Balla per me

Serie: Le Disillusioni (serie di racconti)


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Quinto racconto della serie "Le Disillusioni". I racconti si possono leggere insieme, oppure separatamente.

«L’insegna dice massaggi, ma dopo la mezzanotte ti fanno quello che vuoi.»

Alfredo indica il negozio dall’altra parte della strada. Come ogni sera, ha voglia di scherzare. Come ogni sera il professore scuote il capo, indignato.

«Non pago per certe cose.»

Finisce la birra, infila il soprabito, guadagna l’uscita senza lasciare la mancia.

Sulla strada verso casa i lampioni iniziano ad illuminare poco, e male. Il professore sfrutta la penombra per pisciare sulla ruota di un’ Audi parcheggiata. Frega la mano sui pantaloni, estrae l’IPhone dalla tasca interna. Lo schermo illumina un naso adunco, due baffetti bianchi e radi.

Con l’indice puntato sopra la tastiera, digita. 

«Balla per me.» 

Quando il cellulare vibra Emma è già sveglia. Si leva da sotto le coperte, scansa il fratellino, apre la chat.

«Balla per me.»

È la parola d’ordine.

Striscia fuori dal letto, raggiunge a tentoni il corridoio, i piedi nudi strisciati sopra la ceramica fredda. In bagno usa la torcia del telefono. Suo fratello è un rompiscatole, ma quando deve dormire lo fa peggio dei sassi. Se mamma fa il turno di notte, però, capita si svegli e trovando il letto vuoto la cerchi. Gira per metà la chiave nella toppa, che non trovi chiuso del tutto, ma nemmeno possa entrarle di sorpresa, sul più bello. Sistema lo smartphone sopra la lavatrice, sfila gli slip lasciandoli cascare dalle caviglie, si siede sopra la tazza chiusa. Aspetta.

Tra il quarto e il quinto piano il professore si ferma a riprendere fiato. L’ascensore funziona a singhiozzi, nessuno si è ancora preso la briga di chiamare un tecnico. Rincasa in silenzio, raggiunge lo studio, senza spogliarsi di nulla sprofonda nella sedia in velluto. Lascia che passi l’ultimo rantolo di fiatone.

«Ora.»

Senza aspettare risposta fa partire una videochiamata.

Due piani sopra Emma è già pronta. Si è sciolta i capelli, indossa un vestito turchese. È il suo preferito. Il professore glielo ha visto in una storia su Instagram e da allora non chiede altro.

Lui ha una pagina dove posta aforismi e fotografie. È un ex impiegato, ma tutti lo chiamano il professore per via della sua passione per la letteratura e perché, dice, da quando è in pensione sta provando a scrivere un romanzo. Nomina Eliot, Caproni, Majakovskij, li cita durante le assemblee di condominio o per le scale. La madre di Emma lo ascolta estasiata. Non le pare vero che proprio lì, in mezzo alle case popolari, ci sia qualcuno di colto, che ha studiato.

A Emma invece studiare non piace. Il professore, spesso, le manda poesie scritte da lui.

La ragazzina commenta: «Bella». 

Ma non ne legge una parola.

Fino alla sera in cui lui le ha visto addosso quel vestito.

«Sei una meraviglia.»

E ancora: «Mettilo.»

Subito dopo: «Senza niente sotto».

Anche se non vuole mai che si spogli del tutto, il professore non vuole vedere. Vuole soltanto saperlo.

«Lasciati immaginare.»

Avvicina il viso allo schermo, sistema gli occhiali sulla punta del naso. Il suo sguardo da topo la fruga, non resiste all’acquolina in bocca del formaggio, se ne frega della vergogna, del rischio di una trappola. Cosa cerchi di preciso Emma non lo sa – ma sa di averlo addosso, ne intuisce il potere. Protetta dallo schermo, si lascia guardare. Come quelle farfalle viste in gita, pensa. Il segreto della polvere sopra le ali che le fa volare. Loro non sanno di essere rinchiuse, vivono come se in gabbia ci fossero quegli altri, coi loro nasi spalmati contro il vetro a bramarle.

«Cercati.»

Emma lo fa. Con le dita si esplora, impara il suo giovane corpo guidata dalla voce strisciata di lui. Ma chiude gli occhi, pensa soltanto per sé. Non bada all’uomo, al suo disordinato fremere, la mano ad agitarsi dentro la patta dei pantaloni, più in basso, dove lei non può vedere. Non è affar suo. Emma deve soltanto ballare. Mentre il volto del professore si torce in una smorfia confusa, dalla gola gli salgono versi simili a grugniti, si detta il ritmo così, preda di una foga spezzata tra fatica e piacere. 

Emma balla, immaginando la musica vola altrove, per un tempo che le sembra infinito. Ignora i colpi di tosse, di reni, gli scatti nervosi, tesi a raggiungere quell’ultimo gridolino strozzato che arriva a segnare la fine.

Quando tutto è finito la ragazza apre gli occhi, scorge la nuca bianca del professore, chino sul ventre si affretta a ripulire. Sistema i bottoni, la guarda. Sorride, come non fosse accaduto nulla. Alle sue spalle una libreria muta.

«Emma» sul volto una resa bovina. «È—»

La ragazza riattacca senza nemmeno salutare.

«È un nome importante, Emma.»

Il professore lo ripete ogni volta, quando le incrocia per le scale.

«Sai perché?»

Lei scuote il capo. L’uomo le riserva un sorriso bonario, a sua madre stringe la mano. La stessa mano, Emma non può fare a meno di pensarlo, e un po’ le fa schifo, ma un po’ le viene anche da ridere, mentre il professore discorre di scuole pubbliche, ascensori guasti e romanzi francesi. Quando parla, spesso si copre la bocca. Ha gli incisivi di sopra sporgenti e giallognoli, rubati a un coniglio. Se ne vergogna, una sera glielo ha confessato. Emma ballava, come al solito, ma lui voleva parlare. Degli incisivi, del suo romanzo, di un ritardo con l’affitto a causa di una cugina malata.

«Emma, sto annegando.»

La ragazza d’istinto ha fatto un passo indietro. Infastidita dal suono del suo nome nella bocca di lui, si è coperta le cosce nude.

«Emma, io—»

«Chissenefrega.»

Senza lasciarlo finire, ha riattaccato. Dalla sera successiva ha smesso di rispondergli.

Cosa attiri le falene verso la luce che le ipnotizza non è mai stato chiaro. Come certe ci si ammazzino, mentre altre si salvino, neppure.

Ma c’è un ragazzo giù al molo. Moro, di un paio di anni più grande. Siede sempre sul muretto, porta gli occhiali da sole, li sfila ogni volta che lei gli passa davanti. Emma ha pensato mille volte di fermarsi, questa mattina finalmente ha deciso di farlo. Si è presentata, si sono stretti la mano, hanno iniziato a parlare. Quando lui le ha chiesto di uscire, lei ha risposto di sì. 

Serie: Le Disillusioni (serie di racconti)


Avete messo Mi Piace8 apprezzamentiPubblicato in Young Adult

Discussioni

  1. Ho amato il finale. Spesso storie simili sembrano andare prepotentemente verso esiti tragici, torbidi, da cui la risalita sempre quasi impossibile. In questo racconto invece è come il cambio di tono che ci può essere dopo un punto a capo. Un finale semplice, confortante, bellissimo.

    1. Grazie Guglielmo. Proprio perché, purtroppo, storie simili accadono con esiti peggiori, ho voluto regalare un finale positivo alla mia protagonista. Ti ringrazio per essere passato di qui, mi fa molto piacere.

  2. Una parola: wow.
    Il colpo di scena del professore, che prima dipingi con poche parole di dialogo come una persona di una certa morale, e poi invece ci mostri per quello che è.
    La contraddizione di Emma, che vuole e non vuole fare quello che ha fatto.
    E il finale…
    Complimenti!

    1. Esattamente Nicola, hai colto perfettamente le contraddizioni dei due personaggi. Temo sempre di non riuscire a trasmettere tutto in poche righe, sono contenta ti siano arrivati. Ti ringrazio, mi fa piacere questa tua lettura!

  3. Complimenti un racconto impressionante. Uno spaccato tragicomico della solitudine urbana, dove lo sfruttamento sessuale diventa sintomo di un vuoto culturale e del degrado sociale. Due personaggi che hanno un grosso impatto sul lettore, che hai caratterizzano alla perfezione. La metafora delle falene (attratte dalla luce ma capaci di sfuggire alla trappola) è una perla👏👏

    1. Ciao Tiziana, mi fa molto piacere che tu sia passata di qui. L’ho ragionata molto la metafora delle falene (e per questo ringrazio anche @8Genea8) sono contenta abbia fatto il suo effetto!
      Grazie di cuore!

  4. Un tema purtroppo attuale, anche se si declina in mille modi diversi. Qui i personaggi sono talmente veri da far paura. E poi c’è la redenzione, anche questa narrata in una scena potente.
    Molto molto bello e complesso.
    Ultima cosa, un’immagine che mi e apparsa: vecchio professore cosa vai cercando in quel portone…

    1. Ti confesso che quel “vecchio professore” lo avevo in mente pure io mentre scrivevo (e nella versione del testo non censurata 🤭)
      Temevo di non riuscire a rendere bene i personaggi, proprio perché il tema è complesso, le tue parole mi fanno ben sperare, forse forse ce l’ho fatta. Grazie ❤️

  5. Wow! Questo forse, tra tutti quelli che hai scritto, è il mio racconto preferito. Il professore è un personaggio interessante: hai descritto benissimo la sua doppia personalità (colto e rispettabile, ma anche pervertito). Bravissima!

  6. Sei riuscita a creare un versante narrativo ricco di curve, di gallerie, di abissi. Hai aperto una serie di squarci molto complessi, che hai reso immediati, istintivi, con il tuo dinamismo visionario, i tuoi contraccolpi che ti caratterizzano e ti raccontano mentre racconti e immagini nelle tue parole, ma anche oltre le tue parole, con il tuo coraggio e la tua tenacia.
    Nonostante la complessità del tema, specie se analizzato dal punto di vista narrante femminile, tutte le problematiche del racconto emergono nette e definite, come l’odore della pioggia avvertito aprendo una finestra dopo giorni di convalescenza – o di clausura. È solo per dirti che la tua scrittura, anche in questo episodio, sa di aperto, di vento in faccia, di rossori adolescenziali e mutandine alla caviglia mentre si è di corsa, fino ai colori delle farfalle intraviste dall’autobus di una gita scolastica, con la sua fragranza di sogni e di libertà. Mi sa che in quell’autobus in curva ci sei proprio tu. Brava e ispirata, come sempre.

    1. Caro Luigi, i tuoi commenti riescono sempre a cogliere quel qualcosa in più, piccoli particolari che credo nascosti ma che a te non sfuggono mai. Un po voce se mi leggessi nel pensiero. Questo tuo modo di leggermi mi incoraggia e mi aiuta a capirmi sempre un po di più. Grazie di cuore!

  7. Gli istinti che il professore non può tenere a freno, i suoi desideri che può realizzare solo con l’immaginazione e la luce che raggiunge i suoi desideri e li realizza con facilità. È una pagina di triste realtà scritta magistralmente. Bravissima, Dea.

    1. Grazie Concetta, hai notato un particolare cruciale: la facilità con la quale troppo spesso l’immaginazione porta ad esaudire i propri “desideri” in modo malsano. Grazie per il tuo commento ❤️

  8. Il tuo professore è disturbante, fastidioso, malato. Quante persone in questa nostra società gli somigliano? Quante potrebbero comunemente identificarsi nella sua figura? Ho faticato a ‘digerirlo’, eppure, ammetto, uno dei tuoi personaggi più riusciti, che arrivano diretti al punto. In lui vedo il grigio, il colore di chi si è oramai spento. In poche pennellate di parole, lo hai plasmato, come se ci si parasse davanti.
    Emma, invece, è quel colore che illumina il buio della stanza da bagno, il colore che accende la notte. Lei è la persona che la nostra società tende a ‘demonizzare’, colei che deve assumersi ogni colpa. Come se ci fossimo dimenticati la nota ‘legge di mercato’. Non si vende nulla, se non c’è richiesta. E allora, dove sta l’origine di ogni peccato?
    Alla fine lei si redime, perché è capace, perché dentro ha una luce bellissima.
    Lui, invece, muore lì, nell’istante in cui Emma termina la conversazione e lo lascia soffocare con il suo nome in gola.
    Hai scritto un testo che è spunto di moltissime riflessioni e che, alla luce attuale, potrebbe anche ‘offendere’ qualcuno che magari si sente preso di mira? Direi, affar suo.
    Lo stile è il tuo, con quelle frasi sincopate che ci lasciano stesi come panni ad asciugare, sballottati qua e là. Complimenti Dea. Non stancarti mai di raccontarci storie come questa.

    1. Carissima Cristiana, sei riuscita a trovare più di uno spunto, e ci sarebbe da dire…ti confesso che scrivendo, ho provato empatia per entrambi. Con la ragazzina è stato più facile: vittima non completamente consapevole di un gioco più grande di lei, riesce a levarsi in tempo da qualcosa che purtroppo, per molte, diventa un vero e proprio pericolo. Si salva, è splendida nel farlo, e davvero vorrei vedere ogni storia simile finire in questo modo. Il professore non ha scuse per ciò che fa, se non quella di essere “vittima” di una solitudine che sfocia in una voglia insana, un’incapacita’ forse, o una mamcanza di volonta. Forse è bieco davvero, e scuse non ne ha. Vittma di pulsioni che non sa placare altrove. Vittima di sé stesso, resta nella sua gabbia. Mi sono chiesta, pero: cosa lo ha reso cosi? Come si arriva a un disgusto simile? Non so cosa provi, ma una cosa è certa, e già me lo avevi fatto notare: non è compito della ragazzina placarlo, salvarlo, essere il suo appiglio, la sua valvola di sfogo in nessun modo. Questo è un concetto che dovrebbe essere chiaro a tutti. Sempre.
      Grazie di cuore, per questo e per tutto il resto ❤️

  9. Sapere e piacere: due elementi fondamentali della nostra esistenza, ben assortiti in questo racconto molto efficace nelle immagini che hai descritto. Due vite contrapposte, diverse e simili, lontane e vicine, concrete e virtuali. Adoro i contrasti.

    1. Grazie Luisa, uno degl8 aspetti che mi premeva trasmettere era proprio questo, i contrasti, e tu lo hai colto. Mi fa davvero piacere ❤️