Cantine o sotterranei di ieri

Serie: Il dipinto sul muro


Un uomo, nel suo testamento, inizia a raccontare la storia di una grande casa che si intreccia con episodi della sua vita

Conoscevo il Castello da molti anni. L’interno dell’edificio, intendo, non la semplice vista dal paese o dal piazzale antistante la facciata. Lo conoscevo fin da quando ero poco più che bambino, all’epoca in cui frequentavo la scuola media. Prima che costruissero l’edificio scolastico del paese ancora oggi in uso, una grande e terribile costruzione in cemento, vetro ed elementi prefabbricati, che dà l’idea di una casa circondariale piuttosto che di una scuola, noi ragazzini eravamo costretti a spostarci tra le quattro sedi in cui erano dislocate le aule. Era normale frequentare la prima media in una sede, cambiando poi per gli anni successivi, o persino durante lo stesso anno. Chi era fortunato, come lo ero stato io, aveva l’onore di frequentare la terza media nella sede di piazza D.A. La piazza dove sorge il Castello. A dire il vero, la stessa scuola ne faceva parte, anche se non apparteneva al corpo principale dell’edificio. Ed era l’unico settore che veniva mantenuto in ordine, mentre il resto versava in stato di abbandono.

Per noi ragazzi era meglio del luna park. Spesso ci davamo appuntamento un’ora prima della campanella di inizio lezioni per poter esplorare l’interno di quella che era diventata la casa dei fantasmi, dei vampiri e di qualsiasi altra creatura diabolica che la nostra fantasia fosse in grado di creare. C’erano reti di protezione e cartelli che vietavano l’ingresso, ma potete immaginare quanto servissero realmente. Erano un invito più che un divieto. L’esplorazione aveva il suo fascino, ma non posso nascondere anche il secondo fine di quelle scorribande. Era infatti a quell’età che i gruppetti di ragazzi e ragazze iniziavano a perdere la loro ferrea omogeneità e in entrambe le fazioni si iniziava a intuire che la possibilità di far parte degli opposti club potesse dare un nuovo significato alle parole maschi e femmine.

Non voglio apparire come un vecchio (un morto) che rimpiange i suoi tempi. Ma devo raccontarvi una delle esplorazioni più memorabili, in una mattina d’inverno.

Lo ricordo come se fossero passati pochi giorni. Ci demmo appuntamento alle sette in punto, che in quella stagione è come dire notte fonda. Le lezioni iniziavano alle 8:30 per cui avevamo un sacco di tempo a disposizione.

«Avete portato le torce?» domandai agli altri.

«Ovvio! Non sono così scema da entrare là dentro al buio» rispose stizzita una delle due appartenenti al club antagonista. Per la prima volta il nostro team di esplorazione era costituito da un gruppo misto, e la cosa non mi dispiaceva.

«Perché non entriamo nel pomeriggio dopo la scuola?» propose il secondo membro del mio club. «Non voglio che le ragazze si spaventino troppo, al buio.»

«Secondo me sei tu ad avere paura di cagarti addosso!» canzonai il mio amico. «E poi là sotto è buio anche a mezzogiorno.»

«Là sotto?» si stupì la seconda ragazza facendo un passo indietro. «Non ci avete detto che saremmo scesi nelle cantine!»

«I sotterranei, vuoi dire?»

«Cantine o sotterranei, io non vengo.»

Era come un gioco di ruolo: quando avevamo in mano il controllo, tutti facevamo il possibile per dimostrare di essere forti. In realtà né io né il mio amico avevamo intenzione di scendere davvero nelle cantine. Un grande bluff, quindi, ed eravamo certi che avrebbe funzionato.

Non funzionò. Proprio per colpa delle due ragazze che secondo le nostre ipotesi avrebbero dovuto fermarci in preda al terrore per gli scarafaggi, i ragni, i ratti e per chissà quale altro essere immondo avremmo potuto incontrare laggiù. Invece si fecero coraggio e a quel punto noi non avremmo potuto di certo tirarci indietro.

Entrammo dalla solita apertura nella recinzione e iniziammo a esplorare il piano terra. L’ingresso principale era costituito da un grande ambiente vuoto in cui il riverbero delle voci e dei rumori creava un effetto che sarebbe stato perfetto per una registrazione di un brano musicale psichedelico. Con l’aiuto delle nostre torce iniziammo a osservare i muri e il soffitto della sala.

«Cos’è quello?» trasalì una delle due ragazze illuminando una nicchia che ricordava la bocca di un camino.

«Non lo sapete? Davvero?»

«No. È… un cane? Il dipinto di un cane!»

«È il cane fantasma» declamai, fiero di poter raccontare una simile storia alle due fanciulle. «Quello che si sente abbaiare certi giorni, e certe notti, ma che nessuno ha mai visto.»

Ci accovacciammo e illuminammo il dipinto.

«Mi fa paura» disse una delle ragazze.

«È solo un disegno, non può spaventarvi» la rassicurò il mio amico. «Se volete vi racconto la leggenda, io la conosco!» continuò con la speranza di far dimenticare il proposito della visita ai sotterranei.

«Prima andiamo nelle cantine. Così poi saremo più tranquille per vedere il resto del castello. E per sentire la tua storia.»

«Se volete possiamo lasciar perdere le can—»

«Sì… così ci prenderete per il culo fino alla fine dell’anno.»

Dai vetri opachi delle finestre iniziava a filtrare la luce del mattino. Ci muovemmo verso la scala che scendeva nei sotterranei. Indugiammo prima di iniziare la discesa, mentre i fasci di luce delle torce fendevano l’oscurità fin dove potevano arrivare. Ognuno di noi sperava che qualcuno trovasse le parole giuste per farci desistere.

Ripresi il controllo del gioco. «Vado avanti io» dissi dopo aver gonfiato il petto con una quantità d’aria che sarebbe stata sufficiente a una lunga immersione in apnea.

L’umidità rendeva scivoloso il pavimento di pietra. Muovendo veloci le torce come se fossero armi contro un nemico in agguato iniziammo a percorrere un corridoio su cui si affacciavano porte di legno per lo più chiuse. Quelle che erano state distrutte da atti di vandalismo o che avevano ceduto alle insidie degli anni rivelavano piccoli locali vuoti o nei quali erano accatastate cianfrusaglie. A dispetto di quello che avevamo immaginato e temuto, e forse sperato, non incontrammo insetti, né ratti. Provavamo una sensazione di oppressione data dall’umidità e dall’odore di muffa intenso e pungente che rendeva faticoso respirare. Andammo avanti sempre in linea retta, senza imboccare i corridoi secondari che dipartivano a destra e a sinistra per evitare di perdere l’orientamento. Quando infine decidemmo di tornare indietro sperimentammo la paura, senza distinzione di genere.

Continua...

Serie: Il dipinto sul muro


Avete messo Mi Piace7 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Mi è piaciuto tantissimo il modo particolare in cui hai descritto l’emozione di desiderio/paura verso l’esplorazione del castello. Il modo in cui cambiano le dinamiche singole rispetto al gruppo…nessuno vorrebbe scendere, ma visto che gli altri lo fanno…e soprattutto mi è piaciuto il particolare delle ragazze. Sono capitate anche a me situazioni simili, a volte davvero siamo noi femminucce a prendere l’iniziativa, e i maschietti ci seguono perchè mica possono fare brutta figura 😉

    1. … e mica succede solo tra i bambini!
      Quante volte ci siamo trovati incastrati in un gruppo quasi senza possibilità di fuga, nel bene o nel male. Siamo diversi quando siamo da soli o quando ci troviamo tra altre persone. Dobbiamo dimostrare di essere più degli altri, e non parlo solo della zona della coscienza. Freud ci ha scritto centinaia di pagine…
      Ciao Irene, grazie!

  2. Ciao Antonio, un episodio che cattura la magia sospesa tra l’infanzia e l’adolescenza. Il castello è ancora il vero protagonista della storia. Descrizioni molto suggestive. Complimenti.

    1. Ciao Tiziana. Grazie! Ho scoperto che mi “perdo” quando cerco di recuperare vissuti del mio io bambino e ragazzo, cercando di dare il senso di quell’età tra i ’70 e gli ’80…

  3. Ciao Antonio, ho ripreso dal primo episodio che mi ero perso. Credo sia intrigante l’idea di far partire il racconto da una lettura testamentaria, almeno così ho inteso. Non so se c’è un motivo per non nominare la località e il nome del castello (mettendo le iniziali), ma credo possa aggiungere credibilità collocarli (nominarli), non devono essere necessariamente esistenti… benché hai dichiarato che ci troviamo in Italia, o quanto meno in vista dell’arco alpino. Fin qui la narrazione scorre gradevole e la prima parentesi che apri sulla fanciullezza è stimolante. Grazie per la lettura

    1. Ciao Paolo. Ho provato a citare le iniziali dei paesi e dei luoghi reali, invece che inventarli. Non c’è un reale motivo, è solo l’idea che questo testamento sia stato “censurato” prima di finire in pasto al pubblico… Sai, quelle idee che vengono così 🙂
      Ti ringrazio per il commento e spero che il seguito sia altrettanto gradevole per te.

  4. Concordo con @Nicolarighetti00 riguardo all’ambientazione, che richiama un po’ quelle di stampo gotico dei romanzi di fine ‘700, seppur con una dovuta dose di modernità resa dall’asciuttezza dei dialoghi dei ragazzini. Sin dall’episodio precedente l’avevo distinta, ma qui si fa più evidente.
    Mi incuriosisce la storia di quel dipinto sul muro, che dà il titolo alla serie (in generale, non so bene perché, amo le storie con i dipinti). Rimango in paziente attesa del prossimo episodio! 🙂

    1. Sul perché amiamo certe situazioni (i dipinti nel tuo caso, il tema del doppio nel mio, insieme a molti altri) meglio non indagare, se non vogliamo dare materiale di indagine agli pisicoanalisti… 😂
      In effetti sto provando a mettere dentro questo raconto un po’ di atmosfere del gotico. La vecchia casa e il dipinto mi portano in quella direzione. Spero di riuscire a mantenere le fila delle varie situazioni…

  5. Come nella prima parte, le descrizioni dell’ambiente sono convincenti e rappresentano, diciamo così, un ulteriore protagonista della vicenda. Inoltre, mi sembra che i ragazzi stiano imparando a non sottovalutare le donne, il che è sempre un’ottima cosa. E il cane? Ma lo sapremo prima o poi.

    1. Mi sono “imbarcato” in un avventura che spero non si riveli più grande di me. Nel senso che questo è un racconto che prevede più scene: sarò in grado di non perdere l’orientamento? I commenti che ho ricevuto sono incoraggianti, ma nello stesso momento attivano la modalità “dubbio”: ce la farò? Ma anche questo è il bello di questo gruppo!
      Il cane? Arriverà il suo momento… 🙂
      Ciao Francesca!