Il rivolo sottile

Serie: Il solo modo che conosco


Arrivato a casa, ho trovato una mail di Greta Thunberg che, tutta piccata, si lamentava ufficialmente per i cambiamenti climatici che quel giorno avevo prepotentemente contribuito a generare. Ed è così che ho chiamato la mia moto. Greta

Durante l’anno che è trascorso io e Greta ci siamo conosciuti un po’ di più ad ogni guida.

L’aspetto che più mi ha appassionato è stata la percezione di aver appreso qualcosa ad ogni uscita, breve o lunga che fosse.

Immagino sia una cosa comune ad ogni principiante. L’entusiasmo che procura constatare quanto ogni azione nuova, per quanto piccola, ti arricchisca un po’ di più. Ritornare a casa e sentire di aver messo la spunta a questa o quella voce della “Lista delle cose da imparare”, come punti esperienza nei giochi di ruolo.

In quei mesi tutto è stato stimolo e compiacimento. A partire dal momento in cui tiravo giù la moto dal cavalletto centrale, fredda e impaziente, sino al momento in cui su quel cavalletto la rimettevo, caldissima ed appagata.

Ho imparato quanto una goccia nel mare, ma a me è parso che in quella goccia fosse racchiuso tutto il mare da cui proveniva.

Ho trovato i miei tempi e cadenza sulla strada, ho lasciato il passo a tutti osservando però la posizione di chi mi aveva appena superato, dell’ingresso in curva.

Ho tenuto il mezzo controllato, pulito e oliato.

Ho guardato mille tutorial su come fare in caso di questo o quello, sperando di non doverli mettere in pratica troppo spesso.

Mi sono dotato dei giusti accessori, specialmente dopo avere constatato che una giacca estiva è estiva e basta, pure se sotto indossi dieci felpe.

Nel frattempo sono caduto e mi sono rialzato (niente panico, la moto non si è fatta niente).

E senza rendermene conto il giorno è arrivato. Partenza di venerdì, rientro il giovedì seguente. Due tappe all’andata, due notti a Tübingen, due tappe al ritorno.

Il giorno prima, in fibrillazione, ho portato la moto a fare il pieno, ho ingrassato la catena e dopo cena ho preparato la borsa per il viaggio. Per l’occasione ne avevo presa una di quelle a più strati sovrapposti uniti da cerniere, componibile a piacimento, con quattro magneti alla base per assicurarla al serbatoio. Si è rivelata un gran bell’acquisto.

Ma ho dovuto constatare come io debba smetterla di ridurmi all’ultimo secondo con i bagagli. Troppa roba. Una volta riempita la borsa in versione full size e provata sul serbatoio, mi ha dato l’idea di essere un pelo sovrabbondante rispetto alle proporzioni del tutto. Così sono risalito in casa e ho levato uno degli strati, tenendo solo l’indispensabile.

Biancheria quanto basta, una polo, una camicia, un paio di jeans, una maglietta con la bandiera della Union Jack. Primitivo il giusto.

Tra una piega e l’altra, spazzolino dentifricio e rasoio. Il kindle, il caricatore, blocco per appunti e penna blu.

A portata di mano le cartine stradali. Hai visto mai che mi mollasse il navigatore.

In uno zainetto la roba da pioggia. Strato impermeabile da indossare sopra la giacca, copriscarpe. Una borraccia.

Così può andare. E ora a dormire che domani è QUEL venerdì e ci si alza presto.

La mattina, al risveglio, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata la strofa di una vecchia canzone di Jovanotti:

Come un lunedì di vacanza dopo un anno di lavoro.

Altro giorno, stesso concetto.

Ho fatto una iper colazione, controllato le ultime cose ed è stato il momento.

Baciando Valeria, non so se sia stato in grado di trasmetterle tutto quello che le ho voluto dire. In questa faccenda ha tenuto costantemente per sé una punta di naturale apprensione e mi ha sempre supportato, spinto, incoraggiato a fare una cosa che aveva compreso fino in fondo quanto per me fosse importante, quanto andasse ben oltre il concetto di farsi semplicemente un giro in moto.

Ho salutato Moka e Pepe, i miei due gatti neri come lo schermo di una tv davanti al quale si confondono e sono sceso giù per le scale, percependo ad ogni passo la presenza delle protezioni della giacca, pesanti sulle spalle e avvolgenti sugli avambracci.

È incredibile come i cassetti della memoria si spalanchino come fossero dotati di una volontà propria.

Non sono mai stato particolarmente attirato dal genere fantasy, ma come credo molti ho ritenuto doveroso leggere, a suo tempo, “Il Signore degli Anelli”. È stato una vita fa, nemmeno ricordo precisamente quando, e come sempre mi succede coi libri letti, dopo un po’ di loro non mi restano lunghi brani ma lampi di colore, vibrazioni di passi, sbuffi di profumi. Eppure dev’essere stato questo che intendeva chi ha scritto che leggere fa.

Mi è parso di sentire nuovamente sotto le dita un fruscio ruvido di carta ingiallita quando ho rivisto, quasi lettera per lettera, l’avvertimento che Bilbo Baggins rivolge a Frodo su cosa voglia dire, a volte, aprire la porta e uscire fuori. Di che cosa quel gesto rappresenti l’inconsapevole inizio.

Quel vialetto che dalla tua casa esce come un rivolo sottile e si riversa nel sentiero oltre il cancello diventando un rigagnolo, che confluisce in una strada come un torrente, poi in una più grande ed una più grande ancora, fino a quando il rivolo sottile si è trasformato in un fiume tumultuoso senza nemmeno rendersene conto. E tu non puoi sapere dove e quanto lontano ti porterà quell’immensa massa d’acqua.

E senza essermene reso conto mi sono ritrovato ad avere la moto appoggiata al cavalletto laterale sulla ghiaia del retro del mio palazzo. Allora ho fatto quello che da mesi vedevo ogni volta che chiudevo gli occhi.

Ho abbassato la serranda del garage, mi sono infilato il casco, ho tirato su la cerniera della giacca e ho indossato i guanti, tenendoli chiusi tramite la striscia di velcro alla base.

Sono salito a cavalcioni sulla sella, ho aperto il rubinetto del serbatoio, ho infilato la chiave nel blocchetto laterale, l’ho girata e ho acceso il motore. Gli ho lascato Il tempo di scaldarsi, perché mantenesse autonomamente il minimo.

Poi ho premuto la leva della frizione ed inserito la prima. L’innesto della marcia ha prodotto quello scatto secco e preciso che così tanto amo sentire.

E con calma, senza fretta, sono partito.

Serie: Il solo modo che conosco


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Discussioni

  1. “ho rivisto, quasi lettera per lettera, l’avvertimento che Bilbo Baggins rivolge a Frodo su cosa voglia dire, a volte, aprire la porta e uscire fuori. Di che cosa quel gesto rappresenti l’inconsapevole inizio. “
    La saggezza di Bilbo Baggins non ha uguali!

  2. “E con calma, senza fretta, sono partito.” Non ci sono parole miglior con cui chiudere i primi due episodi del viaggio. Chi ha un passato o un presente da motociclista turistico lo sa.

  3. Ciao Roberto, “Ho imparato quanto una goccia nel mare, ma a me è parso che in quella goccia fosse racchiuso tutto il mare da cui proveniva.” bellissimo, credo racchiuda esattamente il segreto di esercitare una passione, la moto o altro poco importa, perché penso che, per davvero, non si finisca mai di imparare niente, anzi… Ma, dai che si parte! idealmente ho già il casco in testa, pronto a segurti, fai tu il passo. Grazie per la lettura

  4. Bello come hai raccontato l’attesa e la preparazione, hai reso benissimo l’eccitazione della partenza. Si percepisce una grande passione. Sono curioso di sapere dove ti porterà il viaggio, Roberto. Continua a raccontare.

  5. Che bello questo nuovo viaggio che inizia, in questo inizio di estate. Mi hai ricordato che leggere è un pò come viaggiare. Non lo si fa per arrivare alla meta, o alla fine del libro, ma per godersi quello che ci aspetta nel mezzo e scoprire cosa di nuovo ci aspetta ancora da imparare. Seguirò con piacere te e Greta in questa vostra avventura!

  6. “Ho trovato i miei tempi e cadenza sulla strada, ho lasciato il passo a tutti osservando però la posizione di chi mi aveva appena superato, dell’ingresso in curva.”
    Questa particolare frase mi colpisce perché sento che dice molto oltre le parole. Racconta di un autore misurato, ordinato e gentile. Un autore come te che sa accompagnare per mano i propri lettori. La bellezza di una storia sta nel suo essere universale, questo ce lo siamo detto tante volte. Nella tua storia mi pare particolarmente calzante. Buon viaggio Roberto❤️

  7. Si parte! Seguirò con piacere questa avventura, anche perché pur sapendo che io non avrò mai una moto (troppo fifona per
    salirci), ho comunque bisogno di emozioni simili e le vivrò attraverso la tua esperienza.

  8. Il solo modo che conosco. Già il titolo, che sempre ricerchi con cura, coinvolge subito e fa salire il desiderio di percorrere quel rivolo per arrivare al grande fiume con la consapevolezza che la meta è quasi un pretesto, che quello che più conta è il viaggio e la sua preparazione. Non ho dimestichezza con le due ruote ma ne ho con i viaggi e il momento in cui chiudi la porta ed affronti l’ignoto è sempre una grande emozione. Fammi viaggiare con il racconto della tua avventura, caro Roberto, te ne sarò grato.

  9. “Ho imparato quanto una goccia nel mare, ma a me è parso che in quella goccia fosse racchiuso tutto il mare da cui proveniva.” Bellissima, solo una delle frasi che mi hanno emozionato.

  10. Ciao Roberto, mi è venuta la pelle d’oca mentre leggevo questo episodio. L’ho trovato emozionante per quello che racconti tu e perché mi sono rivista dentro ad alcune tue frasi per un’esperienza che sto vivendo, completamente diversa dalla tua. Il bello della scrittura è anche questo.
    Tornando alla tua storia, le avventure che parlano di viaggi mi entusiasmano e con il tuo modo di scrivere sono assicurati sia le emozioni che i sorrisi. Bravissimo!