Zona a pietà limitata
Un raggio di sole conico stava filtrando dalla porta a vetri blindata, posta a delimitazione tra la cucina ed il cortile, espandendosi sul tavolo in vetro appena sparecchiato.
Fissavo in silenzio il bicchiere da cui ancora promanava l’ aroma del caffè in cialde.
Mia moglie si era già trascinata in camera, spalmandosi sul letto per iniziare il rituale del sabato, ovvero la bivaccante pennichella di durata indefinita per compensare la stanchezza accumulata durante la settimana.
Sollevai il cellulare ed inserì la modalità aereo con voluta lentezza, immaginando, con sadico piacere, di essere un negoziante che stava chiudendo la serranda in faccia ai clienti incuranti dell’ orario, che si accalcavano, supplicando, senza dignità, per una deroga.
Sapevo che il lunedì successivo avrei trovato messaggi di scorretti impenitenti che mi chiedevano consulenze consigli o pareri, con messaggi che iniziavano con “Scusami, so che è sabato ma”, e provai un sadico piacere nel sapere che stavo frustrando il loto truffaldino tentativo di eludere gli orari di apertura al pubblico.
Mi diressi in sala e staccai il contatto del campanello, chiudendo accuratamente persiane e finestre, in modo da scoraggiare chi avesse tentato di richiamare la nostra attenzione nonostante il campanello non funzionante.
Coerentemente, in esecuzione di uno schema di reciproche concessioni, avevo parcheggiato l’ auto nel cortile del vicino, in modo da renderla invisibile dalla strada ed accentuare l’ idea di una nostra assenza anche ai più pervicaci.
Stavo per ritirarmi nel letto, quando vidi apparire davanti al nostro cancello, con il suo sguardo a cane bastonato ed il suo sguardo traboccante tristezza, Lei, Vera, icona del disagio, misto a sfiga, del quartiere.
Sapevo che si trovava lì perché voleva, senza pudore, impantanarci nella condivisione del suo fallimentare rapporto di coppia, imbastito con uno stordito come lei.
Iniziò a premere il bottone del campanello con insistenza; più pigiava più sentivo l’ astio crescere nei confronti di quella parassita irrispettosa che non mostrava la minima remora ad Invadere il mio spazio.
Avvertì la bocca allungarsi in un sorriso malignamente compiaciuto nel vederla iniziare ad urlare, con voce rotta dal pianto : “Vi prego! Aprite! Ho necessità di parlare con qualcuno!”.
Vidi affacciarsi dalla porta di camera mia moglie.
Ci guardammo in silenzio, fino a quando Vera non se ne andò.
Finalmente ero libero di spalmarmi sul letto ed a lasciarmi andare ad un riposo pomeridiano lussuriosamente antigienico.
Quando riaprì gli occhi, la notte stava iniziando ad avanzare.
Erano quasi le 19.00.
Mia moglie disinserì la modalità aereo dal proprio cellulare.
Suoni di messaggi e chiamate si accavallarono come un flipper impazzito; erano tutti di Vera, la quale chiedeva di poterci incontrare.
Sapevamo che voleva avanzare, senza pudore, qualche richiesta invasiva, tipo soldi od essere accompagnata in qualche contesto pernicioso od imbarazzante.
Mia moglie mi osservò smarrita.
La osservai annuendo.
Lei comprese.
Si vestì rapidamente.
Chiamai il vicino.
Uscimmo di casa, raggiungendo il auo giardino come saette.
Il vicino ci aprì, imboscandoci rapidamente nel suo cortile.
Salutammo, salimmo in auto e ci dileguammo rapidamente, alla ricerca di un locale nel quale cenare.
Dopo una manciata di minuti, il telefono squillò.
Era Irina, la nostra dirimpettaia, la quale ci chiedeva dove fossimo e ci comunicava che, quel pomeriggio, il compagno di Vera era stato arrestato.
Io e mia moglie osservammo l’ insegna del ristorante in cui avevamo trovato un tavolo per la cena ed annuimmo in segno di intesa; ci avremmo pensato a pancia piena.
Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Storia interessante, l’indifferenza di questa coppia e davvero irritante. Per il resto concordo con gli altri. Aspetto di leggere altre tue storie
Buongiorno Tiziana grazie per la lettura ed il feedback
Ciao Gabriele. Il testo ha un buon potenziale, grazie al tono ironico e all’atmosfera realistica, ma soffre di un linguaggio sovraccarico e poco naturale. Le frasi sono spesso troppo complesse, con ripetizioni e dettagli inutili che rallentano la lettura. La scena tra il protagonista e la moglie manca di dinamismo e dialoghi, risultando meccanica. Vera è presentata come un fastidio senza sfumature, riducendo l’impatto emotivo della storia. Snellire il linguaggio, introdurre dialoghi e caratterizzare meglio Vera migliorerebbe il racconto.
Buonasera Rocco, grazie per il preziosissimo feedback. Riconosco di avere molte sovrastrutture, dovendo utilizzare per lavoro un linguaggio tecnico, che creano, talvolta, un’ ingessatura ampollosa a danno della fluidità e della spontaneità. Sto cercando di creare un’ autonomia lessicale
Ciao Gabriele, di questa storia mi ha attirato il titolo e, nel complesso mi è piaciuta. Trovo, però, che ci siano parole inutilmente complesse che rallentano e danno un sapore un po’ antiquato al testo.
A parte questo (che può dipendere solo dal mio gusto), ti dico bravo.
Buonasera Melania,
ti ringrazio per il tempo ed il prezioso feedback.
Effettivamente devo liberarmi di alcune sovrastrutture