
6 – Il tempo che serve alle promesse
Serie: Il tempo che serve alle promesse
- Episodio 1: 1 – La luce che filtra al mattino
- Episodio 2: 2 – Quel che non si è mai conosciuto
- Episodio 3: 3 – Un po’ alla volta
- Episodio 4: 4 – Prospettive
- Episodio 5: 5 – Ridere
- Episodio 6: 6 – Il tempo che serve alle promesse
STAGIONE 1
Ho visto che gli tremava leggermente il mento, ma non ha detto nient’altro.
«Dove siete lì? Lo riconosci?». L’ho chiesto a mio padre perché in queste cose mia mamma è del tutto inaffidabile, potresti essere inquadrato davanti al Duomo di Milano e lei ti direbbe che le sembra la Cattedrale dell’Assunta a Ischia.
«Credo che siano i giardinetti che stanno in fondo a Caruggio Dritto».
Quei giardini sono lì all’angolo fra Corso Millo e Corso Genova da quando ho memoria. Sono stati oggetto di ammodernamenti nel tempo, ma sono sempre quelli.
Mi è sempre rimasta impressa una serata estiva che ci avevo trascorso da bambino, quando mio zio Piero, uno dei fratelli di mia mamma, era ancora vivo. Seduti ad un tavolo lungo, come quelli che si posizionano nelle sagre, mio zio mi aveva parlato di quanti chilometri bisognasse avere nelle gambe (aveva usato proprio questa espressione, chilometri nelle gambe) perché uno si potesse considerare un buon ciclista; e io avevo ascoltato, felice che mi venisse riservata l’attenzione che normalmente si dedica agli adulti.
Non c’è assolutamente alcun motivo per il quale io mi debba ricordare di quella serata. O forse il motivo c’è e l’ho appena citato.
«Allora lo vedete che vi conoscevate da bambini? Mi avete sempre mentito. Vergona! E chissà quante altre cose non mi avete mai raccontato. Sono stato adottato? Ho dei fratellastri? Con quanta gente dovrò condividere l’impero finanziario che mi lascerete in eredità? Voglio saperlo. Ora».
A quel punto mia madre mi ha rassicurato sul fatto che non esiste alcun impero finanziario da condividere con nessuno. Ed in quanto all’adozione, mi ha detto che me ne avrebbe parlato quando fossi stato abbastanza grande per capire.
«No che non ci conoscevamo, te lo assicuro. Non ci siamo mai frequentati da bambini. Ci saremo incrociati lì per sbaglio, ma con papà ci siamo conosciuti al mare quando eravamo già grandi. N’è Mino?»
«Confermo» è stato lo spiegone prolisso di mio padre.
A quel punto non ho avuto altra scelta che credergli, lasciando che mio padre tornasse a sacramentare in camera e mia madre a svuotare la credenza, io da solo lì sul divano.
E a ben pensarci la cosa può avere un senso.
Io i miei genitori li vedo come coetanei, ma mio padre ha oltre quattro anni in più di mia madre, e quando si è bambini quattro anni sono un divario enorme.
Altri giri, altre classi, altre case, anche se per un po’ si è abitato uno ad un tiro di sputo dall’altra.
Altre vite, fino a quando non ci si incrocia un’altra volta, per la prima volta, mentre sulle fotografie che erano state nuove se ne depositano altre, ed altre ancora. E tocca far passare del tempo prima che ognuna riveli quello che aveva veramente da dire.
***
Una bambina piccola sgambetta entusiasta, tira su con le scarpe una nuvoletta di polvere e terra battuta.
Si avvicina ad un gruppo di bambini più grandi di lei, tutti concentrati a dare calci ad un pallone marrone di cuoio.
La bambina si inserisce nella piccola mischia, incoraggiata dalla vicinanza della palla rispetto al punto in cui si trova lei.
Uno dei bambini del gruppo si accorge della sua presenza e senza ragione la spintona via con maleducazione. Vattene tu, che sei una femmina. Poi con un gesto della mano si sistema il ciuffo impertinente che gli cade sulla fronte.
La bambina capitombola all’indietro, e non le è chiaro se sia più forte il dolore al sedere o l’umiliazione che ne è conseguita.
In un caso o nell’altro, non le resta che piangere, e lo fa con quanto fiato ha in corpo.
Si avvicina un secondo bambino del medesimo gruppetto, ha gli occhi azzurri e i capelli radi. Lasciala stare, si rivolge al bambino dal ciuffo impertinente, non lo vedi che è piccola?
Giacomino si è innamorato, Giacomino si sposa grida il bambino ciuffoso, non si capisce bene a chi. Nessuno gli presta attenzione.
Giacomino non se ne cura, si gira verso la bambina a terra.
«Dai, tirati su.»
«No.»
«Forza, ti aiuto io. Non gli dare soddisfazione a quello, è rincitrullito». Giacomino allunga una mano, e la bambina la afferra.
«Tanto me ne vado, non ci vengo più qua.»
«E perché?»
«Perché c’è quello là che è cattivo. E tanto poi cambiamo casa.»
«E dove vai a stare?»
«Non lo so, via.»
«Via da Chiavari?»
«Ma no, scemo». La bambina trova il sorriso per un attimo, solo per un attimo. «Io sono nata a Chiavari, mica posso andare via da Chiavari.»
«Allora torni qua.»
«No, non ci torno.»
Giacomino la guarda qualche secondo. «Va beh, fa come vuoi, io devo andare a giocare. Ciao. Però se ritorni ti difendo io.»
«Promettilo. Prometti che se ho bisogno mi aiuti.»
«Promesso. Ora però mi chiamano. Ciao bambina, io sono Mino» le dice correndo via.
«Io sono Anna» gli risponde la bambina, ma non lo sa se l’ha sentito.
***
In questi giorni a mia mamma è stato diagnosticato un linfoma. I medici sono ottimisti, dicono che è una forma indolente, non aggressiva, e che al momento non serve terapia.
Lei è serena, ha affrontato di peggio, e vincerà sicuramente.
La aiuta mio padre, la accompagna alle visite e non la lascia mai sola.
Ai miei genitori, con un pizzico di immaginazione
Serie: Il tempo che serve alle promesse
- Episodio 1: 1 – La luce che filtra al mattino
- Episodio 2: 2 – Quel che non si è mai conosciuto
- Episodio 3: 3 – Un po’ alla volta
- Episodio 4: 4 – Prospettive
- Episodio 5: 5 – Ridere
- Episodio 6: 6 – Il tempo che serve alle promesse
Molto ben riuscito questo episodio. Mi è piaciuto tantissimo il modo in cui hai affidato alla fotografia il compito di narrare la storia. Non credo abbia importanza sapere come è andata davvero, se quelle siano state le esatte parole. Perchè la vita e l’amore si misurano nell’esserci, e tu hai reso benissimo questo concetto. Che fosse uno spintone o una brutta malattia da combattere, Mino era lì. Davvero davvero bello e intenso.
Ciao Irene, nella realtà questo racconto si è tradotto in un fallimento totale, ma pazienza, ci ho provato🤷♂️.
Grazie per averlo letto.
Bravo Roberto, un testo molto ben riuscito ed equilibrato fra la narrazione della vita vera e quel pizzico di immaginazione che dà colore alle parole. Si sente il cuore. Non lo so se è la ricetta giusta, credo che in realtà non ne esistano. Tuttavia, come diceva Garcia Marquez, ‘La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla’, ciascuno a modo suo.
Bello, ogni tanto, ‘pasticciare’ con i colori o con la farina, come uno preferisce, lasciarsi andare, ma non troppo. In questo capitolo, si sente che ci sei tu, ma è come se tu sbirciassi da dietro la finestra e lasciassi parlare loro.Forse, fino ad ora, l’episodio che preferisco.
Mi trovo molto d’accordo con la citazione che hai fatto di Marquez, cerco di metterla in pratica ogni volta che posso. Grazie Cristiana.
☺️
Ci sono molte frasi che vorrei evidenziare di questo episodio, ma parlerò delle emozioni che ho sentito. Mi hai fatto sorridere perché c’è sempre quella spolverata di ironia che mi piace tantissimo della tua scrittura. Si percepisce tanta tenerezza e la giusta dose di nostalgia.
E poi, è fantastico camminare in una storia tra le vie che si conoscono per davvero.
Hai scritto davvero una dedica bellissima ai tuoi genitori.
Eh sì, tu hai un punto di vista privilegiato in questa storia. Grazie per averla letta e per i complimenti!
Bene così 🙂
Grazie di averlo letto Kenji!
Caro Roberto. Concludo questo racconto con una forte sensazione di tenerezza verso questi due bambini che si sono incontrati per la prima volta, più di una volta. Il tutto è stato arricchito da un’immersione nelle vie di Chiavari veramente evocativa, fotografica, quasi esperienziale. Si coglie il tuo personale coinvolgimento in questa storia, come se le corde emotive toccate fossero più delicate rispetto ad altri tuoi racconti che ho letto. Forse questo coinvolgimento ti ha reso più discreto, più timido nel toccare quelle corde, come se fossi entrato in questa storia in punta di piedi, su un pavimento vetrato.
Ecco, per il tuo talento e la tua profondità credo che tu possa tranquillamente camminarvi con maggior vigore.
Come sempre, è un vero piacere leggere quello che scrivi.
Grazie Guglielmo che per l’attenzione che hai dedicato al mio racconto, e per averci trovato così tante cose. Grazie anche per gli spunti di riflessione che mi hai dato. E’ bello immaginarti in giro con la mente per la mia città. A presto!
“Altre vite, fino a quando non ci si incrocia un’altra volta, per la prima volta”
Bellissimo passaggio
🙏.