Una granita al limone

Claudia lo sapeva, mentre come una freccia si muoveva tra i passanti, che non appena li avesse superati questi avrebbero girato la faccia per continuare a guardarla. Se li sentiva tutti addosso, i loro occhi: curiosi, invidiosi, desiderosi, affamati. 
Le piaceva tanto. 
Per quanto non lo desse a vedere, per quanto un po’ se ne vergognasse anche,  il pensiero che ora tutte quelle persone avrebbero avuto stampato nelle loro menti il suo corpo e che di quel corpo ognuno ne avrebbe poi fatto quello che voleva, le provocava un calore liquido, una vibrazione che prepotente saliva fino a costringerla a mordersi le labbra. 

Si fermò a pochi passi da un piccolo bar che dava sulla piazza, il vestito leggero le stava incollato alla pelle sudata. Giallo pastello, le risaltava l’abbronzatura. Avvicinandosi all’entrata l’aria condizionata la investì facendola rabbrividire appena, sentì i capezzoli spingere contro la stoffa, non indossava reggiseno. 

«Una granita al limone, per favore»

Claudia lo sapeva, mentre si sedeva al tavolo con la sua granita e raccoglieva i lunghi capelli scuri, di essere una privilegiata, che la sua bellezza le avrebbe potuto offrire il mondo. Accavallò le gambe lunghe, e facendosi aria con la mano sinistra fece scorrere lo sguardo tutto intorno, distrattamente, come se non le importasse, ma dentro attenta a cogliere ogni particolare. I suoi occhi vispi saltellarono da una sagoma all’altra fino a cadere nel bicchiere di vetro.
Quando succhiò lo sciroppo dolce il piacere che le diedero i granelli di ghiaccio fresco le provocò un’altra scarica elettrica. Fu il tempo di quella distrazione che la colse impreparata, la ragazza le si sedette di fronte e lei rimase spiazzata come se qualcuno avesse bruscamente aperto la porta di camera risvegliandola da un sogno. 

Non disse niente, né tanto meno fu l’altra a parlare. 
Aveva una carnagione chiara, solo lievemente toccata dal sole, capelli corti color miele e una particolarissima voglia rossiccia sullo zigomo destro. Leggeva un libro dal titolo inglese ed era sola. 

Claudia la guardò, la fissò per quella che sembrò un’eternità, la divorò con la curiosità ardente di sapere chi fosse ma niente, lei non parlò, continuava a leggere come se al mondo non esistesse altro che le pagine di quel libro. Indossava una camicetta di un celeste spento, quasi uguale al jeans della gonna e quando, cambiando posizione, poggiò la lettura sul tavolo e si chinò, dalla scollatura della camicia larga si accorse che anche lei non portava il reggiseno.
La visione di quell’intimità la fece avvampare e non poté fare a meno di desiderare accarezzarla in quel punto nascosto dove la sua pelle si rivelava ancora più deliziosamente chiara. 

Socchiudendo gli occhi bevve a grandi sorsi della granita sciolta che colandole dai lati della bocca creò una scia appiccicosa giù per il mento e fino al collo. Claudia non si mosse, non provò a pulirsi, il sapore dolciastro si mischiava con l’immagine della sua vicina, con i suoi capelli dorati e quella voglia che lei avrebbe voluto leccare per scoprirne il gusto. 

Immaginò come sarebbe stato, se quella le avesse poggiato una mano dietro la nuca, le dita tra i capelli corvini, tirarli un po’, costringerla a scoprire il collo, ripercorrere con la punta della lingua il sentiero di limone zuccherato, risalire fino alla sua bocca, potersi scambiare i sapori, poterle succhiare le labbra carnose. Sentì il desiderio nascerle nel basso ventre, irradiarsi intorno. 

Quando riaprì gli occhi, per un attimo incrociò lo guardo di lei e fu come una frustata che alimenta un fuoco. Occhi di specchio, laminati, occhi che riflettono al contrario dei suoi che risucchiavano. Buchi neri, come li definiva sua madre. La stava guardando, la stava studiando. 

Claudia restava ferma, immobile, mentre tutto dentro di lei si muoveva. Nella sua mente presero forma memorie di cose mai accadute: si vide sopra di lei, i loro corpi nudi finalmente vicini, ciocche di capelli ondeggiavano sfiorando i capezzoli dell’altra, turgidi e colorati come amarene candite. 

Seduta al tavolino del bar, Claudia dovette stringere le gambe per evitare che le si sciogliessero. 

Gocce lente di sudore le scendevano lungo la schiena, erano le dita della ragazza straniera che adesso la stava accarezzando, dita delicate che le facevano venire la pelle d’oca, che disegnavano spirali sui suoi fianchi, mani che si aggrappavano a lei, che la cercavano.  Non l’aveva mai sentita parlare, ma la sentì gemere quando andò a toccarle il sesso gonfio. Il piacere di lei aumentò il proprio e rivoli di umore bagnato le colarono tra le cosce come se qualcuno le avesse  lasciato dentro un cubetto di ghiaccio a sciogliersi.

Il corpo della ragazza ondeggiava sotto di lei in preda al godimento. Claudia si chinò per baciarla, la sua bocca si mosse ovunque, sulla voglia alla fragola, agli angoli della bocca aperta e ansimante, dietro le orecchie dove i capelli erano madidi di sudore. Succhiò i lobi vermigli, leccò le clavicole sporgenti, assaggiò le amarene succulente. E poi fu lei a muoversi. Le afferrò un seno morbido, lo strinse e allentò la presa, risalì lungo il petto, non staccò mai la mano, le infilò delicatamente due dita in bocca mentre con gli occhi lucidi le annunciava l’orgasmo.
La lingua di Claudia accolse le dita di lei nella bocca calda e umida e fu come se l’avesse penetrata ovunque. Gemette, e mentre i suoi occhi neri si riflettevano in quelli di lei, un’onda di piacere rosso fece vibrare i loro corpi proprio un attimo prima che qualcuno riaprisse bruscamente la porta. 

Era il cameriere che distrattamente aveva poggiato lo scontrino sul tavolo per poi passare ad altre ordinazioni. 

Claudia si sentì stordita, guardò il foglio di carta e poi la persona che le stava seduta di fronte. 
Il libro era ancora aperto ma i suoi occhi erano puntati su di lei, ancora, chissà da quanto. 
Sentì le guance infiammarsi dalla vergogna al pensiero che l’altra avesse potuto sapere e questo sospetto la lasciò paralizzata, complici le sensazioni che ancora la pervadevano dopo quel sogno ad occhi aperti. 

La ragazza accennò un sorriso, una curva maliziosa che la fece morire. Prese lo scontrino sul quale era battuto “Granita al limone- 1,50€”, lo piegò una volta di lungo e lo infilò tra le pagine del libro che poi richiuse. Si alzò in piedi, indulgendo ancora un attimo con lo sguardo su di lei, la sua silhouette in controluce definiva forme fino ad allora solo immaginate: un corpo alto, slanciato, magro; il petto ampio, i fianchi poco pronunciati, linee eleganti.
 

Avevano fatto l’amore senza mai essersi toccate.

Si girò e se ne andò senza dire niente, portando con sé il segreto del suo nome, una storia mai accaduta, il ricordo della sua granita al limone. 

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Discussioni

  1. Ma chi ha pagato la granita tra le due appagate? E gli altri avvenenti del bar tutti spariti? Ad ogni modo odio i camerieri/e poco accorti/e! Bello un po troppo rapido e dignitoso di un seguito. Mi è molto piaciuto il contrasto degli occhi, quelli che riflettono e quelli che ti assorbono. Ciao

  2. Cosa non riesce a fare il desiderio di una granita al limone. Ho trovato molto coinvolgente l’ambientazione erotica, frutto del caso e delle circostanze non calcolate. Un bar anonimo, un tavolo scelto a caso, una visione improvvisa e un sogno ad occhi aperti, incontrollato. Bella davvero la tua prosa, delicata, ricercata ed elengante. Complimenti!