Capolinea

Serie: La strada nel nulla


Ultimo episodio

La mattina seguente Marco Reo si alzò tutto indolenzito: aveva dormito per terra. Trovò la Ford sistemata a dovere, luccicante di sole. Controllò l’orologio e si accorse che mancavano pochi minuti a mezzogiorno. Quanto aveva dormito? Salì in auto deciso a tornare in paese. Prima sarebbe passato alla pensione a ritirare la sua roba, poi via verso nord senza mai voltarsi indietro. Avrebbe dimenticato tutto, anche quello stronzo di Tocomo. Invece si diresse dalla parte opposta. Il capolinea della SS33 lo attendeva.

«Eccone un altro!» urlò il grassone vedendolo arrivare. C’erano altri tre uomini oltre lui; uno con una vecchissima Fiat, uno con una moto senza parafanghi e un altro in bicicletta. Marco pensò di riconoscere degli operai che avevano lavorato alle cisterne. Una vistosa croce dorata adornava il collo del ciclista. 

Il grassone si sfregò le mani. «Bene bene! Ventinove, trenta e trentuno.» Indicò Marco, il motociclista e il tipo con la croce, grattandosi la grossa pancia.

‘Trentuno?’ pensò Marco. ‘Che significa tutta questa follia?’

Lo smilzo se ne stava alla sinistra del panzone sogghignando sommessamente. Marco dubitava che fosse la stessa persona con cui aveva parlato la notte prima. 

«Eccoci qua!» riprese il panzone. «L’Eden attende al termine della strada. Nessun inganno, amici.» 

Il tizio con la Fiat si esibì in un sorriso che non avrebbe sfigurato in una pubblicità di dentifrici, salì in macchina e, acceleratore a manetta, si diresse verso il capolinea della SS33. La nuda pietra della montagna lo attendeva impassibile.
Marco si coprì le orecchie con le mani, preparandosi al boato che sarebbe scaturito dallo scontro. Non ci fu alcun boato; la Fiat attraversò la roccia come fosse ectoplasma e scomparve alla vista. 

«Vedete?» disse il grassone. A Marco ricordava un imbonitore da fiera. «Quella persona ha pagato un prezzo sufficiente.»

Il cuore di Marco batteva all’impazzata, quel maledetto incubo doveva finire. Cosa aspettava a svegliarsi? Svegliati, per l’amor di Dio! 
Con la coda dell’occhio, vide il motociclista che si avvicinava al grassone porgendogli un piccolo cofanetto.

«Avanti amico, sempre dritto verso il paradiso!»

Il centauro salì sul suo mezzo e, un sorriso ebete stampato sul volto, si lanciò verso la montagna. Lo schianto fu tremendo, un’esplosione di viscere. Il corpo del malcapitato prese due direzioni opposte: la testa da una parte e il resto da un’altra. Da quella distanza era difficile dirlo, ma Marco immaginò il sorriso ebete ancora sulla testa mozzata. Ci fu un nuovo boato e quel che restava della moto prese fuoco.

«Per fortuna non è la mia!» Lo smilzo aveva fatto una battuta…Non può essere la stessa persona di ieri notte, non può…e il grassone scoppiò a ridere trattenendo l’immensa pancia con le mani. Dio, se esisti portami via da questo maledetto posto!

«Tornatevene all’Inferno, maledetti demoni.» L’uomo in bicicletta sollevò la croce in direzione dello smilzo e del compagno. «Ve lo ordino nel nome di Dio onnipotente!» 

Il grassone prese a ridere più sguaiatamente di prima. A Marco sembrò di scorgere qualche dubbio negli occhi dello smilzo, ma ben presto anche questi si unì alla risata. Ridevano all’unisono ed era terribile.

«Basta, basta!» disse il grassone tra le risa. «Capita raramente di incontrare delle bestie spassose come voi.»

Il ciclista lasciò cadere la croce che oscillò brevemente sul suo collo, quindi estrasse una piccola pistola che teneva nascosta sotto la camicia. «Se non volete parlare con Dio, parlerete con questa!» 

I due demoni, o qualunque cosa fossero, gli rivolsero occhiate pregne di disprezzo. 
Il corpo del boss vibrò; gorgoglii e borbottii sconquassarono il suo ventre e, al culmine di quell’immondo spettacolo, ossa e carne si sciolsero in un blob informe. Una piccola creatura si liberò dell’adipe malsano come si trattasse di un vecchio vestito. Non esistono parole per descriverla, in nessuna lingua umana, tanto assurdo era il suo aspetto. Gli occhi lacrimavano nel guardarla. 
Alcuni spari scheggiarono l’aria, ma la creatura fu lesta a schivarli. Con un balzo improvviso si portò di fronte al ciclista. Questi guardò in basso, incontrando due occhi di fiamma. Sentì un calore immenso esplodergli nel bassoventre e si accorse di avere la pancia squarciata. Tentò di ricacciare dentro le budella che stavano per inzuppare il cemento usando le mani, con risultati vani, involontariamente comici. 

Marco fu scosso da conati di vomito, ma aveva lo stomaco vuoto quindi non c’era nulla da rigettare. Sputò qualche striscia di bile, mentre un sapore terribile gli impregnava la bocca. 
«È dunque questo il tuo boss?!» urlò rivolgendosi allo smilzo. «È questo?»

«Mostraci cos’hai da offrire.»  

Marco vide che la creatura gli si stava avvicinando; per un istante valutò l’ipotesi di mettersi a correre, fuggire. Sarebbe stato inutile, le gambe tremavano nell’immobilità della rassegnazione. 
La voce del catrame, i bisbigli della roccia, l’irresistibile richiamo della città: vorticavano nella sua testa.

Fai la tua offerta!

Offerta?! Non aveva nulla da offrire; si era buttato tra le fauci del demonio a mani vuote. Poi ebbe un’intuizione. I due tizi avevano sempre evitato di dirgli i loro nomi, quindi le alternative erano due: o non ne avevano, oppure sì ma erano talmente importanti da non poter essere rivelati a una semplice bestia. Non c’era più tempo per pensare, il cadavere del ciclista, disteso tra i propri intestini, era a pochi passi da lui come un monito. Marco Reo chiuse gli occhi e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: «Il mio nome! La mia offerta è il mio nome!»

Aprì gli occhi e ritrovò il grassone. La creatura immonda si era nascosta alla vista, ma colui che non aveva più un nome sapeva che era ancora lì, nascosta sotto le grasse carni. Lo smilzo gli fece cenno di salire sulla Ford, gli parve di scorgere un sorriso ma non ne era sicuro. Colui che non aveva più un nome prese posto sul sedile del guidatore, accese l’auto, ingranò la prima…’Forza bella non deludermi proprio ora’ …e diede gas.

EPILOGO

I camion cisterna arrivarono verso le sedici. Avevano ottenuto parecchi cadaveri. Il grassone e lo smilzo cominciarono a caricarli; era un lavoro snervante ma qualcuno doveva pur farlo. 
Ben presto arrivarono degli abitanti del paese a dare una mano e riuscirono a terminare relativamente presto. Nel calore delle cisterne i corpi si sarebbero trasformati in deliziosa poltiglia.
Qualcuno appoggiò una mano sudaticcia sulla spalla del grassone, era mr Tocomo anche se, ovviamente, quello non era il suo vero nome.

«Ottimo lavoro, fratello!» gli disse. «Anche per questa volta il nostro popolo non soffrirà la fame.» 

Una grossa macchina parcheggiò accanto a un camion. Ne scese un uomo dall’aspetto untuoso che poteva avere quaranta come sessant’anni. Vestito di tutto punto, un pezzo grosso, forse un politico. Teneva il volto coperto da un fazzoletto per via dell’odore proveniente dalle cisterne. Si avvicinò ai due fratelli e disse: «Avete avuto ciò che volevate, ora rispettate i patti.» 

I due si guardarono e annuirono. «Abbiamo scorte di cibo sufficienti per almeno un anno. Noi non siamo ingordi come voi umani, vi lasceremo in pace.»

Mr Tocomo frugò in tasca, vi trovò due sigarette e ne offrì una al fratello. Le infilarono in bocca, ma naturalmente…’sempre attenti alla salute’ pensò lo smilzo…evitarono di accenderle.

Il politico si affrettò a ritornare alla sua auto, appoggiò il grosso posteriore sul sedile.

«Sentite, ehm ragazzi! Qualcuno è forse riuscito ad entrare nella città dell’Eden?»

Il grassone e lo smilzo si lanciarono un’occhiata. «Forse» risposero all’unisono. «Forse.»

FINE

Spero che questa storia vi sia piaciuta.

Serie: La strada nel nulla


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Discussioni

  1. “«Il mio nome! La mia offerta è il mio nome!»”
    Genio!!! Che colpo di genio!
    È una trovata perfetta, visto il ruolo che in molte culture il nome ricopre.
    E il privarsi della propria identità offrendola come pegno credo sia uno dei sacrifici più grandi che si possano fare.
    Bellissima serie, l’essere costituita da solo 4 episodi non la sminuisce affatto, anzi!
    AH, ed ora ho scoperto anche Marco Reo, che – mea culpa – non conoscevo. Dovrò rimediare!

    1. Ciao Sergio, grazie per i complimenti (che non credo di meritare). Il concetto d’identità personale, implicito o esplicito, è quasi una costante nei miei racconti.😅
      PS Occhio che Marco Reo (ma non escludo che dietro quel nome si nasconda lo smilzo) è un personaggio poco raccomandabile!😄😉

  2. «Il mio nome! La mia offerta è il mio nome!»… e che cosa posso dirti?? GENIO!
    Andare al di là dell’anima, del concetto di anima in quanto essenza/presenza metafisica, per sfociare nel concetto di identità: ciò che siamo è la nostra mente, i nostri ricordi, i vissuti. Tolti questi, privati dalla possibilità della reminiscenza, dell’unico strumento che abbiamo per poterci definire esseri pensanti nel tempo e nello spazio… cosa siamo? Cosa ci rimane? Dove andremo a finire? In qualche bianco Eden più sconfinato e terrificante del buio più buio?
    Sullo stile… sai bene quanto mi piace il tuo, soprattutto perché lo ritrovo coerente: passato, presente o futuro che sia!
    Grande prova, non deludi mai. Complimenti! 🙂

  3. Questo è il folle Dario che conosco, e da oggi conosco qualcosa in più anche del suo amico Marco Reo (ormai, l’amico di molti, qui su EO). Storia avvincente e fantasiosa, bello e originale l’espediente del nome. Alla prossima Serie pazzoide!

  4. Ciao Dario, in effetti era l’unica cosa che poteva donare colui che un tempo si chiamava Marco Reo… In fondo, l’anima sarebbe stata troppo banale. Che poi, entrando nell’Eden, siamo sicuri che la sua anima sia in salvo? Con te non si può mai sapere😂! Che dire, un racconto folle, bello, piacevole, nonostante la tua solita crudezza, sempre accattivante. Il prezzo da pagare per aspirare alla felicità eterna (?) è sempre alto, e penso che il prezzo pagato da Marco sia elevato in fondo, quella parolina racchiude ciò che siamo… Però mi sembrava soddisfatto! Ma a questo punto, chi è il Marco Reo che scrive? Salutamelo, ovunque egli sia😂😂😂! Un caro saluto!

  5. Wooow bello, l’espediente del nome non me lo aspettavo neppure io e per questo non credo possa definirsi banale. Complimenti per aver condensato in pochi episodi una storia così intrigante.
    Il bello di certi racconti è che lascino il lettore con un sacco di domande così da poter fantasticare e immaginare gli scenari possibili.
    +

    1. Ciao Alessandro, per me il lettore deve divenire parte della storia; essa non muore, ma continua a vivere nella sua fantasia. Per quanto riguarda il finale, c’è qualcosa di peggio di rinunciare a ciò che ci rende unici?

  6. Degna conclusione di una serie breve ma assolutamente intensa.
    Finale particolare che spiazza e completa la follia che ha sempre pervaso gli episodi.
    Come sempre complimenti Dario.
    Alla prossima lettura…

  7. Silenzio, Micol!😁 Nessuno deve scoprire il segreto di Marco (?)😂
    La Strada è golosa di anime e carne…Ahahah (risata diabolica. )
    Scherzi a parte, grazie per il sostegno. Un saluto.🙂

  8. Ciao Dario, ho riletto il tuo racconto più volte cercando il bandolo della matassa. Forse una che esiste solo nel mio cervello.
    Marco Reo ha “donato” il suo nome, indi per cui… chi è ad aver scritto i racconti su EO? Lo smilzo, o il grassone? 😀 😀 😀

    1. Silenzio, Micol!😁 Nessuno deve scoprire il segreto di Marco (?)😂
      La Strada è golosa di anime e carne…Ahahah (risata diabolica. )
      Scherzi a parte, grazie per il sostegno. Un saluto.🙂

  9. Cavolo, Dario, hai chiuso proprio in bellezza! Credevo che in un unico episodio, non saresti riuscito a chiudere il cerchio in modo adeguato e, invece, ci sei riuscito alla grande! L’idea del nome, pur quanto banale, di certo mi ha spiazzato e non ci avevo proprio pensato. Grande episodio, bravo!