Berretti verdi a Cuba

Cuba, 1962

«Non so voi, ma avrei preferito muoverci in elicottero».

Jack gli diede un pugno. «Silenzio, Michael».

Michael strinse le spalle. Si impose di restare in silenzio.

Silenzio.

Intorno sembrava che ci fosse la Laguna Nera, ma forse era meglio dire la Laguna Rossa. I gommoni si dirigevano verso la costa cubana, nessuno si era accorto dei berretti verdi, si muovevano rapidi e silenziosi come serpenti, ma quando il serpente morde sono dolori.

Non appena i gommoni picchiarono sulla spiaggia, Michael scese nel bagnasciuga. Con lui anche gli altri berretti verdi. Trascinarono le imbarcazioni fino alla vegetazione, lì li nascosero, poi si mossero verso la base dei nemici obbedendo agli ordini del comandante, veterano di Corea e prima ancora Ardenne.

Dopo alcune ore di navigazione in mezzo alla foresta pluviale, Michael poté vedere la bandiera sovietica afflosciata. Non c’era un filo di vento e i soldati dell’Armata Rossa che erano sbarcati da pochi mesi dovevano soffrire il caldo. Presto, sarebbero andati all’inferno e Michael si chiedeva se lì avrebbero sofferto allo stesso modo il calore.

Le squadre si ricompattarono e vennero incontro alle prime sentinelle.

«Prego» concesse Jack.

Michael snudò il pugnale e tagliò la gola al russo di guardia.

Adesso avrebbe visto se dopo la morte c’era qualcosa.

Il comandante fece il segno dell’okay.

I berretti verdi proseguirono fino a dei grossi capannoni. Per strada non passava nessuno, a parte le sentinelle eliminate tutti i sovietici dovevano stare in branda.

Per Michael fu semplice scassinare il lucchetto del capannone, si ricordò dei bei tempi prima del reclutamento quando faceva il ladruncolo per le vie di Miami finché non aveva visto i primi immigrati cubani, allora una parte della squadra fece il suo ingresso nell’edificio.

Non trovarono il colonnello.

Sembrava di stare al museo.

Michael ripensò a un film dell’orrore, ma scacciò il pensiero. Si avventurò in mezzo a tutti quei sepolcri e vide delle scritte in cirillico. Dopo aver compreso, bestemmiò. «Sono ordigni nucleari». Oltre allo spagnolo aveva studiato il russo in vista di operazioni antisovietiche nell’area dei Caraibi.

Jack era impallidito. «Hai ragione».

«Torniamo indietro» ordinò il comandante della squadra.

«Signore, con queste bombe potrebbero colpire il nostro paese…».

«Lo so, Michael, lo so molto bene. Ma penso che saranno gli U2 ad accorgersi di questi affari. Noi, in teoria, non dovremmo neppure stare qua».

Filarono via.

La missione, abortita. Era meglio pensare ad altro: qualcosa di più importante che eliminare un colonnello sovietico veterano di Stalingrado.

Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Se non fosse per certi particolari tipo le gole tagliate e non facessi aumentare la mia ansia con altri particolari che mi ricordano certe minacce nucleari – per la forma della tua scrittura, per certi guizzi ironici e per gli istruttivi ripassi storici – saresti uno dei miei autori preferiti. E comunque mi incuriosisci e continuo a leggerti spesso.

  2. eppure, in quell’occasione, Stati Uniti e Unione Sovietica riuscirono a trovare una soluzione. La crisi dei missili fu superata proprio grazie al condominio mondiale delle grandi potenze. Cosa accadrebbe oggi se si presentasse una situazione simile? (e forse e sciaguratamente non ci siamo lontani). Siamo invece molto lontani da ciò che ha significato la battaglia e la resistenza di Stalingrado.

    1. Non conosciamo il futuro, non sappiamo cosa succederà, la storia è già nota e sappiamo tutti com’è finita.
      Il librick si conclude con Stalingrado perché l’obiettivo è un veterano della battaglia.
      Grazie del commento!