Ciccino

Serie: Le rose e le rouge


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: La serata romantica di Laura col maresciallo, si conclude con un incontro poco piacevole, di Lino, con la zia mummia.

«Il numero selezionato è inesistente o momentaneamente non raggiungibile.»

«Uffa, che rottura…!»

L’ennesimo tentativo di comunicare per telefono col professor Bellu, si era concluso con la solita voce registrata dal gestore telefonico. Valentina aveva esaurito le sue ultime briciole di pazienza. Dopo aver sbuffato e trattenuto le sillabe finali di un “ma va’ a…”, rivolte all’esimio professore, si era chiesta che fine avesse fatto, se il numero fosse cambiato, o se il grande erudito, fosse morto stecchito, nella casa in cui abitava, vedovo e solo, come un tisico in quarantena.

Quando tutto andava storto la sua mente diventava un frullatore di pensieri negativi. E iniziava a vedere immagini di scene funeste. In quel momento era un barboncino nero che guaiva accanto al corpo dell’uomo, disteso sul tappeto del salotto, con un rivolo di sangue rappreso sotto la nuca e l’aria della stanza pregna di esalazioni cadaveriche.

Poi, però, cercava di razionalizzare, con pensiero critico. Tutta colpa del lavoro al chiosco: noioso, frustrante e malpagato. Clienti sempre a lamentarsi dei prezzi; a reclamare fiori tropicali mai visti, composizioni finte, di seta, di plastica e persino di carta. E le solite pretese delle donne più anziane: sconti e servizi extra, a gratis, per disporre i fiori sulle tombe dei loro congiunti. O quegli altri, in giacca e cravatta, a chiedere sempre la solita rosa, a stelo lungo, senza spine, senza foglie sulla parte inferiore del gambo. E per due gocce d’acqua del secchio rimaste sullo stelo, subito a storcere la bocca.

«Non vorrei bagnarmi l’abito.» E mentre cercava il panno per asciugare gambo e banco, ingoiava parole inadatte da rivolgere a quel genere di cliente che ha sempre ragione. Infine il solito stress, alla ricerca degli spiccioli, per il resto di venti o di cinquanta euro, fino all’ultimo centesimo. E quando doveva dirgli: «Mi dispiace dovrebbe attendere un attimo» gli leggeva – a caratteri cubitali ─ il pensiero stampato sulla faccia da schiaffi: si sbrighi che ho fretta.

Un’occupazione che la faceva sentire reclusa, nella gabbia del chiosco satura di pollini, in cui spesso annaspava. Un lavoro che non poteva saziare la fame bulimica della sua mente e tarpava le sue ali, impedendole di librarsi nel sogno di dedicarsi, anima e corpo, soltanto alla scrittura. Nessun incentivo per continuare a sopportare clienti serpenti e allergie frequenti. Una dopo l’altra, crollavano le illusioni, svanivano le speranze e aumentava l’ansia, nella prospettiva di una vita grama, fatta solo di stenti, senza vizi né ozi.

Il tentativo di scrivere un libro per raccontare la storia di Clara, sembrava campato in aria. Avrebbe dovuto ricominciare daccapo, costruire una trama organica, un testo fluido che rendesse la narrazione più interessante di quanto non fossero i suoi appunti ingarbugliati, o le registrazioni, poco nitide nell’audio, e lacunose, a tratti, nei contenuti.

Ciliegina sulla torta ─ che per lei era come un moscone verde, sopra un grosso sterco di mucca ─ il solito viavai del francese che, per situazioni sociali e politiche varie, aveva rinunciato a lavorare e a vivere in Francia. Dopo la sua improvvisa ricomparsa, aveva deciso di stabilirsi di nuovo in Italia, nella città più vicina al paese della “chèr Valentin”. L’unica spiegazione, quando lei aveva cercato di capire: «C’est un grand bordel

Come se tutto ciò non fosse bastato a deprimerla, c’era anche il senso di colpa verso Rosa. Dopo le dimissioni dall’ospedale aveva interrotto le sedute di supporto psicologico e rifiutava ogni genere di terapia sia farmacologica, che omeopatica, prescritte dalla dottoressa Capoccia. E tutti i fiori di Bach e i rimedi erboristici offerti da Gemma.

Valentina aveva promesso a Viola di rivolgersi al professor Bellu. Un impegno che intendeva mantenere, dopo aver rintracciato l’uomo, per spiegargli quanto le sue visite più frequenti avrebbero potuto giovare allo stato di salute della ragazza, grazie alle letture, alle poesie, alle citazioni in latino che tanto l’avevano  incantata, ogni volta che lui si era recato al chiosco, declamando parole e versi con un carisma degno di Alessandro Gassmann invecchiato.

Quando aveva ripreso in mano il telefono, la solita voce registrata: «Il numero selezionato è inesistente o momentaneamente non raggiungibile».

«Ma dove diavolo… ?»

Lo squillo del cellulare aveva interrotto quelle parole di stizza.

«Ciao Vale, come stai?»

«In attesa di tempi migliori. Tu come stai?»

«Un po’ scossa per l’ultima novità che ho appena saputo dal maresciallo Lo Piccolo in persona. Quando possiamo vederci? Così ti racconto.»

«Anche oggi, se vuoi, ma… di che si tratta?»

«Pare abbiano trovato le prove sul vero responsabile della morte di Pietro.»

«Qualcuno che conosco?»

«Sì, fin troppo bene. È un tuo cliente. Il maresciallo lo teneva d’occhio da un pezzo. Aveva ricevuto una soffiata. Pochi giorni fa hanno ottenuto un mandato di perquisizione e…»

«Un mio cliente? Ma chi? Ne ho tanti.»

«Tieniti forte.»

«Dai, spara!»

«Cicci, o Ciccino, come lo chiamava sua madre.»

«Cicci? Non so chi sia.»

«Va beh, il suo nome di battesimo sarebbe Francesco. Cicci è il diminutivo con cui lo chiamavano i parenti.»

«Francesco e poi?»

«Il cugino di Pietro, quello laureato. Ha insegnato per quasi vent’ anni all’istituto magistrale di Karalis, finché non lo hanno costretto a dimettersi.»

«No, non ci credo. Non è possibile. Non può essere lui.»

«Già, sembra assurdo. È difficile immaginare cosa possa nascondersi dietro la maschera di certe persone dall’aspetto distinto e tanto perbene. Se si trattasse di uno zingaro, di un albanese o di un nigeriano, forse non ci stupiremmo allo stesso modo. Essendo uno di noi, in giacca, cravatta e pochette, vorremmo credere che siano soltanto le solite chiacchiere delle malelingue. Eppure, molto tempo fa, c’era chi mormorava cose ripugnanti su di lui, e forse non aveva tutti i torti.»

«Ma lui dov’è, ora?»

«A Uta, in stato di fermo, all’istituto penitenziario.»

«Ecco, perché…»

«Cioè?»

«Dopo ti spiego. Va bene, per te, se ci vediamo tra un’ora? Il tempo di lavarmi i capelli e di togliermi questa roba di dosso. Ho l’odore di un banco intero di calamari, fritti.»

«Ok. Ti aspetto a casa. Ci sono alcune cose che non ti ho detto ancora, della mia storia e su Biagio.»

«Uhm… Stai per confidarmi un segreto? »

«Ne parliamo dopo.»

Serie: Le rose e le rouge


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Wow, un ottimo colpo di scena, complimenti Maria Luisa! Peccato perché mi piaceva il personaggio, sono curiosa di scoprire perché abbia agito così.
    Episodio orchestrato benissimo, sembrava di essere nei pensieri di Valentina. Molto, molto brava!

    1. Ciao Melania, ti confesso che questo episodio mi ha fatto penare, prima e durante la scrittura, e ancora adesso mi accorgo che alcune frasi andrebbero ritoccate. Chi ha letto tutti gli episodi forse ricorderà quale fosse il più sospettabile dei personaggi. Confermarlo mi sembrava troppo scontato. Come dici anche tu, ora bisogna capire il motivo che ha provocato l’ uccisione incidentale o intenzionale di Pietro, il marito di Clara, infilzato dal forcone nel pagliaio. Grazie🙏 di 💝 per il tuo puntuale incoraggiamento.