Un volo amaro

Serie: WAKE UP


Nella città di Leeds, Lucas è schiacciato tra il futuro incerto e l'amicizia pericolosa di David. L'unica speranza è il professor John, finché il dolore per l'omicidio della moglie non lo spinge verso l'oscurità.

Quando il sole scivola dietro l’orizzonte, miliardi di luci si accendono, delineando i confini del genere umano. Appaiono dallo spazio come neuroni collegati da sinapsi: città, paesi e villaggi, che comunicano tra loro come un gigantesco cervello.

L’umanità pulsa. Pensa. Sbaglia.

A Leeds, in quel groviglio di connessioni, una scintilla — l’eco di una scelta — combatte la sua battaglia contro l’oscurità.

E quella scintilla esplose in un boato che squarciò la notte.

Sull’asfalto lucido della Call Lane, i vetri sparsi scintillavano come diamanti sotto la luce dei lampioni. Sembravano pezzi di un sogno in frantumi.

Liam pensava di diventare un eroe, invece era rimasto immobile come un idiota, mentre le sirene della polizia si avvicinavano urlando.

Le senti sempre le sirene, ricordandoti che sei solo un povero fallito.

Le mani gli tremavano. Lo sguardo era fisso sul furgone incastrato nella saracinesca di quella gioielleria. Oro, gioielli, soldi, cose che fanno impazzire e che Liam non avrebbe mai visto, mai avuto.

Mentre il cofano fumava, sotto, lentamente si allargava una macchia scura e densa.

«Cazzo, Liam! Muoviti!» urlò qualcuno dall’auto. I fari puntati su di lui come occhi nella notte, ma Liam non rispondeva.

La paura. E l’incredulità.

Solo una parola gli sfuggì dalle labbra: «Lucas…»

Poi, quella stessa voce rabbiosa lo afferrò per un braccio e lo trascinò nell’auto.

«Andiamo. Sta arrivando la polizia, amico.»

L’auto sparì sgommando, lasciando solo le tracce dell’idiozia umana.

Più in là, il quartiere di Chapeltown.

Immobile, immerso in una calma apparente.

Tra i mattoni neri, solo una finestra tremolava di luce. Indecisa se restare viva o cedere al buio.

Sullo schermo, Tim Robbins veniva spinto lungo corridoi deformi, in un ospedale che sembrava un incubo.

«Ma che razza di posto è questo?» sussurrò Lucas, sdraiato sul divano. Seguiva la scena, ma non guardava davvero. La mente era altrove.

Il mare. Il Malecon, i tuffi tra le onde.

L’Avana, lenta, dura, piena di niente e di tutto..

Poi, tra un bagliore e l’altro, il suo riflesso apparve sullo schermo e tornò alla realtà.

Un fantasma. Pallido. I capelli lisci e neri appiccicati come pece sulla fronte. Gli occhi scavati, la barba dimenticata. Non si ricordava neanche come fosse arrivato lì.

Sembrava un altro uomo, già stanco della vita. Eppure era solo un ragazzo.

Stava per alzarsi quando un rutto gli riportò in gola il sapore amaro della birra.

Con un sospiro si tirò su, cercando il telecomando tra i cuscini sporchi.

«Che schifo», mormorò, tirando fuori ciuffi di peli e briciole.

Affondò la mano e afferrò quel dispositivo della Philips, unto e appiccicoso.

Spinse un pulsante e strofinò le dita sui pantaloni.

L’immagine svanì in un puntino. Restò solo il frigorifero a ronzare come una bestia che dorme male.

La stanza puzzava di fumo. Sulla moquette, un campo di bottiglie e lattine vuote.

Dave, il padrone di casa, viveva nel disordine come in una seconda pelle.

Lucas ci galleggiava dentro, senza più fiato né memoria.

Si alzò. Le gambe cedettero, una vertigine lo attraversò.

Cassie prese subito possesso del divano. Alfie, l’altro cane, lo seguì con passo pigro fino in camera, per poi scomparire sotto il letto. I cani non erano suoi, ma sapevano che era lui a occuparsi di loro.

Era l’una e venti quando si sdraiò.

Il materasso lo risucchiò.

Tutta quella fottuta birra. Ancora una volta non era riuscito a dire di no a Dave.

Il soffitto lo fissava. Non riusciva a smettere di pensare a lui, e a quell’idiota di Liam.

A ciò che aveva fatto quella notte, sulla Call Lane. Una follia.

L’alcol, i discorsi sbagliati, tutto gli tornava a ondate confuse.

Non doveva trasferirsi lì. Non doveva.

Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Si rannicchiò sotto le coperte come per scomparire, lasciando che il sonno lo inghiottisse in un abisso senza fondo.

Quando riaprì gli occhi, fuori era ancora buio.

«Ma che ore sono?» Aveva dormito tutto il giorno?

Non è possibile, pensò. Perché nessuno mi ha svegliato?

Si alzò e si vestì. Guardò sotto il letto, ricordandosi che Alfie ci si era ficcato sotto, ma non era lì.

Gridò il nome di Dave. Nessuna risposta.

Si precipitò giù per le scale, saltando gli ultimi gradini.

Cassie era sul divano, alle prese con un osso che non finiva mai. A parte lei, la casa era vuota.

I progetti di Dave. «Oh, no…» Il pensiero gli trafisse il petto.

Doveva trovarlo prima che fosse troppo tardi.

Corse fuori. Il deserto. Chapeltown era vuota, ma era talmente in ansia per il suo amico che non se ne curò.

Cominciò a correre, sempre più veloce, finché — agitando le braccia — si rese conto che, con piccoli balzi, riusciva a percorrere diversi metri.

Poi capì. Accelerò i movimenti e si sollevò da terra.

«Cazzo, sto volando!» gridò, eccitato.

Da lassù, Leeds era bellissima. Sembrava pulsare. Ogni luce una cellula viva, ogni strada un nervo.

Il quartiere in cui viveva sembrava un enorme circuito stampato. Le case conficcate sull’asfalto come centinaia di cubetti di Lego.

Lucas si sentiva finalmente libero. Vivo. Il peso era sparito.

Fluttuava nell’aria; tra giravolte e piroette sfrecciava sempre più in alto e più veloce.

Vide un bagliore nel cielo, cercò di raggiungerlo, ma durò un istante.

Il cielo si chiuse come un pugno e la vertigine tornò, feroce.

Cadde. Un tonfo e aprì gli occhi.

Ansimando, sputò il vomito sulla moquette.

Quel dolore sordo, che lo aveva accompagnato prima di addormentarsi, ora si era trasformato in un supplizio pulsante.

Strisciò fino al bagno, continuando a vomitare. I succhi gastrici gli bruciavano lo stomaco e la gola.

Disteso a terra, con le cosce nude sul pavimento gelido, abbracciò il water preso dagli spasmi. Cercò di riprendere fiato, promettendo a se stesso di non bere mai più.

Tornò in camera, ansimante. Ma appena entrò, un grido gli si strozzò in gola:

«Che fai?»

Alfie era lì, chino sul suo rigurgito, la coda che si muoveva piano. Continuava a leccare. Era rimasta solo una chiazza gialla sulla moquette.

«Basta…» sussurrò, con una voce che non gli apparteneva più.

Si lasciò cadere sul letto.

Niente più cielo, niente nuvole. Solo la moquette sporca, il vomito e i guai in cui si era cacciato.

Chiuse gli occhi. E capì che il sogno non era volare. Era cadere.

E in quella caduta, forse per la prima volta, Lucas sentì di toccare la verità.

Continua…

Serie: WAKE UP


Avete messo Mi Piace8 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ciao Gianluca! Il tuo stile è notevole: ottimo ritmo, scrittura cinematografica, metafore azzeccate. Quello che però ho amato è il connubio di tematiche: un pulp (quasi punk) elegante misto ad atmosfere nere (noir o dark? Si vedrà) con incursioni nel sogno. Bellissimo👏🏻

  2. Ciao Gianluca, un incipit scritto bene che cattura il lettore. Hai una scrittura matura, le descrizioni sono chiare, evocative. Puoi focalizzare l’ambiente in cui si svolge la scena e il personaggio. Devo dirti la verità: io di solito sottolineo le cose che mi distraggono dalla lettura ma nel tuo caso non ho trovato niente di così impattante. Bravo 👏👏

  3. Complimenti @G.B. mi hai tenuto incollato al racconto dall’inizio alla fine dell’episodio.
    La narrazione è piena di momenti di grande intensità e il tuo stile (forse perché lo trovo vicino al mio) lo trovo realistico, seppur la storia lo sembra poco, e soprattutto lo trovo empatico nella descrizione.
    Una bella lettura.

  4. Eh Lucas, ragazzo mio, anch’io quand’ero giovane mi sono fatto canne e bevuto alcol contemporaneamente… non si fa, prima voli e la mente è leggera, ma poi, quando l’alcol ti rovescia lo stomaco cadi a precipizio e ti ritrovi con la testa nel water a buttar fuori il meglio di te. Mi è piaciuto il tuo racconto, la descrizione iniziale della terra in notturna è notevole però poi scivoli un po’ nel decadente di maniera: “marciapiedi luridi” (perché?), lercio dispositivo e tutto un ambiente sporco e rivoltante. Logico pensare che tutto quell’uso di termini negativi stia a rappresentare un malessere esistenziale, ma lo trovo un tantino forzato. Ma la mano è buona e le intuizioni ci sono, quindi passiamo al prossimo.

    1. Ciao Giuseppe,
      Bella domanda! Volevo che il degrado fosse un tema centrale del testo. Ho usato Chapeltown come cornice ambientale per suggerire un’atmosfera complessa e degradata, mentre l’immagine del telecomando lercio/appiccicoso è un dettaglio specifico che serve a rendere tangibile la sporcizia e l’abbandono in cui vivono i personaggi. I miei testi ancora non mi soddisfano, e il tuo commento mi fa capire che potrei star forzando la mano in alcuni passaggi. Aspetto altri pareri per capire dove correggere il tiro. Grazie ancora! Vediamo cosa ne pensi del prossimo episodio.

  5. È strano, sono sicura di aver già letto e commentato questo episodio, ma il mio commento non c’è 🤔 Adesso lo rileggo e ricordo di aver apprezzato molto l’immagine delle città viste dallo Spazio. Strano, molto strano. Comunque, commento adesso con un “bravo”! Mi è piaciuto molto 🙂

  6. Un incipit che sa di birra stantía e decadenza. Mi piace il modo ordinato e limpido con cui racconti. Ho notato l’epigrafe che contestualizza la vicenda e mi sono chiesta se per caso non si tratti del seguito di qualcosa che non ho ancora letto.

    1. Ciao Francesca! Mi fa davvero piacere che ti sia piaciuto 😊 Un volo amaro è il primo episodio della serie Wake up. Poi ho pubblicato Il risveglio. Vorrei continuare con i prossimi episodi, ma prima aspetto qualche opinione per capire se sto andando nella direzione giusta. Grazie per aver letto.

  7. Il racconto ha una forza cinematografica notevole.
    L’apertura è perfetta: l’immagine del pianeta visto dallo spazio, con le luci che si accendono “come neuroni collegati da sinapsi”, crea un bel ponte visivo.

  8. Il testo mi ha colpito per l’atmosfera intensa e quasi cinematografica che riesce a creare. Una delle sue forze maggiori è la capacità evocativa delle descrizioni, soprattutto dove paragoni le luci notturne delle città ai neuroni di un cervello. Mi è sembrata un’immagine potente e originale che apre il racconto con suggestione.
    Tuttavia, se me la passi, all’inizio del testo il passaggio dal presente al passato avviene in modo un po’ repentino, e questo può rendere meno chiaro il tono narrativo. Con una gestione più fluida delle concordanze verbali, soprattutto nelle prime righe, l’incipit sarebbe risultato ancora più scorrevole e coinvolgente.
    Mi sembra comunque un buon inizio per una serie 🙂

    1. Grazie mille! Sono molto contento che l’atmosfera intensa e l’immagine dei neuroni ti siano piaciute. Apprezzo tantissimo l’osservazione sull’alternanza dei tempi verbali all’inizio. L’uso del presente universale “Un pianeta è…” seguito dal passato è una scelta stilistica voluta per ottenere un effetto di “zoom in” narrativo. L’obiettivo è fissare nella mente la prospettiva cosmica prima di tuffarsi nella trama vera e propria. Spero non sia un errore. Terrò comunque a mente il tuo feedback per assicurarmi che, nonostante l’intento, la transizione risulti il più scorrevole possibile per tutti i lettori.