
ἰοίην
Ai fragili.
Al coraggio nelle nostre ossa rotte.
Non ho mai cercato questo momento – come spesso accade è venuto da sé. Un randagio che ti segue per la strada, un acquazzone in piena estate. E pensare c’è stato un tempo in cui non credo neppure di averlo voluto. Un tempo in cui anche il dolore era meglio di niente.
Mi hai lasciata con un messaggio nel giorno del mio compleanno.
«In questo momento ho bisogno di tranquillità e tu non me la stai dando.»
Hai scritto proprio così. Come ci si sbarazza di un peso, un bagaglio inutile. Ero una monca e tu l’arto fantasma che continua a pulsare. Lasciar andare un’impresa impossibile. Il dolore della tua assenza era l’unica cosa che mi restava di te. Mai avrei detto che persino lui, un giorno, mi avrebbe lasciata.
Invece.
Da qualche tempo ogni mattina mi sveglio, preparo caffè, esco di casa e non ti amo più. Il cuore tace e la mente riposa, fuoco spento sotto la cenere ferma.
Sono guarita, amore mio.
È lecito usare questo termine per quel vizio di forma che è il morire d’amore?
Il male bianco e sottile di chi non ha niente di meglio da fare. Gettarsi dentro il lavoro, pensare alla salute, alla famiglia, magari iscriversi in palestra. Non facevo nulla di tutto questo. Fissavo la strada implorando il tuo ritorno come fanno i cani. Piangevo accucciata in un angolo della doccia senza neppure la forza di regolare l’acqua. Mi graffiavo le braccia, ci infilavo le unghie fino a sanguinare. Un male diverso, tollerabile. Sensato.
«Che hai fatto?» chiedevano.
Sorridevo. «Il gatto».
Non mi vedevo più, non riuscivo a toccarmi. Dentro lo specchio il mio corpo era quello di un’estranea che non mi andava di riconoscere. Mi ricordava i tuoi occhi, il modo in cui mi guardavi tu. La mia bellezza che senza di te non serviva più a niente. Un vuoto a rendere trovato intatto e restituito in macerie.
Spiavo le altre donne. Dentro la metropolitana, al supermercato, in pausa pranzo. Cercavo i miei segni addosso a loro. Quando sorridevano aprendo un messaggio o mentre sceglievano un nuovo rossetto, una bottiglia di vino. Mi chiedevo: per chi?
Quando si massaggiavano le tempie cercando un Oki dentro la borsa o infilavano gli occhiali da sole simulando l’allergia. Ci siamo, mi dicevo. Sta succedendo anche a loro.
Altre invece le immaginavo immuni, a farsi davvero bastare il lavoro, la salute, i figli. Mentre a me non bastava neppure l’aria.
«Sto bene.»
L’avrò risposto miliardi di volte a gente senza la minima idea di cosa stesse parlando.
Mai mi sarei aspettata che un giorno potesse diventare vero.
Nel gesto di un bottone slacciato, una camicia arancione vista per caso dentro una vetrina.
L’arancione non è mai stato il mio colore. Ho agito d’impulso, mi sono infilata dentro il camerino. Ho voluto cambiare. Un nuovo profumo, un piatto esotico, un titolo sconosciuto al cinema. Una leggerezza nuova ha trovato posto mentre qualcosa, dentro, se ne andava. Quel qualcosa eri tu. Nulla di ciò che stavo facendo era più per te.
Dentro lo specchio una donna nuova che non ti piacerebbe perché ti sa sopravvivere.
Mi sono sorpresa a immaginare il prossimo. Fantasticare l’odore, le mani di uomo che non sei tu.
In fondo siamo treni, porti, stazioni. È solo questione di tempo.
L’ho visto ordinare un caffè seduto al tavolo in fianco al mio, rompere il ghiaccio con una battuta sul tempo. L’ho visto perdere il mio stesso treno, afferrare il mio stesso libro, propormi di dividere un taxi, invitarmi a cena con la scusa di continuare a parlare del nostro autore preferito.
Mi sono vista sorridere, declinare ogni invito. Allontanarmi di spalle.
Il respiro pieno, il sole in fronte e dentro il cuore la quiete dell’acqua buona.
Che io possa camminare sola.
Che io possa vivere.
Che io possa andare oltre.
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Ciao Irene! Confesso di aver dovuto fare qualche ricerca (data la mia scarsa conoscenza in ambito poetico😅), e ti ringrazio per avermi fatto scoprire questa storia bellissima riguardo la poesia perduta di Saffo. Poesia che supera il testo stesso – ormai inesistente – per abbracciare quell’unica parola superstite, amplificandone il senso, proprio grazie all’assenza. E di assenza si parla anche nel tuo magnifico racconto (poetico e sulla poesia), un’assenza opprimente, distruttiva, ma, infine, catartica.👏🏻
Ciao Nicholas! questo frammento di Saffo mi è sempre stato a cuore, al punto di progettare un tatuaggio che puntualmente rimando perché alla fine altre idee hanno il sopravvento. Aspettando venga il momento buono mi è sembrata una buona idea associarlo a una rinascita dopo la rottura, perché è così che nella mia mente ha sempre funzionato questa frase, come un mantra. Me lo ripeto spesso nei periodi difficili, per qualsiiasi cosa. Per arrivare, appunto, alla catarsi, sulla carta e nella vita. Grazie per la tua lettura, a presto 🙂
Me lo sono letto al tavolo del ristorante di un B&B, che di buono aveva giusto la birra, i thirty seconds to mars passati sullo schermo della tv. Sempre felice di leggere di una vittoria.
Beh, per come la vedo io, se la birra è buona si puo sorvolare sul resto…🤭
Scherzi a parte, ti ringrazio davvero per questa lettura. A presto.
Avevo già visto (su Instagram?) questa tua foto, la luna col piccolo astro “allegato”. Forse in quel periodo l’avevo vista anche io, nella realtà. E’ facile ipotizzare che l’hai fotografata dall’altra sponda del fiume che divide i nostri territori. Metafora delle cose che sono sempre uguali e diverse dipende da dove (o con che anima) le si guarda (come le lucertole per Battiato). Sul tuo racconto, che dire… meraviglioso come sempre (fa dimenticare la pausa pranzo, oggi è stato così). Vai spesso, tanto, nel profondo del vortice. A tal proposito mi sono sempre chiesto dove finisca il fluido dopo la spirale, di solito in un percorso obbligato e di raccolta ma ho sempre pensato che sarebbe bella invece una traiettoria opposta e crescente dove si espande, in un nuovo mondo, opposto e con una bella voglia di colore… arancio magari, perchè no. L’avevo anche io una volta una camicia arancio. Il colore con cui ci si presenta il Sole…
Ciao Luca, è un piacere vederti passare di qua!
Ci hai visto giusto, la foto con la luna l’avevo pubblicata su IG e quasi sicuramente l’hai vista anche tu. Non ricordo il periodo, forse inizio anno, Venere era visibile in fianco alla luna. Mi sembrava un ottimo accostamento a questo piccolo racconto.
La tua capacità di lettura è di sguardo come sempre mi affascina e mo stupisce. Hai colto un meccanismo che nei miei scritti si ripete, e si, li scrivo io, dovrei saperlo bene, eppure mi sono tesa conto di nonesswrne pienamente consapevole. Questo vortice, come lo chiami tu, mi trascina fino al centro e la risalita è sempre e soltanto accennata. Non ho mai pensato ad un percorso contrario, ma le tue considerazioni mi hanno aperto una nuova strada. Grazie davvero, mo hai regalato parole preziose. Un abbraccio.
Bellissimo e intenso Irene, come ci hai abituato con i tuoi brani.
Grazie Melania ❤️
Che meraviglia questo testo, dalla prima parola all’ultima. Probabilmente l’ho apprezzato tanto perché hai raccontato ciò che io stessa ho vissuto. Forse tutti noi, almeno una volta, abbiamo sperimentato qualcosa di simile. Brava!
Una delle cose più belle ed emozioannti è proprio sentire che questo testo è arrivato a tutti, e tutti abbiamo avuto un’esperienza simile. Ci si sente meno soli. Grazie Arianna
Mi ritrovo moltissimo in questa storia, come credo tutte le persone che hanno vissuto un’importante rottura. Hai reso perfettamente lo smarrimento iniziale e quella liberazione che, alla fine, arriva quando ci si lascia alle spalle un turbinio di emozioni ormai lontane. Il riscoprirsi, il tornare protagonisti della propria vita… non avresti potuto descrivere meglio questo stato. Bravissima!👏👏
Ti ringrazio molto Tiziana. Come tu stessa hai scritto, molte persone, credo tutte, prima o poi si ritrovano a vivere un’esperienza simile. Per ognuno è diverso, perché ognuno vive il dolore a modo suo. Mi fa piacere sapere che sono riuscita a trasmettere qualcosa di “universale” che andasse al di là dell’esperienza personale per toccare quella di chi legge. Grazie ❤️
“Da qualche tempo ogni mattina mi sveglio, preparo caffè, esco di casa e non ti amo più. “
Bella
Grazie Andrea.
“Mai mi sarei aspettata che un giorno potesse diventare vero”
Una sensazione che ho provato👏
E quando succede è una liberazione 🙂
Scherzi? Mi hai fatto ripensare a tutte le volte che mi sono sentito sperduto, circondato da facce che a stento riuscivo a riconoscere, prigioniero di un sentimento che non sapevo più a chi indirizzare o dove.
Al panettone di cemento verniciato con quello strano giallo carico e avvolto con una striscia catarifrangente… ero seduto lì l’ultima volta che la persona che amavo distribuiva le colpe e i meriti e dava valore ad ogni azione. Ma non era colpa mia, era colpa sua! O almeno così sosteneva lei.
Nella mia testa stava andando una qualche colonna sonora, forse era Bruce Broughton, con A Symphony, ma non sono sicurissimo. E mi vedevo disperato e strisciante, con la pelle ormai grigia e polverosa, mentre mi sgretolavo sotto l’influsso della solitudine e della tempesta di tristezza che soffiava rabbiosa nel mio petto. Tornai a casa, sicuro di trovare un branco di cani famelici pronti a sbranarmi in comune accordo con dei grossi corvi inglesi che però puntavano a divorare gli occhi.
La colonna sonora era diventata Painted Skies di FFXIV e mi sentivo pimpante come la mummia di Tutankhamon appena scoperta… Alle due del mattino, quando ormai ero sicuro che l’indomani mattina di me avrebbero rinvenuto solo un grumo scuro di polvere simile alla terra rossa di un campo di tennis scadente, qualcuno spinge il pulsante del citofono con una certa insistenza.
– Sono la Fra! Ho saputo! Come stai? Scendi! Andiamo a bere… no, anzi, apri che salgo io! Sei solo? C’è Giò? Hai da bere? Andiamo? –
Era la promoter della HP. Non avevo idea sapesse l’indirizzo di casa mia. È una cosa strana come spesso non si riescono a percepire le cose evidenti e da mummia rinsecchita e sabbiosa, ci si trasformi in una forma umana quasi accettabile e la giostra riparte con la sua musichetta da carosello attrattivo.
Irene, mi piace un sacco l’arancione! ♥
Che meraviglia Emi! Questo commento merita un titolo, perché è un racconto in carne ed ossa. Incredibile come del dolore ricordiamo sempre i dettagli in apparenza “insignificanti” : il panettone, la punta delle scarpe, e la colonna sonora a distrarci dalle parole che non siamo pronti a sentirci dire…il tuo panettone dei brutti ricordi è giallo carico (💛💛💛), ma se aggiungi un poco di rosso (❤️❤️❤️), diventa arancione(🧡🧡🧡)…come la mia camicia del sorriso ritrovato…lo hai notato?
Abbiamo trovato la giusta combinazione che ti salva dal male 😁😁😁
Potresti davvero aver scritto la seconda parte, quella bella e spensierata, di questo racconto!
Grazie grazie grazie 🧡🧡🧡
Ma daaaiii! 🧡È tutta una questione di strascichi! Un paggetto o una damigella che nota la difficoltà nel camminare trascinando panettoni, rossetti o metropolitane arriva sempre a sollevare quella codazza di pesante stoffa lucente e con il suo sorriso rende più agevole il cammino. E i dissuasori stradali, le bottiglie di vino, i supermercati diventano tutti ricordi non proprio piacevoli, ma meno taglienti… smussati e maneggiabili. 🧡🧡🧡🧡
“In fondo siamo treni, porti, stazioni. È solo questione di tempo.” Questa frase dovrebbe essere ripetuta come un mantra da chi pensa di morire d’amore. Non si può morire d’amore quando dall’altra parte c’è solo disinteresse. Bravissima, Irene.👏👏👏
Esatto. Non è per nulla semplice, ma come si scende dal treno “sbagliato” così dovremmo fare con le persone, quando capiamo che non fanno per noi. Grazie Concetta ❤️
Una confessione sincera e scritta molto bene.. complimenti.. e se è tutto ‘vero’, spero tu ora sia felice..
Grazie Furio. In realtà è un racconto che nasce da esperienza passate, ed ho provato a renderlo universale perche è qualcosa che tutti abbiamo provato, nella vita. Quindi ora si, tutto bene 😊
Mi fa piacere che tu sia passato di qui, a presto!
Conosco bene quella sensazione e quello stato d’animo. Tutto sembra inutile e insignificante. E poi arriva la guarigione: la cosa più bella del mondo. Ti fa innamorare di nuovo della tua vita, di te stessa. Ti fa scoprire la felicità di essere libera e tranquilla. Ti fa venire voglia di vivere e provare cose nuove. È bello. È veramente bello🌺
Proprio così Karina, innamorarsi di sé stessi (il racconto è al femminile, ma vale pure per i maschietti😉)
Grazie per essere passata di qui ❤️
“Un tempo in cui anche il dolore era meglio di niente”
Quel certo vuoto di cui abbiamo paura e che, invece, andrebbe lasciato tale.
Proprio così. Guardarlo e capire che non fa poi così paura.
Andare oltre, andare avanti, nonostante…È davvero così difficile? Io credo proprio di si. Però ti dici che non lo è e lo dici alla tua amica che ha bisogno di sentirselo dire. O forse, chi ha bisogno di ascoltare la propria voce mentre lo dice, sono proprio io. Chissà.
Mi capita, ogni volta, che un tuo racconto sia una sorta di ‘specchio’. A ogni frase arriva un ‘ecco, lo volevo dire io, l’avrei detto io’.
La forma è perfetta per un argomento così intimo. Il flusso di coscienza si addice perfettamente al tuo stile fatto di frasi monche, che sembrano buttate lì, come già ti dicevo, parole appese al filo dei panni stesi. Perfetta e stupenda, la tua forma, il tuo modo di scrivere, di esprimerti, di lavarti l’anima.
Complimenti Irene, per tutto. Per quello che ci volevi raccontare e per come lo hai fatto.
Sai Cristiana, mi hai fatto riflettere su come la scrittura sia per tutti una sorta di “specchio”. Così come nelle relazioni. Si è sempre in due e mai soli. Ci si influenza, ci si arricchisce, si toglie, ci ai ferisce, anche. Lo scrivere, in particolare, rappresenta tra le altre cose una sorta di “medicina”. Creiamo mondi, raccontiamo storie, le diamo agli altri, perché? Per capire, esorcizzare, guarire. Dove non arriviamo noi, arriva il lettore. Dove non arriva il lettore, ci siamo noi. Questa sorta di scambio rappresenta il passo successivo allo scrivere per sé, ed ecco perché io sono una ferma sostenitrice della teoria per la quale “nessuno dovrebbe scrivere solo per sé, ma sempre, anche, pensando gli altri”
Questo pezzo nasce da esperienze personali che, come tutti, mi è toccato di vivere. Ma nasce anche dalla scambio, dall’ascolto di esperienze simili alla mia. Ogni commento mi regala un punto di vista nuovo. Non potrei mai scrivere solo per me, non avrei mai potuto farlo da sola. Siamo treni, porti, stazioni, siamo qui per mescolarci, stare insieme, sostenerci. E questa è la prova. ❤️
Invocazione e atto di accusa direbbe Faber.. Già dal titolo (ammetto di averne cercato il significato). Uno sguardo profondo dentro di noi.
“Assoluzione e delitto lo stesso movente…”
Grazie Antonio, hai afferrato il concetto dell’intero racconto.
Fantastico. Questo pezzo è proprio scritto bene. Argomento non facile. Scrittura per immagini. Potrebbe essere il soggetto di un corto. Brava.👏
Grazie Rocco. In effetti, mentre scrivevo io stessa vedevo scorrere le immagini…grazie per le tue belle parole.
Saffo 😉
Sempre magistrale.
Grazie Alice, apprezzo molto la tua lettura.
Profondo, intenso, struggente, intimo e vero. Un incipit che cattura e conquista sin dalle prime parole della dedica. Un finale perfetto. Un racconto che trasmette molte sensazioni. In quello specchio si puó vedere l’estranea e la donna nuova, rivedersi in lei e sentirsi appagate nella conclusione. Bravissima!
Grazie mille Luisa. La protagonista è una donna e narra di sé ma credo che qiesto racconto sia un vero e proprio “specchio” in cui tutti possono riconoscere e ritrovare il proprio vissuto.
Duro e come sempre boccata d’aria finale. Ti si può seguire dentro qualunque dramma racconti, tanto alla fine non resisti al desiderio di farci vedere la luce. Per questo, grazie.
Grazie a te Guglielmo. Credo tu abbia usato il termine esatto: non resisto. Vorrei, non sai quanto, fare “la dura” fino alla fine, ma nulla è più forte di me, prevale sempre il cuore buono ❤️
Ti ho immaginato davanti ad uno specchio, con un foglio di carta raggomitolato in una mano. Mi piace quello che hai scritto.
Grazie di cuore Giovanni. Mi fa piacere che tu sia passato di qui.