
Uno strano plotone d’esecuzione
«Scendete dal camion».
Il sergente disponeva, il plotone obbediva.
Umberto scese dal cassone dell’autocarro e corse a recuperare il Carcano 91. Il resto dell’unità fece la stessa cosa.
Ognuno verificò che il proprio Carcano 91 fosse adatto all’uso. Quello non era il fronte, in cui i moschetti erano sporchi di terra e spesso non funzionavano. Per le esecuzioni era sempre richiesto il meglio.
A Umberto non sfuggì il paradosso della situazione: per uccidere il nemico si poteva anche non essere bravi, ma per eliminare i disertori bisognava essere implacabili, precisi, efficienti.
Scosse la testa. Era meglio che rimanesse zitto.
Il sergente li fece disporre in doppia linea. «Seguitemi».
Procedettero lungo una strada fra le baracche della caserma finché non si fermarono davanti a un muro ricoperto da sacchi di sabbia. Per terra c’era del sangue.
Il sergente aveva una smorfia truce. «Fate venire i condannati».
Degli orridi carcerieri fecero tintinnare le chiavi e le manette. Si avviarono.
Umberto rimase in attesa e udì delle urla. I carcerieri stavano conducendo i condannati a morte che piangevano, sbavavano, gridavano bestemmie e pregavano.
Umberto scambiò un’occhiata con gli altri soldati. A nessuno sembrava piacere l’idea di eseguire una condanna a morte. Umberto si sentì un assassino! Era vero che al fronte aveva ucciso, ma degli italiani come lui…
Strinse i denti, cercò di essere paziente, però il cuore batteva in maniera forsennata, la mente era come se fosse spremuta da qualcosa che gli dava fastidio. Era un pizzicore che si stava trasformando in una fiammata.
I carcerieri disposero i condannati di fronte ai Carcano 91. I moschetti si allungarono come artigli.
Umberto voleva che tutto terminasse al più presto. E le urla… le urla!
Uno dei carcerieri piegò con un pugno allo stomaco uno dei condannati prima di incappucciarlo.
Il dolore allo stomaco Umberto lo sentì eccome anche se non era stato lui a essere colpito. E prima che il cappuccio coprisse del tutto il volto del poveretto, vide che aveva il suo, di volto.
Umberto cacciò un urlo. «Non è possibile!».
Tutti si girarono a guardare.
Umberto mise in canna la pallottola e sparò al carceriere.
«Bianchi, che stai facendo!» si fece avanti il sergente.
Gli altri soldati spararono dappertutto, si misero a gridare, corsero in ogni direzione.
Umberto non capì più nulla.
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Il Boia è il mestiere più odiato: mi piace che alla fine il tuo si sia riconosciuto negli occhi della vittima.
Grazie per il tuo commento, Micol!
Oltre la fantascienza i racconti storici sono quelli che amo di più. Lodevole la ricerca di elementi tecnici come il Carcano. Se posso permettermi un consiglio, una maggiore ambientazione storica che so, indizi sul periodo esatto in cui sta avvenendo questa vicenda sarebbe un valore aggiunto . Seconda cosa a mio parere ovvio, scritto al presente e dal punto di vista del personaggio farebbe immergere ancora di più il lettore nella storia. Bravo
Ciao e grazie del tuo commento! Sì, in genere ho il vizio di non inserire in calce l’anno in cui avviene la storia, negli ultimi racconti sto cercando di riparare. E sì, metterlo al presente e con il punto di vista del personaggio potrebbe essere meglio ma questo è un gusto personale. Per i prossimi racconti che pubblicherò nei prossimi mesi cercherò di riparare 🙂
Bravo Kenji, ci hai mostrato, con le tue parole, una diapositiva. Come avere la scena davanti agli occhi. Molto toccante
Bene, grazie, sono felice che tu abbia apprezzato
“Il dolore allo stomaco Umberto lo sentì eccome anche se non era stato lui a essere colpito. E prima che il cappuccio coprisse del tutto il volto del poveretto, vide che aveva il suo, di volto”. Questo passaggio è bellissimo e molto delicato
Ti ringrazio!
Secondo me questo racconto è un ulteriore miglioramento delle tue capacità. La guerra qui è chiaramente un contorno rispetto al protagonista. Lo stato emotivo di Umberto è davvero ben descritto e ci porti gradualmente verso la svolta paradossale.
Il tuo stile è semplice e diretto, ma privo di sbavature.
Insomma, mi è piaciuto.
Ti ringrazio! E sai cos’è il bello? Che questo racconto l’ho scritto in settembre!