Vincent Vega e Mia Wallace

Cari amici, complice quello che sto per raccontare, e consapevole degli occhi carichi di giudizi negativi e delle dita della vergogna puntate su di me (tutte pienamente giustificate per altro), e del fatto che la mia immagine sarà definitivamente compromessa da quanto sto per dirvi, ho voglia di condividere con voi la piega che ha preso per me questa mattina.

Lo so, tanti diranno: questo non è un racconto. Ma alla fine, se ci pensate, che cos’è la narrativa se non narrare delle storie? E questa, nel suo piccolo, è una storia.

Come forse qualcuno di voi può avere intuito da qualche mio precedente racconto, soffro di una malattiaa che si chiama distonia cervicale. In soldoni, non ho il controllo dei movimenti del mio collo, si muove da solo come un ballerino di break dance sotto effetto di chetamina, che a seconda di quanto è incazzato questo o quel giorno decide se farmi patire pene dell’inferno da Divina Commedia o semplici fastidi da scacciare via con un po’ di stretching. Scopo di questa informazione non è quella di attirarmi addosso il compatimento di nessuno, ma solo contestualizzare.

Questa mattina, come diciamo noi a Genova, il mio collo aveva una gran voglia di menarmi il belino, e allora mi sono detto: aspetta me che ti sistemo io. Tre gocce al bisogno di un farmaco miorilassante (cioè rilassa i muscoli, lo dico a beneficio di chi come me, prima di farne uso, non sapeva cosa significasse il termine) che si chiama Rivotril (non credo di fare pubblicità occulta, e comunque vi auguro di non avere mai la necessità di provarlo), roba che in quantità come quelle le potete mettere anche nel latte ai bambini (metaforicamente parlando, sto scherzando, non fatelo, vi prego).

Mi infilo in bagno (non è elegante farsi di sta roba davanti ai colleghi) e mi accingo a fare cadere le tre gocce direttamente sotto la lingua. Purtroppo non esce niente, il contagocce è secco come il deserto, il bottiglino, alla vista, anche. E allora ho la brillante idea: stacco il contagocce coi denti, riempio il boccettino d’acqua, mescolo per bene come avrebbe fatto il Dr. Alambiccus e butto giù tutto d’un sorso, tanto è acqua.

Beh, come direbbero i francesi: stocazzo. Percepisco subito che qualcosa sia sfuggita alle mie valutazioni, ma tento di soffocare questi pensieri con un’apparente atteggiamento di normalità.

Rientro alla scrivania e la gente mi pone domande che stento a mettere a fuoco, e per fare un paio di addizioni mi serve una calcolatrice, quella scientifica per sicurezza.

Ora va bene, va molto bene. Per tranquillizzare tutti, respiro senza problemi e mi reggo sufficientemente in piedi, ma ve lo devo confessare, mi sento più fatto di Vincent Vega prima di andare a prendere Mia Wallace e portarla fuori a cena.

Spero che nessuno mi chieda di ballare.

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Discussioni

  1. Io non dirò nulla sui farmaci perché con i miei annetti vi surclasserei alla grande.
    Parlando quindi d’altro, sono proprio i miei annetti che mi fanno fremere di gioia nel vedere che Mia e Wallace sono ancora un saldo punto di riferimento.

  2. Hai condiviso una tua problematica fisica, ma togliendo queste parti il succo del racconto può essere comune a tutti noi. Ognuno di noi ha i propri mostri sul groppone, che siano fisici o mentali. Mi hai fatto sentire meno solo 🙂

    1. ah guarda, a mostri direi che siamo messi bene tutti, se vuoi possiamo fare celo manca celo manca tutta la notte, ho anche una riga di doppioni che non finisce più. Poi, secondo me, noi orsi liguri di mostri ne abbiamo anche nei cassetti fra calze e mutande 🤭

  3. Un simpatico racconto della serie: ridiamoci su. Se bisogna imparare a conviverci con un problema, meglio sdrammatizzare.
    Una situazione reale, ricamata a puntino, (o a mezzo punto fino), con un filo sottile, di buona qualita`.

  4. Una fiammante polaroid di realtà, essenziale e imbastita alla grande.
    Pensa che per scalare il rivotril, ho dovuto prendere il minias (problemi di insonnia) e poi di nuovo il rivotril per togliere di mezzo il minias. Paradossi della farmacologia…

  5. Bravo Roberto, perchè questo testo sa di ‘l’ho buttato giù d’un fiato’ proprio come le gocce. Ma quando c’è la classe, quella si sente. Secondo me, lo hai scritto fra un conto e un altro. Lo hai letto, trovandolo bello e lo hai buttato su Open. Così si fa. Il rischio da correre come quando ti porti a letto la moglie di Marcellus Wallace. Tornando a noi, io mi nutro di qualcosa di simile, che distende i nervi, non i muscoli, perché sai, c’è quell’ernia attaccata li, alla base del collo, ben radicata, che ti dicono che non è operabile e ci devi convivere. E io, da brava ci convivo e mi dopo tutti i giorni, mattina e sera. Ci sta. Anche a me è capitato di sbagliare con conseguenze come le tue. Grazie quindi per questo spaccato di vita vera.

  6. Non prendertela se ti dico che ho riso ad alta voce quando ho letto “stocazzo”. Più che altro perché so anche io cosa voglia dire non calcolare bene la dosa del farmaco da dover assumere. Mi è capitato con un antiemetico. Odio i pullman, sono la mia nemesi mobile e odio ancora di più lo stare male per tutto il tragitto.
    Ho provato finalmente le gomme masticabili! Ne ho prese due, per sicurezza. Nessun fastidio, nessun disturbo. L’unico problema è stato quello di essermi risvegliato dall’altra parte dell’isola in una zona desertica sconosciuta. Con l’autista e un tizio non meglio specificato che mi scuotevano forte allarmati.

  7. io credo che sia un racconto, non nel senso che sia inventato, perché è evidente che è vero. Una brutta esperienza, l’importante – come si dice – è poterla raccontare. E se ci riesci – eccome- dopo quello che hai passato si vede che forse oltre che la distonia hai anche la malattia dello scrivere, e in forma ostinata.

    1. Si, hai ragioni gionni bello, nessuna delle due mi molla mai. E lasciatelo dire, un personaggio con il tuo nome, non so perchè, ci starebbe a meraviglia in una storia assieme a Vinny e Mia