Uomo fritto 

Serie: Morirò d'estate


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: ● «Tranquillo Luca, poi andrai in bagno e le tue due dita magiche ti salveranno» mentre cercavo di trattenere i singhiozzi che mi scuotevano il petto. Bevvi mezzo bicchiere di vino e fu come acqua fresca che spegneva il fuoco che mi bruciava dentro, calmando il mio dolore e lenendo la mia anima. ●

Nei giorni a seguire, che poi diventarono mesi, andai tutti i pomeriggi in quella chiesa, non per pregare, bensì perché speravo di rincontrare Enza. 

Volevo scoprire a tutti i costi chi era veramente: come facesse a leggermi nel pensiero e soprattutto cosa volesse da me. 

Ogni pomeriggio, verso le 16:30, entravo in quella chiesa, mi sedevo all’ultimo banco e rimanevo in religioso silenzio: a fissare quel Cristo gioioso appeso in una croce.

Ecco alcune possibilità per migliorare la frase:

Mi concentravo su quell’immagine e mi perdevo nel profumo dei fiori che adornavano le statue laterali all’altare maggiore: una raffigurava la Madonna e l’altra una Santa che teneva sulla mano sinistra un piatto con i suoi occhi e su quella destra una palma.

Passavo lì giornalmente almeno un’ora, ma capitava, a volte, che il tempo si fermasse e senza rendermene conto, andavo via che il sole faceva capolino per lasciare spazio alla luna. 

Ma niente, di Enza nessuna traccia: come se non fosse mai esistita; come se fosse stata solo un sogno.

Eppure io sapevo che non era così. 

Ogni sera poi, tornavo a casa dopo quell’attesa vana e come un rituale di cui non potevo fare a meno, cucinavo un uovo e lo mangiavo masticando lentamente.

Contavo ogni morso e prima di ingoiare il boccone, mi assicuravo di aver masticato sempre un numero pari di volte.

Poi bevevo un po’ di vino e andavo a dormire. Proprio come mi aveva detto Enza l’ultima volta che l’avevo vista.

Come se, così facendo, potessi mantenere un legame con lei, anche se era assente. Anche se non sapevo se esistesse veramente o se fosse il frutto di una schizofrenia latente. 

Per quasi tre mesi, ogni giorno, ripetevo quello che avevo fatto quella sera. Era come un déjà vu forzato, ripetevo nella mia testa tutto ciò che mi aveva detto Enza, sperando di trovare risposte nuove. 

Mi ero accorto che la sera non vomitavo più. Quell’uovo che ballava una danza a suon di frittura, era diventato, proprio come la mia sosta in chiesa, motivo di benessere. 

Era strano, perché erano anni che non riuscivo a pensare al cibo come qualcosa di piacevole. 

Per me però, il rituale dell’uovo fritto era diventato come mangiare in un ristorante di lusso, anche se non potevo permettermi di andarci.

Un pomeriggio di fine marzo, pioveva a dirotto, le gocce cadevano sul tetto in lamiera d’acciaio e rimbombavano come un tamburo che batteva un ritmo frenetico.

Mi sdraiai sul letto, indispettito dal fatto che non sarei potuto uscire a fare la mia solita passeggiata.

Approfittai di questo imprevisto e decisi di chiamare Luigi. Da quando mi ero trasferito, non ci eravamo mai visti e ci eravamo sentiti al telefono un paio di volte.

«Pronto?» rispose Luigi, con la sua vocina stridula a dispetto della sua statura possente. 

«Ciao, Luigi! Come stai?» chiesi, sentendo un’ondata di nostalgia per i vecchi tempi. 

«Sto bene, grazie», rispose, con un tono di voce che sembrava nascondere qualcosa. 

«Cosa c’è di nuovo?» continuai, curioso di sapere cosa stesse succedendo nella vita del mio amico.

«Niente di interessante! O comunque niente che possa interessare a te!» il suo tono di voce era improvvisamente cambiato: era diventato basso e graffiato, come quando ti inghiotti la saliva e rischi di rimanerci secco.

«Sicuro? Mi sembri un po’ sarcastico!» ribattei, sperando di non sembrare troppo colpevole. 

D’altronde, avrebbe avuto ragione a essere risentito, visto che da quando ero partito ero letteralmente sparito. 

La sua vita in quel periodo non era certo più facile della mia, con un lavoro precario, una figlia piccola e una rapporto con la campagna che scricchiolava.

Aveva appena vent’anni, un lavoro incerto e il peso di trascinarsi in un rapporto forzato da un imprevisto: la figlia.

«Avrei tutte le ragioni di essere sarcastico!» esclamò stizzito. 

«Ti sei divertito a capodanno con Luigi? Ah! No, scusa, volevo dire con me?» domandò.

Ero stato scoperto.

La mia bugia era stata smascherata come una fragilità, che avevo nascosto in un’armatura che si era miseramente crepata e che non potevo più riparare, lasciandomi esposto e vulnerabile. 

Cercai di farfugliare qualcosa ma lui mi interruppe seccamente: «Mi hai stancato con la tua teatrale miseria. Vaffanculo!» sentii la cornetta sbattere e fu come una pistolettata in pieno timpano.

Rimasi per qualche secondo con il telefono in mano: smarrito e mortificato. 

Pensai al fatto che a questo punto anche mia madre sapeva della mia menzogna e al dolore che sicuramente le avevo procurato e che si era tenuta dentro. 

Mi sentii piccolo nella mia mediocrità, insignificante e fragile. 

Mentre cercavo delle giustificazioni da dare a mia madre, il telefono cominciò a suonare, risposi al primo squillo. Ero sicuro che fosse Luigi.

«Scusami Luigi, non ho spiegazioni valide da darti ma» 

Prima che potessi finire la frase, fui interrotto: «Non sei insignificante Luca!» era la voce di Enza.

«Devi solo accettare te stesso» continuò. 

Le chiesi in silenzio, come mi aveva insegnato lei, perché continuasse a ripetermi di accettare me stesso e lei mi rispose: «Stasera mangia un po’ di pasta, bevi del vino e poi vai a dormire» poi riattaccò. 

Ancora una volta era scomparsa senza darmi una risposta chiara.

Guardai l’orologio. Erano già le venti.

Feci quello che mi disse: cucinai un po’ di pasta, aggiunsi solo formaggio, poi bevvi un po’ di vino e andai a dormire. 

I miei coinquilini non erano ancora tornati. Fuori aveva smesso di piovere, come potevo capire dal silenzio del tetto e io ero stanco, sfinito. 

Mentre cercavo di addormentarmi, la mia mente era già al lavoro per inventare una giustificazione credibile per mia madre.

Mi venne in mente l’uovo fritto che quella sera non avevo mangiato e poi pensai, con una punta di ironia, che ero proprio un uomo fritto.

Mi scappò una risata per l’associazione che avevo fatto, poi credo che mi addormentai, perché non ricordo più nulla.

Anche quella sera non vomitai. 

Serie: Morirò d'estate


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Discussioni

  1. Mi unisco alle opinioni di tutti: il personaggio di Enza è incredibile. Abbiamo poche informazioni su di lei, ma ogni volta che entra in scena ci spiazza. Siamo un po’ come Luca: leggiamo l’episodio nella speranza d’incontrarla.

  2. Il personaggio di Enza è davvero misterioso e interessante, sto iniziando anch’io a farmi domande sulla sua vera natura. Sembra arrivata apposta per aiutare il protagonista, e chissà se esiste davvero…

  3. C’è una malinconia dolce e dolorosa insieme: ogni gesto quotidiano diventa carico di simboli, come se bastasse ripeterlo per guarire una crepa dentro. E quel finale, con la risata amara sul “uomo fritto”, è come una piccola fessura di umanità che lascia entrare un filo di luce. Un pezzo che fa male e intenerisce allo stesso tempo.

  4. Ho visto il link su Fb e l’ho aperto subito, ormai sono troppo curiosa di scoprire ogni dettaglio di questa storia 😁 Ma Enza dove diavolo l’ha preso il numero di telefono di Luca?🤔Una donna dalle mille risorse!

    1. @ariannapaju hai ragione: come ha fatto Enza a prendere il suo numero?

      Però dovresti farti altre domande: •Come sapeva il suo nome quando l’ha visto la prima volta? •Come ha fatto a passare da una voce maschile e tedesca ad una voce materna e non straniera?

      Spero di ‘insinuarti’ altri dubbi così da non annoiarti e spingerti a leggere. 🤭

  5. Quante cose da capire e da scoprire. Una storia che tocca molti punti di fragilità del nostro essere. Ognuno ha i suoi, a volte certe cose si superano, altre restano sepolte per una vita intera; oppure ricompaiono in altri modi, come conseguenze delle stesse ferite che si riaprono. Sento un forte interesse per la storia di questo giovane, tra vita reale e… paranormale?
    Aspetto il prossimo episodio.

  6. Mentre leggevo il tuo racconto, pensavo al tipo di scrittura, adatta a un diario, e che sposa molto bene con la situazione di solitudine in cui vive il protagonista.
    Mi sembra che il personaggio di Enza sia quello più vero in assoluto, fra i personaggi che lo circondano. Interagisce con lui, mentre gli altri sembrano prendere vita solamente attraverso gli occhi di questo ragazzo.
    Il tema che hai scelto non è fra i più semplici, tuttavia mi sembra che tu te la stia cavando molto bene 🙂