B come Brividi come Buio

Serie: Abbecedario sentimentale


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: .

Brividi

Non si volta.

Rimane immobile.

Sa che lui è lì.

Dietro.

La stanza è silenziosa.

Tutto il corpo ascolta.

Anche dove non arriva il suono.

Le mani lungo i fianchi.

Il mento basso.

La schiena dritta.

Il vestito chiuso.

Poi quel tocco.

Uno solo.

Leggero.

Lungo la cerniera.

Non apre.

Non ancora.

Segue la linea.

Lentamente.

Un brivido.

Chiaro.

Puntuale.

Dalla nuca fino ai piedi.

Lei non parla.

Non si muove.

La cerniera scende appena.

Cinque centimetri.

Forse meno.

La pelle si scopre.

Respira.

L’aria è nuova.

Entra.

Sfiora.

Si ferma.

Le dita non cercano.

Non prendono.

Riconoscono.

Il fiato di lui le arriva al collo.

Caldo.

Silenzioso.

Lei chiude gli occhi.

Un istante.

Forse più di uno.

Il tessuto si allenta.

Rimane in bilico.

Non cade.

Non ancora.

Una mano.

Posata sul fianco.

Né stretta né lieve.

Presente.

Il corpo registra.

Tutto.

Senza protestare.

Senza chiedere.

Il respiro cambia.

Si fa interno.

Profondo.

Trattenuto.

Un secondo tocco.

Lungo la schiena.

Appena sotto la spalla.

Il brivido torna.

Diverso.

Più largo.

Più lento.

Non c’è desiderio visibile.

Non ci sono labbra.

Né sguardi.

Solo gesto.

La mano sale.

Raccoglie i capelli.

Li sposta di lato.

Il collo si libera.

Si offre.

Ma senza dire.

Lei non guarda.

Non serve.

Ogni centimetro è allerta.

Ogni nervo, un punto acceso.

Poi il tempo si ferma.

Tutto resta sospeso.

Non c’è bacio.

Non c’è pressione.

Solo il respiro.

E la distanza.

Poi lui si allontana.

Un passo solo.

Il vuoto che lascia è netto.

Denso.

Improvviso.

Lei rimane lì.

Il vestito aperto.

La pelle esposta a metà.

Nessun rumore.

Nessuna parola.

Chiude la cerniera.

Da sola.

Piano.

Il tessuto torna al suo posto.

Ma non è più lo stesso.

Nemmeno la pelle.

Quel gesto, quel silenzio, quel tempo…

non si cancellano.

Il brivido non è passato.

È rimasto.

In fondo alla schiena.

Nel punto esatto in cui tutto è cominciato.

Buio

Non ho mai avuto paura del buio.

Da bambina, anzi, lo cercavo. Mi infilavo sotto il letto, chiudevo le tende, restavo a occhi aperti in attesa che tutto scomparisse. C’era qualcosa, lì dentro, che mi proteggeva. Come se il mondo diventasse più semplice, più vero.

Poi sono cresciuta.

E il buio ha cominciato a spaventarmi.

Non per quello che nascondeva.

Ma per quello che lasciava uscire.

Le voci che non si sentono di giorno.

I pensieri che non si sanno dire ad alta voce.

I ricordi.

I desideri troppo precisi.

Il buio non ha bordi.

Non ti dice dove sei.

Ti lascia sola con quello che hai dentro.

Quella sera ero stanca.

Non triste.

Solo svuotata.

Avevo parlato troppo, ascoltato troppo, dato troppo.

Ho spento la luce senza pensarci.

Nessuna lampada accesa.

Solo il nero pieno.

Mi sono stesa sul letto.

Ancora vestita.

Non avevo voglia di niente.

Né musica, né parole.

Solo quel vuoto.

Compatto.

Non vedevo nemmeno le mani.

Le ho sollevate davanti al viso.

Nulla.

Ho inspirato lentamente.

Lentamente.

Ogni respiro entrava nel corpo.

Ogni battito sembrava più netto.

Poi, un pensiero.

Un’immagine.

Un corpo.

Il suo.

Era come se il buio lo avesse riportato.

Non in modo dolce.

In modo fisico.

Ho sentito le sue mani senza toccarmi.

Ho sentito il peso del suo sguardo.

Il modo in cui si fermava a guardarmi quando credeva che non me ne accorgessi.

Ho chiuso gli occhi, anche se non serviva.

Era già tutto chiuso.

Eppure, lì dentro, qualcosa si apriva.

Un ricordo.

Una scena.

Le sue dita sul bordo del mio ventre.

Il respiro vicino all’orecchio.

Non era nostalgia.

Non era amore.

Era bisogno.

Avevo voglia di sentirlo.

Ma non in modo violento.

Solo nella forma in cui si insinua il desiderio quando non può essere sfogato.

Ho spostato una gamba.

Poi l’altra.

Il vestito tirava sui fianchi.

Il corpo cercava una posizione che lasciasse passare qualcosa.

Non mi sono toccata.

Non ancora.

Ma ogni parte era pronta.

Come se bastasse una parola.

Una sola.

Nel buio, però, le parole non servono.

Non si dicono.

Si sentono.

Si indovinano.

Avrei voluto la sua voce.

Ma non quella che usava di giorno.

Quella che usciva solo a luci spente.

Quella che tremava un po’, quando chiedeva senza chiedere.

Non ho acceso la luce.

Non l’ho cercato.

Non l’ho scritto.

Mi sono girata sul fianco.

Ho aperto la zip del vestito con una lentezza che non era pudore.

Era ascolto.

Ogni centimetro di pelle che tornava nuda era un ritorno.

Il buio era diventato morbido.

Come un corpo che si avvicina senza toccare.

Mi sono stretta le braccia intorno.

Non per freddo.

Per non scivolare.

Per contenere.

Le cosce si sono sfiorate.

Le labbra si sono socchiuse.

La gola si è seccata.

Il brivido non era forte.

Era continuo.

Ho sussurrato il suo nome.

Senza rumore.

Solo con la bocca.

Nel buio non c’è giudizio.

Solo verità.

E io, lì, stesa, nuda, senza immagini, senza testimoni, ero finalmente intera.

Nel vuoto che avevo evitato per mesi.

Nel silenzio che avevo sempre riempito.

Nella parte più spoglia di me.

Il buio non consola.

Non risolve.

Ma accoglie.

E io volevo solo quello.

Restare.

In quella assenza.

Fermarmi.

E respirare.

Lontano da tutto.

Da lui.

Da me.

Da ciò che ero stata con lui.

Quando ho riaperto gli occhi, ore dopo, la luce del mattino filtrava dalla finestra.

Il corpo era ancora lì.

Il letto, disfatto.

La pelle, viva.

Mi sono alzata piano.

Ho bevuto un sorso d’acqua.

Ho guardato il telefono.

Nessun messaggio.

Ma non importava.

Nel buio, avevo ritrovato qualcosa.

Non lui.

Me.

Serie: Abbecedario sentimentale


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Mi è piaciuto molto il ritmo spezzato che accomuna i due racconti. Rileggendo, intuivo il buio nel primo e i brividi nel secondo, come fossero in qualche modo complementari.

  2. “Avrei voluto la sua voce.Ma non quella che usava di giorno.Quella che usciva solo a luci spente.”
    Un’immagine molto suggestiva resa ancora più efficace dalle frasi troncate e dal continuo andare a capo che aiuta chi legge a respirare e immaginare. Davvero molto bello.

  3. “Raccoglie i capelli.Li sposta di lato.”
    Un gesto che amo osservare e fare. Un gesto che diventa forte simbolo di femminilità. Un invito che qui non viene colto perché lui si allontana. Ma forse, è solo per un attimo.

  4. Sei una volpe, Rocco. Troppo bravo! Scrivi con una precisione che inchioda alla pagina. In entrambi i brani hai creato atmosfere potentissime, ma in Brividi, con quel ritmo spezzato, quelle frasi che scattano come fotogrammi, hai fatto di più: hai costretto il lettore a sentire il brivido sulla propria pelle. Non solo, hai trasformare il non-detto in presenza concreta, il silenzio in linguaggio. 👏👏