mio padre pestato a sangue. Io – avevo cinque anni – ero nascosto sotto il letto e piangevo in silenzio. La mia piccola e innocente anima fu per la prima volta violata dall’esperienza del dolore e della violenza, cambiandomi per sempre. Poi tutti tacquero, e io rimasi ad ascoltare i colpi sordi del bastone contro la carne, quelli più forti del tavolo contro il muro a ritmo.

Terminata quell’orgia demoniaca, vennero portati via. Non salutarono; non dissero una parola per me; probabilmente erano ridotti talmente male da non ricordarsi di avere un figlio. Addio Mamma, addio Papà.

Da allora e fino ad oggi ho vissuto con una vecchia, una donna amica dei miei. Viveva nella baracca vicino a noi e aveva sentito tutto, senza però muovere un dito per salvarli. Con il tempo ho realizzato che forse è stato meglio così, altrimenti non avrei avuto nessuno. Il mondo è egoista, non è vero?

La vecchia era entrata in casa la mattina dopo, trovandomi sul letto sveglio, seduto con le gambe incrociate e lo sguardo perso. I suoi occhi, stanchi ma pieni d’amore, avevano fissato i miei, addolorati e allagati dalle lacrime. Smisi di piangere; sembrava un angelo venuto dal cielo per salvarmi dall’inferno.

“Piccolo mio. I tuoi genitori sono andati”

“Lo so”

“Fa freddo qui, vieni con me. Vuoi bere dell’acqua calda?”

“Non ritorneranno, vero?”

“Non lo so”

“Ok, voglio l’acqua calda”

Da allora lei è la mia famiglia. Ora però non sono più un bambino e non ho più bisogno di lei. Cerco ogni giorno di non diventare come gli altri, e per questo sono in conflitto con loro. La metropoli mi sta stretta e mi sento soffocare. Voglio scappare, andare lontano. Dimenticarmi di questo posto e di questa gente.

“Dove pensi di andare, credi davvero di trovare il bene, in questo mondo? Ma poi, in cosa consisterebbe il tuo bene?”

Questi i discorsi che sento ripetutamente – ovviamente con errori grammaticali e accento da bifolco. Ora non cerco nemmeno di convincere altri a seguirmi. Sono solo.

È opinione comune che da qualche parte al di là della giungla di cemento, fuori dalla metropoli, vi siano le montagne. Adesso non si vedono per via della nebbia e dei fumi che opacizzano l’orizzonte. Ma ci sono. Sulle montagne il cielo è azzurro e l’erba e i fiori compongono un quadro colorato, non grigio come qua. Gli animali pascolano indisturbati nelle infinite distese verdi.

Inutile dire che questa è una meta per sognatori; forse nessuno ci è mai arrivato. Forse questo posto non esiste.

Spostarsi nella metropoli non è semplice, anzi è mortale il più delle volte. Le strade sono popolate da bande di predoni armati; eserciti in guerra tra di loro per un pugno di polvere; nulla da mangiare, l’acqua è inquinata quasi ovunque. Desolazione, tristezza e morte.

La mia decisione non è semplice: il centro della metropoli, nel suo squallore, offre tutto quello che il nuovo mondo ha da offrire. Lavoro e cibo di sussistenza. Non è molto, ma per coloro che lottano per sfuggire alla morte è una piccola garanzia, e quei pochi che osano rinunciarvi per chissà quale luogo incontaminato e colorato vengono emarginati. Sono dei poveri illusi, dei pazzi visionari. La società ti porta ad abbandonare il ricordo dell’amore e della bellezza, spingendoti a diventare un mostro.

Lotto ogni giorno per ricordare la differenza tra un uomo e una bestia. Io sono un uomo.

Non amo questa gente e sono impaurito dai volti che mi circondano. Cerco la solitudine, e con essa la pace.

Quello che penso è che a volte vale la pena rischiare, perdere tutto; specialmente quando non hai più nulla

Ho preso la mia decisione, partirò domani all’alba.

La vecchia è preoccupata, ma non ha tentato di fermarmi. L’ho implorata con le lacrime agli occhi di venire con me, ma ha rifiutato convinta di essere per me un peso in questo duro viaggio.

“Ho vissuto in felicità. Conservo i bei ricordi della mia gioventù e questo basta a scaldarmi il cuore per sopportare il freddo. Ma tu, ragazzo, sei nato e cresciuto nel grigiore, e questo ti ucciderà. Vai e cerca la gioia, cerca i prati verdi e i pascoli. Trova la pace, l’amore, e vivi a lungo. Non sprecare il tuo cuore in questo squallido inferno”

Ora mi trovo sul tetto di un palazzo, lo stesso sul quale vado da quando sono bambino. Mi piace stare in alto, lontano dalla strada. Mi fa sentire libero e sicuro. Da qui posso osservare tutta la città: è immensa e ne vedo a fatica i confini. Una distesa grigia spezzettata dalle strade, che si estendono come arterie di asfalto nero dal cuore di un mostro di pietra.

Prendo un binocolo e osservo. Automobili per le vie, brandelli di vetro ovunque. Un edificio è crollato, lasciando intravedere dentro di esso il mobilio ormai marcio. Un tempo poteva essere una casa. Più vicino al centro, ai lati della strada, gli edifici freddi dentro ai quali viviamo emanano sbuffi di fumo e bagliori di fuoco dalle finestre. Più in là, la monotonia è impressionante; cemento e lamiere, automobili e camion. Mi affascina – e mi spaventa – vedere il mondo nel momento in cui si è fermato. Sembra di guardare una fotografia, un paesaggio immobile e morto per sempre.

Scende il buio e fa freddo. La creatura di cemento inizia a emettere i suoi rumori sinistri; era un grido quello?

Ho paura.

* * *

La lama del coltello sulla gola è fredda, spietata e veloce come il morso di un cobra. Lampo nella notte. Dopodiché il sangue, linfa vitale del nostro organismo, sgorga a fiotti dalle arterie lacerate. Ti porti la mano sulla gola e ti accorgi che si è aperta in orizzontale in un taglio netto. La carne viva brucia al contatto con le dita luride e infette. La vista se ne va pian piano; il dolore scompare e la mente scivola in uno stato di confusione quasi rilassante. Negli ultimi istanti non c’è spazio per la tristezza o la comprensione verso chi soffre vicino a noi. La morte ci porta ad essere noi egoisti, seppur contro la nostra volontà.

 

Tenebre.

 

Sono morto?

Serie: Solo


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. È un racconto che opprime, che grava sulle spalle del lettore, mostrandogli apertamente tutto il grigiore e lo squallore di questo distopico mondo post-apocalittico senza giri di parole.
    Sei stato molto bravo nel trasmettere queste emozioni. Mi piace molto anche il conflitto interiore del protagonista, che fa di tutto per restare umano.