Viaggio in treno

Sono sul treno in direzione S. Odore nauseabondo di cesso pisciato. La porta è aperta e non si chiude. Continua a sbattere. Suono di ferraglia arrugginita che stride.

Fa freddo. Anche i finestrini sono aperti. I ragazzi più robusti tentano inutilmente di chiuderli, ma le condizioni del vagone sono pessime.

I posti a sedere, impolverati e pieni di macchie chiare e scure – caffè, alcolici, sperma? – sono tutti occupati. Il corridoio centrale è colmo di gente spiaccicata l’una contro l’altra.

Si attende la partenza. Un fischio stridulo, grido satanico, avvisa il macchinista che può andare. Appena il treno si mette in moto subito tutti hanno come una scossa, un lieve movimento breve e deciso che li sposta da una parte, per poi riprendere tempestivamente l’equilibrio.

Si respira aria di sonnolenza: berretti abbassati sugli occhi, sguardi stanchi rivolti ai finestrini imbrattati di graffiti, palpebre in procinto di chiudersi in segno di sottomissione al mondo. Gridano: “Fate quello che volete. Non me ne frega un cazzo.”

I più svegli sembrano aver assunto psicofarmaci: con gli occhi stralunati e la bocca semiaperta osservano un punto vuoto del treno. Alcuni si distraggono infilando il dito nella bruciatura di sigaretta di una poltrona. Forse cercano una via di fuga.

Arriva il controllore, un uomo obeso sulla cinquantina, in divisa. Appena entra nel vagone comincia a squadrare tutti con uno sguardo truce. Il mento alzato e la mandibola larga come il Duce. A uno a uno controlla i biglietti, perlomeno fino alla seconda fila di poltrone. Poi si scazza e prosegue dritto, facendo finta di non vedere l’illegalità della situazione: troppe persone accalcate, nessuna possibilità di rispettare i piani di fuga, etc, etc.

Ad ogni modo, pericolo scampato. Il controllore se n’è andato e più della metà dei presenti accennano un sorriso con la bocca e con gli occhi. Significati possibili: ti ho fregato; non avevo il biglietto; ce l’avevo, ma con acqua tiepida e cotton fioc ho cancellato il timbro dell’ultima volta; ce l’avevo, ed era in regola, ma vaffanculo lo stesso.

Il treno ferma ad una delle tre stazioni che da T. portano ad S., dove S. è la terza e ultima fermata. Prima del brusco stop è già possibile vedere decine di ragazzi e ragazze con zaino in spalla, pronti a salire appena le porte si apriranno. Non so come, ma anche loro riescono a salire. Si riparte.

Fuori dal treno: paesaggio montano, zone industriali, qualche supermercato. Prati incolti. Macchine sulla strada: è orario di lavoro.

Dentro il treno: grasse risate, musica dagli auricolari, scarpe da tennis alla moda appoggiate sui sedili. Zaini tutti uguali, cambia solo il colore.

Seconda fermata. Tutto come prima. Sale altra gente. Continuo a chiedermi come facciano a starci tutti.

Prossima fermata: stazione di S. Le porte si chiudono e il viaggio prosegue identico. Il controllore non si è più visto. L’odore di piscio si è attenuato. Basta abituarsi.

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Discussioni

  1. Guarda, la forza di questi racconti che scrivi è, a mio avviso, il saper rimanere fuori dalla storia come autore. Una serie di eventi (tutti su un mezzo di trasporto) ripetitivi e identici, forniti con precisione di particolari, generano quel particolare mistero in base al quale il lettore costruisce la storia. In fondo, chi scrive dovrebbe essere a disposizione del lettore e non del proprio ego. Io le apprezzo molto, anche perché sono una fotografia di un vivere che ci scorre addosso senza “farsi vedere”. Bravo. (usata benissimo la punteggiatura per creare ritmo, vantaggio unico per testi così brevi che brevi devono rimanere per dare questa sorta di effetto)

  2. Un quadro pietoso e temo realistico dei viaggi in treno. Una prosa sciolta, uno stile di linguaggio verbale tutt’ altro che formale, senza troppi freni inibitori. Un racconto simpatico, un po’ tragicomico.