
Una valigia di respiri
La terrazza gode di una splendida vista sul Taj Mahal. Nessuno degli ospiti se lo aspetta all’arrivo, davanti alla piccola porta azzurra di metallo con la scritta WELCOME.
Dopo aver salito le scale per due piani, lo spazio diventa più stretto e i gradini più alti, smaltati nero lucido. Una svolta ad angolo retto rivela un Buddha bianco, nella posizione del loto, alla sommità dell’ultima rampa. Alle spalle della statua, in una piccola veranda è allestita una cucina. Il passo successivo, oltre la veranda, affonda in una moquette verde sintetica sulla quale diversi tavoli sono occupati dai turisti. Il sole si avvia al tramonto, il caldo di febbraio è gestibile fuori dalla tettoia di lamiera.
A un tavolo all’ombra due donne parlano in spagnolo. A meno di un metro da loro due uomini sorseggiano una birra, si sono conosciuti all’arrivo in ostello. L’addetto alla reception ha creduto che viaggiassero insieme, li ha quindi sistemati nella stessa stanza da 6. Anche se nella camera non c’è nessuno, un paio di letti sono già occupati, come testimoniato da alcune magliette e vari oggetti personali.
Andy è francese, la sua camicia stirata di fresco e il suo aspetto curato stonano con l’ambiente. Perfino le sue sneakers sono di un bianco accecante. Diego è argentino, ha dieci anni più di Andy e nella barba incolta il bianco comincia a diventare predominante.
Dopo aver posato gli zaini e aver usato a turno il bagno, i due si presentano e decidono di seguire il consiglio di chi li aveva accolti: andare in terrazza a godere del panorama.
Carla è stata in India altre volte, sempre per lavoro, principalmente nel Bangalore, ma questa volta si è lasciata convincere da Nani, la sua collega venezuelana, ad anticipare la partenza di qualche giorno, in modo da fare tappa a Agra e visitare una delle sette meraviglie del mondo. Ripensa agli ultimi cinque anni: sono volati. Dopo la laurea e l’assunzione in una multinazionale con sede a Madrid, ha dedicato tutte le energie alla carriera, senza prendersi davvero una pausa. Perfino adesso prova un certo senso di colpa per essere lì e non a ricontrollare i dati che deve presentare tra qualche giorno.
Nani ha la pelle scura e un sorriso esplosivo. Si agita sulla sedia, gesticola mentre parla, si volta spesso verso la cucina nella speranza di veder arrivare il Chicken Burger che ha ordinato 20 minuti fa. La sua attenzione si proietta su un piccolo gruppo di scimmie sul tetto di un palazzo vicino. Ci sono esemplari adulti e cuccioli, una madre con il suo piccolo attaccato al collo si spulcia all’ombra di una cisterna, due giocano con una bottiglia di plastica su un vecchio divano macchiato. Nani ripensa alla sua terra, al profumo dell’aria e al rumore del mare. Carla segue lo sguardo dell’amica e vede anche lei l’inaspettata scena. Nota su un terrazzo più distante un’altra scimmia che agita con veemenza uno zaino nel tentativo di aprirlo. Lei, che è cresciuta in città, non si trova a suo agio con gli animali, neanche quelli domestici. Si guarda intorno preoccupata che possano esserci scimmie più vicine, e in effetti, mentre tutti guardano il Taj Mahal, una scimmietta si avvicina dal lato opposto camminando sul muretto di recinzione della terrazza.
Dal tavolo affianco Andy osserva la scena: la bestia furtiva si avvicina al cellulare di un’altra cliente, un’americana sulla cinquantina, che lo ha appoggiato sul muretto per concentrarsi sul panorama. All’improvviso il primate scatta in avanti, Andy urla in inglese di fare attenzione al telefono, la signora si guarda intorno, la scimmia è a mezzo metro da lei. Afferra l’iPhone un secondo prima che ci arrivi il piccolo mammifero, che sconfitto e indispettito scappa via.
Dopo l’urlo di Andy sulla terrazza è calato il silenzio, il brusio di sottofondo si è fermato di colpo. Perfino il rumore proveniente dalla strada sembra più lontano. Qualcuno urla Bravo! E tutti applaudono. Andy sorride e dice qualcosa di spiritoso alla signora che intanto lo sta ringraziando.
In un paio di minuti tutto torna normale, anche se adesso l’argomento di conversazione a ogni tavolo è lo stesso. Carla si complimenta con il vicino per la reazione tempestiva. Lui divide il merito con lei che aveva notato la scimmia che si muoveva con circospezione. Lo scambio di battute si trasforma rapidamente nell’unione dei tavoli. Nani dice di amare tutti gli animali, confessa che ci si avvicina pure quando non dovrebbe. Anni prima, viveva ancora in Venezuela, era stata morsa da una scimmia e ci aveva messo mesi per riprendere a muovere il braccio. Carla non può fare a meno di sottolineare quanto questa abitudine di entrare in contatto con tutti i randagi sia per lei motivo di irrequietezza. Intanto è arrivata la cena, qualcun altro ordina, il tavolo si allarga. Ognuno racconta le tappe del proprio viaggio, le impressioni a caldo.
“Ma che lavoro fate che vi permette di viaggiare per un mese e più?” Il tono risulta più astioso di quanto avrebbe voluto, ma quella domanda risuona nella testa di Carla di continuo da quando è partita, ha l’impressione di incontrare solo viaggiatori di lungo corso per i quali prova un’invidia velenosa. Le risposte per quanto plausibili, non soddisfano la sua curiosità. Akky, una guida locale che lavora per l’ostello, assiste in silenzio alla conversazione. Nessuno si aspetta che risponda. Invece fissando Carla, afferma voce solenne “Un proverbio indiano dice che ogni persona viene al mondo con una valigia piena di un certo numero di respiri. Decidi tu per cosa affannarti.” Lei annuisce senza capire davvero il significato di quella frase.
“Siete già state a visitare il Taj Mahal?” Chiede Diego. Per tutti è in programma domani all’alba. Appuntamento alle 4.45 fuori l’ostello.
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Mi è molto piaciuto guardare quell’umanità così diversa che, per un momento, condivide un luogo e scambia parole che, in alcuni casi, vanno oltre i convenevoli. E ho anche amato sentirmi lì, io stessa, ad ammirare la meraviglia di quello scorcio. Credo che tu scriva molto bene e, l’aver gestito così tanti personaggi, ne è la conferma. Sai, però, cosa mi sarei immaginata? Lo scrittore stesso, in questo caso la scrittrice, seduta a uno di quei tavoli, che, oltre che osservare la scena, la vive. Una sorta di narrazione di viaggio, scritta in prima persona, con le emozioni che entrano prepotentemente a farne parte.
Grazie! La mia intenzione era di creare una “cartolina” di un luogo fatta però di situazioni e persone. Ho la sensazione che parlando in prima persona il racconto prenda troppo le sembianze di un diario di viaggio, però indubbiamente manca un lato più “emotivo”. Ci lavorerò!
Direi che sono due punti di vista distinti ed entrambi validi, soprattutto quando parliamo di luoghi amati. La scelta è sempre dell’autore. A noi, resta comunque il piacere di viaggiare con chi scrive.
Un racconto affollato di personaggi ben descritti in un’ambientazione che sembra tu conosca bene.
Più che una narrazione, sembra che tu voglia ricordare un momento di un tuo viaggio.
Episodio simpatico, stimola la voglia di viaggiare (soprattutto verso Oriente) però non ho ben inteso quale sia il cuore della storia, quale messaggio tu voglia evidenziare.
Per chi, come il sottoscritto, attende sempre un finale per chiudere perfettamente il cerchio resta un piccolo dubbio: il racconto continua?
Grazie del commento! Vorrei creare una serie di racconti a tema viaggio, quindi in un certo senso continuerà ma con luoghi e personaggi sempre diversi… o almeno vorrei provarci!