Una nuova normalità

Serie: La donna con l'aquilone


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Aida assiste impotente alla caduta di Kabul

Aida guardava il televisore con sguardo vuoto e assente. Dallo schermo le parole calme e risolute di un uomo con una lunga barba bianca e un turbante nero le giungevano lontane e distanti. Affianco al capo talebano, la conduttrice con il capo coperto dall’hijab appariva tranquilla e sorrideva al suo ospite. O carnefice. Aida spense il televisore, era stanca di ascoltare i proclami di pace e moderazione di quegli uomini. Li conosceva bene, sapeva che era tutta una recita e una volta che le acque si fossero calmate, lontano dai riflettori e dalle telecamere occidentali, una volta che l’Afghanistan fosse stata dimenticata dal mondo, allora i talebani avrebbero mostrato il loro vero volto. Scosse la testa e, con prudenza, guardò fuori dalla finestra. La strada era trafficata e caotica, come un giorno qualunque. Eppure vi erano dei cambiamenti.

Ronde di guerriglieri pattugliavano la strada con aria annoiata e accaldati dal sole di fine agosto. Le persone, per lo più uomini, evitavano di guardarli e camminavano velocemente. Le poche donne in giro avevano il capo coperto o, in molte, il velo integrale. Quasi tutte, attorniate dai figli, si dirigevano con passo svelto verso nord-est, nella direzione dell’aeroporto.

Il cellulare vibrò sopra il tavolo. Aida aprì la chiamata.

«Will?» disse speranzosa.

«Stanno venendo a portarvi i documenti» annunciò laconicamente il suo ex.

Il tono di voce di Will era stanco e esausto. Probabilmente non dormiva da giorni e aveva contattato qualunque persona in grado di soccorrerli.

«Grazie Will…» rispose Aida trattenendo le lacrime di gioia. Aveva paura a sperare, ma forse lei e sua figlia erano salve.

«Verrà una squadra inglese che vi scorterà fino all’aeroporto, i documenti li ha rilasciati l’ambasciata italiana, sei ufficialmente una loro collaboratrice.»

«Will non ho mai collaborato con gli italiani!» protestò Aida.

«Ha importanza? Aida…» Will si fermò, come imbarazzato, come incapace di proseguire.

«Aida ascolta…non riusciremo ad evacuare tutti.»

Quelle parole furono come macigni per la donna.

«Stiamo facendo il massimo, ma la realtà è questa. Molti resteranno indietro.»

Aida si tappò la bocca per soffocare i singhiozzi. Cosa sarebbe successo a chi fosse rimasto indietro? Torture, violenze, esecuzioni. Questo era il futuro per quelli lasciati indietro. Questa era la ricompensa per gli afghani che avevano creduto alle parole dell’Occidente.

«Senti Aida…devi stare attenta. I talebani stanno rispettando la tregua concordata e ci stanno permettendo di fare il nostro lavoro, ma stanno iniziando a spazientirsi…stanno circolando notizie su alcuni…alcuni episodi a Herat, Kandahar e altre città nel sud.»

«Lo so Will» interruppe Aida decisa. «Ho già vissuto sotto il loro regime.»

Dall’altra parte Will restò in silenzio qualche secondo.

«Mi passi la piccola?» chiese con la voce appena incrinata. Aveva paura.

Aida andò dalla figlia e le porse il telefono poi si chiuse in bagno e si abbandonò ad un lungo pianto. Si sciacquò il viso e gli occhi arrossati poi si diresse in camera sua a prendere lo zaino. Aveva già preso le cose più importanti, passaporti e soldi. Respirò profondamente per tranquillizzarsi e fece mente locale. Doveva prendere l’essenziale. Riempì lo zaino in fretta e lo appoggiò all’ingresso, vicino alla porta. Sua figlia la raggiunse con in mano il cellulare.

«Si è interrotta la chiamata» disse tristemente.

«Tra poco andremo all’aeroporto e raggiungeremo papà» le rispose con un sorriso.

La bambina sgranò gli occhi terrorizzata.

«No!» urlò. «No! Non voglio uscire! Ho paura!»

Aida strinse a sé la piccina.

«Tesoro ascolta…amore.»

«No! Non voglio!»

Aida strinse forte la bambina e aspettò che si calmasse.

«Devi essere coraggiosa, ti prego sarai la bambina coraggiosa della mamma?» le disse trattenendo le lacrime. Come si poteva chiedere ad una bambina di affrontare bestie che giustiziavano donne solo perché indossavano sandali?

La piccola annuì con aria rassegnata.

«Brava la mia bambina» le disse dandole un bacio sulla fronte.

Si prepararono per l’arrivo della squadra inglese. Aida coprì lei e la figlia con l’hijab, poi si mise al collo una kefiah in modo da potersi coprire fino agli occhi. Meglio non attirare l’attenzione e non provocare quei fanatici.

Una volta pronte, si misero alla finestra in attesa.

Nella strada sotto di loro una troupe stava facendo delle riprese. La reporter parlava alla telecamera indicando la strada per l’aeroporto e l’ambasciata americana, ormai chiusa. Due guerriglieri si avvicinarono, evidentemente infastiditi, e nacque una discussione. Altri uomini armati si avvicinarono e costrinsero il cameraman ad interrompere la ripresa. La reporter venne spintonata e fu costretta a cedere alle pressioni dei talebani. Si allontanò velocemente sotto lo sguardo divertito di coloro che sapevano di avere il controllo totale su tutta la popolazione. Da quel gruppetto sbucarono tre persone, serie in volto, che si diressero verso il palazzo di Aida.

Due avevano la mimetica dell’esercito afghano ed imbracciavano vecchi AK-47 mentre quello che li guidava aveva la tunica marrone e un gilet e turbante nero. Aida prese in braccio la figlia mentre la paura cresceva man mano che quel trio si avvicinava. Magari si era lasciata suggestionare dagli eventi, magari erano diretti da un’altra parte. Il capo del trio guardò in alto, e incrociò lo sguardo di Aida. L’uomo sorrise e fece un segno con la testa agli altri due. La donna si allontanò subito dalla finestra terrorizzata. Erano lì per lei, e non per salvarla.

«Dobbiamo andare» disse alla bambina.

«Adesso?» chiese la piccola spaventata.

Aida condusse la figlia all’ingresso e si mise lo zaino in spalla.

«Sì adesso, dobbiamo andare veloci, e non dobbiamo fare rumore, hai capito?»

La voce le uscì tremante e incrinata dalla paura. La bambina capì il pericolo e con le dita fece segno alla mamma che non avrebbe emesso un suono.

Aida aprì la porta e uscì tenendo la figlia per mano. Sotto sentì sbattere il portone del palazzo. I talebani erano entrati. Si avviò lungo il corridoio, verso le scale antincendio. Dalla tromba delle scale arrivavano i passi pesanti dei guerriglieri. Aida giunse alla porta di emergenza. Premette sulla barra per aprire la porta, ma restò immobile. Premette con più forza ma la porta restava bloccava. I passi dei talebani risalivano le scale con un ritmo lento e cadenzato. Aida guardò verso il corridoio, incapace di muoversi, incapace di pensare. Stavano arrivando.

Serie: La donna con l'aquilone


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