Una brutta giornata

“La probabilità di un evento A è il rapporto tra il numero di casi favorevoli al

verificarsi di A (n) e il numero di casi possibili (N), purché tutti i casi siano equiprobabili.”

                                                             P(A) = n / N

Un uomo accampato sul suo divano, azzanna pollo fritto con cipolle, acciughe e

peperoncino. Guarda niente in Tv, bevendosi il vulcano che mastica (lattina o vetro

purché spurghi).

Ogni tanto cambia canale, perché il niente in Tv è un modo come un altro per

pensare… ad altro. Alla fila al centro per l’impiego alle otto del mattino, ad esempio.

All’impiegata con la smorfia grassa sulla faccia tonda sotto gli occhialini da talpa,

che vomita eh! eh! eh! a ogni passo della sua lunga astinenza lavorativa

documentata. Un cenno di solidarietà caritatevole recitato come un atto di dolore a

ogni stazione di via crucis.

Il nostro eroe, al di là del bancone, sta guardando il film della sua vita, seduto su

una nuvola. Rivede le scene, zuma sui particolari. Magari con una colonna sonora

più adeguata, con effetti speciali al cardiopalma, il lungometraggio sarebbe stato

più interessante? O forse era il soggetto, che non aveva spessore?

Eppure era un volto noto un tempo, la sua faccia ovunque, sguardo intelligente e

languido sorriso da uno spot televisivo, l’immagine di un santino a benedire

volantini, riviste e rotocalchi, la sua presenza in ogni logo all’insorgenza del web.

Uno stalker rassicurante cui chiedere un autografo e una foto ricordo. Eppure…

Come i poeti di una sola poesia.

Avrebbe voluto dire “Ma lo sa chi ero io?”, con una punta d’orgoglio e ravvivare così

il tono dimesso da questuante con il cappello in mano, quando l’impiegata gli

propone un imperdibile lavoretto a chiamata, l’asticella della sua autostima

precipita.

«Bisogna dire che oggi è proprio il suo giorno fortunato. Un network sta cercando,

per un nuovo programma televisivo, un… diciamo… incompiuto, ecco.»

“Un termine tecnico utilizzato per non infierire” pensa il nostro eroe, osservando 

il mausoleo in completo grigio ravanare nella sua coscienza con dita consumate da

tastiera.

«Il programma si chiamerà: Non fare come me. Un conduttore la intervisterà sul

suo vissuto. Potrà portare in scena documenti, foto, qualsiasi cosa a testimonianza

di ciò che dirà. Il target cui è rivolto copre una fascia generazionale a rischio, quella

che chiamano “la fioritura”. Cercano esempi, diciamo particolari… ecco, da esibire,

affinché non vengano seguiti… capisce? La proponiamo e le faremo sapere.»

“Le faremo sapere”, una citazione famosa negli ambienti degli addetti alla

somministrazione lavoro.

Il nostro eroe aveva ascoltato la sua benefattrice in coatto e ovattato silenzio,

tenendo in pugno tutte le pietre raccolte e mai tirate.

E adesso è lì, accampato sul suo divano, a dar via ancora un goccio e mandare giù

il morso e il niente in Tv. Un modo come un altro per pensare… ad altro. A quella

vocina insistente che si fa strada dentro la sua testa, ad esempio, tra deviazioni e

variabili impazzite, ed è da lì che s’inizia a morire, per difetto d’immortalità. Una

vocina insistente che gli suggerisce “un salto nel nulla”, il filo conduttore di un corto

circuito sul finale di una parabola decadente, faticosa da subire, come un grande

peso sulle spalle e il fiato corto, al ritmo lento di un passo dietro l’altro.

Sì, un salto nel nulla: ecco, se avesse una pistola, si sparerebbe.

Un colpo secco, alla tempia, cosicché l’eco riempirebbe le stanze sgombre di quel

contenitore sottovuoto, che è il suo cervello.

Se avesse una pistola?… l’accarezzerebbe, come si fa con una donna che si lascia

amare, una pianta cui lucidi le foglie mentre le parli, un desiderio, la cura di un

istante indefinito.

Se avesse una pistola… sarebbe consapevole di ogni centimetro della sua

consistenza, come in uno stato alterato di simbiosi empatica, ne assumerebbe

l’appartenenza, trasformandosi nella sua stessa essenza.

Così, sarebbe metallo freddo di ogni sua particella, il meccanismo che giustifica il

suo ruolo, il suo proiettile, la soluzione.

In quel suo spazio, buio come l’abisso di ogni perdizione, la speranza di

un’esplosione che sani ogni cicatrice, frantumandola.

A chi, a cosa, presenterebbe la sua anima, la sua infame deposizione da falso

testimone di un imbroglio?

È una domanda che sfuma sull’allegro motivetto della soneria del cellulare, tace

qualsiasi plausibile risposta e inquina l’atmosfera già gravida di assuefazione.

Che qualcuno stia tentando di dirgli che è già morto?

Riemerge dal divano e un’acciughina cipollata si stacca dal morso, atterra sul

pallone gonfio di lardo, incastrandosi fra i peli sudati.

Afferra il cellulare e risponde.

La voce al telefono si qualifica come agente assicurativo, gli comunica che riceve

questo genere di attenzioni perché è un codice inserito nella banca dati spam,

settore comparse pubbliche svanite nel nulla. Lo informa che no, non è uno

scherzo, e poi gli chiede se ha già stipulato una polizza: “… perché, caro signore, le

sue aspettative di vita non le consentono di rimandare oltre … ”

Riaggancia.

“Una sottile ironia elimina scorie e cura malesseri passeggeri”, gli viene da dire,

barcollando sbilenco fino al divano in cerca di briciole e dell’ultimo goccio.

“Lasciati prendere così, per il collo”, consiglia in Tv lo spot di una cravatta, bella,

elegante, che andrebbe bene sulla sua camicia azzurra da abbinare al vestito buono.

“Può sembrare inquietante”, pensa, fissando l’immagine di un cappio di seta, che

muore sul ghigno beffardo di una sonora risata.

Fuori è già sera e si respira aria di pioggia.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. In consonanza con altri commenti, il racconto dipinge un labirinto che non ha via d’uscita. Lo fa in modo cruento, sacrificando in parte persino l’ironia e costringendo idealmente il lettore ad alzare le braccia per darsi riparo. E’ efficace, anche troppo, nel non lasciare spiragli. Ho inteso la formula in premessa come un rafforzativo, ove ce ne fosse la necessità, a sostegno dell’assenza di scampo. L’omissione dal postulato che “i casi possibili devono essere noti”, enfatizza una ferina ineluttabilità. Grazie per la lettura, sui commenti sto prendendo ancora le misure, anch’io qui sono appena arrivato.

  2. Il tuo è un racconto feroce e lucidissimo, che scava nella desolazione contemporanea con ironia nera e dolente. L’eroe decaduto è il ritratto di una generazione bruciata, svuotata, svenduta. La tua scrittura taglia come vetro e lascia ferite: qui si ride amaro, mentre si sfiora il vuoto. Molto bello.