A

Serie: La notte buia del Mondo


Il tempo è finito. Il Male si ostina contro la giovane protagonista di questa storia mentre il Mondo, banalmente, si avvicina al proprio tramonto. Sogni, speranze e avvenimenti reali si mischiano indissolubilmente in una piccola cittadina di provincia. Dietro la banalità e il fantastico,

    STAGIONE 1

  • Episodio 1: A

E’ notte. Il corridoio dell’ospedale è come inzuppato nel buio, illuminato solo dalla luce lunare che filtra dalle porte scorrevoli del reparto rianimazione. Nella fila di sedute appoggiate contro la parete, scorgo la sagoma scura, immobile di una persona che pare dormire, il capo innaturalmente chino sul petto avvolto da un’ombra che ne nasconde i tratti del viso.

Sullo sfondo rompono a tratti il silenzio pochi strascicati rumori di passi lontani e il ronzio delle macchinette automatiche per caffé e bevande che sembrano come risvegliarsi ogni tanto da un sonno agitato ed iniziare a frinire. Dall’esterno, il rumore sordo e soffocato del traffico notturno ovattato dall’altezza non riesce a scalfire quel sentimento di irrealtà che pare esalare, come umidità, dalle pareti di un qualunque ospedale.

In un angolo una mosca agonizza. Pur non vedendola ne percepisco il leggero ronzio delle ali che fremono frenetiche a intervalli sul pavimento. Per qualche minuto i ronzii dell’agonia cessano, forse per recuperare l’energia spesa nell’inutile tentativo di fuggire, ma in quelle pause il silenzio diventa ancora più straziante. Poi riprendono fino a scemare di nuovo dopo qualche minuto.

“Perchè, mi domando, provo pena anche per questa briciola di vita che finisce? Chi mi ha inchiodato sul cervello questa impossibile empatia? Impossibile perchè cosa possono avere in comune un piccolo insetto con un essere così complesso come un essere umano? Perchè questa voglia di alzarmi e porre fine a questa agonia spiaccicando sul pavimento la mosca con la suola delle scarpe? Per non udire quella agonia, per l’insopportabilità della morte che si avvicina?

Che prenda un uomo o un insetto è così differente? Schiacciare la mosca perchè smetta di produrre

quell’agghiacciante e inutile tentativo di fuggire da un destino già segnato è l’atto più ignobile che possa venirmi in testa. Eppure l’ho ha partorito qualcosa in me, come possibile soluzione.

Lo so che per molti il gesto di sparare in testa ad un cavallo azzoppato è considerato un atto “umano” e “pietoso”, ma l’uomo è stato sempre fin troppo bravo a usare le parole per giustificare qualsiasi nefandezza.

Qualunque morte è invece simile. Non c’è differenza alcuna fra la morte di un insetto e quella di un grande genio, anche se non ci piace constatare questa ovvia verità. Solo che noi amiamo le classifiche, gli ordinamenti, le illusorie hit parade.

Forse non riesco a sopportarla perché Adele aveva un terrore inspiegabile delle mosche, fin da ragazzina. Forse ponendo fine all’esistenza di quell’esserino, voglio allontanare la paura che accada lo stesso a lei, dietro quella cameretta 66 in cui giace intubata, attaccata a delle macchine. Ma la morte, non è entità che si possa schiacciare sul pavimento.

Anche lei ora sta sbattendo per terra le sue deboli ali per tentare di scappare. Ed io, qui, non posso far altro che scrutare quel numero, alzarmi e risiedermi all’infinito dalla panca, attendere il risultato di quella impari lotta.

Lo so che starete pensando che non vi sto parlando davvero. Che non posso parlarvi perchè non sono altro che il personaggio di un libro di cui ignoro l’autore. Magari state pensando che queste parole le sto scrivendo, magari su un qualche diario (escamotage spesso utilizzato da certi autori per far sembrare più realistica una storia).

Ma vi sbagliereste.

Prima di tutto perchè quella che chiamate realtà non esiste o se anche esistesse sarebbe per noi inattingibile. Quindi chiamarla realtà è solo un modo per nascondere il nulla che sappiamo attraverso il vestito delle parole.

Il secondo motivo è che mi è indifferente cosa stiate pensando, figurarsi dunque se potrei mai prendere una penna per scrivere qualcosa a qualcuno che per giunta mi è indifferente.

Posso quindi continuare ricordandomi che per avere il permesso di soggiornare nel reparto ho dovuto mentire col personale medico, spacciarmi per il padre di Adele. Del resto chi dice che non sia effettivamente suo padre, visto che quello “vero”, insieme alla madre, l’hanno lasciata orfana sin da piccola e io ho avuto la fortuna di poterla accogliere in casa ad allietare i miei monotoni giorni?

Era appena uno scricciolo quando Don Ferri, il parroco di paese, mi parlò di lei, della sciagura che le era capitata, dell’impossibilità di trovare altri parenti che potessero ospitarla e crescerla. Usò molte volte l’espressione “opera buona”, anche se era assolutamente fuori luogo e un po’ retorica a mio parere. Mi bastò guardare quell’esserino che stringeva la manona del parroco, la testa china in quel vestitino color malva per sentirmi il cuore che si sfaldava, come un castello di sabbia sulla battigia all’arrivo delle onde.

Lasciarla sola in balia di questo mondo? Una creatura così innocente e debole?

Non ci sarebbe riuscito neanche Lucifero in persona, nonostante tutte le arie da bullo che gli appioppano. Non era forse stato creato come angelo? Anzi, era la maggiore e più perfetta delle creature angeliche. Le prime che il Signore lassù si mise in mente di creare.

Lucifero significa “portatore di luce”, invece lo hanno trasformato in un essere cupo, amante del buio, senza cuore, privo di qualunque empatia e sentimento.

Ma uno privo di sentimento, ditemi… un essere furbo, intelligente, che usa quindi la ragione in modo superiore all’uso che ne fanno gli umani, farebbe mai la cazzata di ribellarsi semplicemente per questioni di supremazia e onnipotenza? Questo lo farebbe sicuramente, e infatti lo ha fatto, migliaia di volte per ogni millennio un essere umano. Uno che ragiona più col suo organo riproduttivo che con quello intellettivo.

Una qualunque entità, sia metafisica che fisica, davanti alla vista di Adele si sarebbe liquefatto, quasi inginocchiato ad adorare i miracoli che la Natura (chiamatela pure Dio, se ci credete) riesce a produrre.

Quindi le mezze suppliche del prete erano inutili. tantomeno le “opere buone” come incentivo.

Certo, chi mi conosce sa che non sono la figura ideale per ricoprire il ruolo di padre (seppur adottivo). Sa che sono “strano” una persona quasi fuori dal mondo, per non dire “bislacco” e dunque “mezzo scemo”.

Non che la cosa mi abbia mai impensierito. Del resto posso anche fottermene del parere della gente in quanto non la frequento che il poco che mi obbliga la decenza sociale. Non rifiuto a nessuno il saluto, non do fastidio a nessuno e se proprio devo arrabbiarmi con qualcuno, per lo più scelgo un avversario alla mia umile portata. ovvero me stesso.

Ormai sono arrivato a considerare e trattare le persone nello stesso modo col quale considero le nubi nel cielo. Sarebbe del tutto idiota prendersela perchè si muovono in una traiettoria anzichè in un’altra. E se mi è possibile non vorrei essere considerato un idiota totale, almeno nel giudizio su me stesso.

Magari vi risulterò prolisso, ma anche di questo mi preoccupo poco. Parlo al solo scopo di riempire questo straziante silenzio, di ingannare (come si dice) il tempo, che quaggiù sembra essersi inceppato come un vecchio orologio privo di carica. Per aspettare una buona notizia, qualunque cosa riesca a scacciare quest’ansia insopportabile, questa paura quasi fisica che respiro e che entrando nei polmoni li lacera come fiamma.

E’ l’ora più fonda della notte. Dove anche questa prigione di dolori sembra dormire, dare anche solo una piccola tregua all’assedio del male. Nessuno nei corridoi, tranne qualche infermiera che svolge chissà quale mansione e quale compito. Passa silente, ciabbattando gli zoccoli, e sparisce dietro una porta o l’altra di questo corridoio che nella penombra delle luci smorzate sembra interminabile.

Non ho alcuna speranza che qualcuno passi a darmi buone o cattive notizie circa Adele. La tirannica e inflessibile legge dei turni di lavoro e degli orari concordati non ammette misericordie o trattamenti di favore verso nessuno.

Un po’ è una buona metafora della vita che ci è concessa. Anche se chi studia un po’ con criterio capisce che tutto è metafora e che l’uomo non è altro che un creatore e divoratore di metafore.

Potessi dormire almeno… crollare come quel povero diavolo laggiù, la testa abbandonata alla forza di gravità, piegata da un dolore e un’ansia simile alla mia, benchè per un diverso affetto.

No, non c’è alcuna differenza fra quella mosca che agonizza sul pavimento, le povere vite chiuse nelle loro camere e i pochi e dolenti testimoni come quel povero diavolo laggiù e l’altrettanto inetto e straziato sottoscritto.

Serie: La notte buia del Mondo


  • Episodio 1: A

Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa

Discussioni