Come tutto è cominciato

Serie: La strana storia dei mediamente organizzati

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Per descrivere Veo un intero libro non basterebbe. E’ quello del gruppo che conosco da più anni. Andrebbe in brodo di giuggiole se leggesse che sto per definirlo carismatico, però bisogna riconoscerglielo; è così. E’ uno che non può passare inosservato. Solo che il suo è un carisma strampalato, ma a modo suo affascina o comunque colpisce, anche in negativo, talvolta, chi lo incontra. Il gruppo lo canzona perchè è un gran pacconaro e perchè è sconclusionato, inaffidabile, incoerente. In psicologia clinica, si definisce “fuga di idee” una condizione in cui i pensieri si susseguono in maniera confusa, senza un filo logico e a volte in contraddizione tra loro. Veo la rappresenta benissimo. Negli anni ho imparato a convivere con questa sua instabilità e inaffidabilità e riesco a tollerarla anche abbastanza bene, entro una certa soglia. Il problema è quando mi coinvolge in qualche discorso relativo a qualcosa che mi preme, allora diventa irritante perchè sento che vengono a mancare le fondamenta della ragionevolezza, essenziali per portare avanti una conversazione. E’ capace di sostenere a spada tratta convinzioni strampalate che è evidente per chiunque quanto non stiano in piedi, tranne che per lui; il problema è che in quel momento tu ne stai parlando proprio con lui. Allora devo sforzarmi di ricordare che sto parlando con “Veo” e di lasciar correre. Non riesce a star solo e spesso è in cerca di consensi e spalleggiamenti. C’è da dire che una situazione in cui c’è lui, si arricchisce di vitalità situazionale, di energia psichica, di imprevisti (alternativamente divertenti e fastidiosi); ma sicuramente non ci si annoia. Non sta zitto un attimo, per via della fuga di idee cui si faceva cenno, e questo lo porta a stare spesso, e in maniera egosintonica, al centro dell’attenzione. Credo sia quello, nel gruppo, che piace di più alle donne, almeno per ciò che ho potuto osservare in questi anni. O lo trovano affascinante o lo detestano; spesso due facce della stessa medaglia. Spesso la sua fuga di idee si scontra con il pontificare di Scilli e allora sono pipponi che durano un’ora e più, con gli animi che si scaldano. Vive con la sua compagna, Manu, che spesso non è presente alle nostre “puzzusate” per via del lavoro che fa, anche se in qualcuna di queste è riuscita a venire, come vedremo in seguito. Manu è molto paziente con Veo, per forza di cose, ma anche lei ha i suoi momenti, in cui si scontra con le bizzarrìe del compagno, nonchè momenti in cui lo segue nella sua “follia” e, guardandoli in tali situazioni ,si capisce finalmente qual è il loro “punto di contatto”.

Infine, Dima, ultimo arrivato nella comitiva, è il “lamentatore” per eccezione. Di ogni cosa, lui dovrà dire che poteva essere fatta o scelta meglio. Vive a Torino da solo, poichè vi è arrivato da Catania per studiare economia e lo caratterizza un forte accento siciliano. E’ sempre molto curato, sia nel vestiario, sia riguardo ai capelli, pettinati in modo impeccabile con un ciuffone ingellato che sembra disegnato, tanto è perfetto e composto. E’ impallinato con l’arredamento di casa, che cura alla stessa maniera del vestiario e dei capelli. Il suo lamentarsi, mi viene da pensare, non dev’essere affatto scollegato dalla sua impeccabilità, poichè lui con quel “lamentatore” ci deve convivere e si trova costretto da esso a fare tutto alla perfezione per tentare di zittirlo, ma dev’essere dura. Spesso spalleggia Veo, anche quando sostiene qualcosa di insensato, specie se l’interlocutore sono io, poichè sembra provare un certo gusto a contraddirmi e punzecchiarmi.

E poi ci sono io. Ho sempre un po’ di imbarazzo quando si tratta di descrivere me stesso. Parte di ciò che sono verrà fuori nel modo in cui racconterò i fatti e caratterizzerò le situazioni. Per essere imparziale, intanto, comincerò col descrivermi utilizzando le etichette che gli altri mi affibbiano. Intanto sono di manica stretta e perennemente al verde, poichè sto pagando una costosa scuola di specializzazione post lauream e così Favie deve scegliere sempre mete e sistemazioni che comportino bassi costi. Poi mi dicono che non faccio mai niente per il gruppo. Oltre a ciò, mi dicono di essere apprensivo poichè, prima di accettare di unirmi al gruppo, ogni volta voglio assicurarmi che non ci siano rischi, ad esempio riguardo al meteo o al percorso (ed in questo, comunque, il buon Veo mi fa concorrenza). Sono anche lunatico. Insomma, sono un po’ una chiavica. Ma sono anche un guerriero; ho molta resistenza e, nonostante io tenti di evitare i rischi, quando finisco per trovarmi in situazioni pericolose (con Favie è inevitabile) le affronto a muso duro, salvo poi insultare il capobanda una volta che ne siamo fuori. In merito, comunque, al mio scarso spirito di squadra, mi stanno rieducando, dandomi ogni volta qualche compito da svolgere per il gruppo, che io accetto di buon grado. Per come la penso io, comunque, con la mia apprensione faccio il più grande favore alla combriccola perchè tento (vanamente) di tenerli fuori dai guai; io la chiamo saviezza ed è il mio contributo al gruppo. Così come, con la mia povertà, li costringo a risparmiare soldi. In realtà, pertanto, io faccio moltissimo per il gruppo.

Ma voglio raccontarvi come tutto è cominciato. Eravamo colleghi, ma non avevamo molto da spartire fuori dal lavoro, a parte io, Blaco e Veo che saltuariamente passavamo qualche serata insieme. Con Veo ne abbiamo passate di tutti i colori da una decina d’anni a questa parte, ma nell’ultimo periodo ci vedevamo poco, mentre con Blaco avevamo da poco stretto i rapporti. Quest’ultimo era recentemente uscito da una relazione di diversi anni, con tanto di casa acquistata con la ex e annessi guai e strascichi e ora si riaffacciava al mondo. Io stavo invece chiudendo l’ennesima relazione breve, che in pochi mesi, come spesso mi capitava ultimamente, si era già logorata tanto da diventare insostenibile. Io stavo promuovendo un romanzo che era appena uscito: “Atman predatori nell’inconscio” e Blaco (e lo ringrazio di cuore per questo) era presente ad incoraggiarmi ad ogni presentazione. Si incuriosiva ogni volta che, durante i miei discorsi sul romanzo, tiravo fuori le leggende sul monte Musinè, situato poco fuori Torino. Tanto che un giorno io, lui e un altro mio amico, abbiamo deciso di salire, di pomeriggio, su questo monte per vederlo da vicino. Nel frattempo, Veo e Favie, sentendo che noi avevamo organizzato questa cosa, volevano andarci di notte. Il sentiero che porta in cima al monte è molto ripido e ciò comporta due ore e mezza di fatica sovrumana in cui le radici degli alberi formano scaloni alti su cui arrampicarsi. Inoltre, abbiamo avuto la malsana idea di salire nel primo pomeriggio, sotto il sole del 24 giugno (festività del patrono torinese); morale della favola, quando la sera siamo ridiscesi, avevo un mal di testa lancinante. Mi telefona Veo e mi chiede di ritornare sul monte quella stessa notte e io l’ho mandato affanculo. Ma l’escursione notturna era solo rimandata. Intanto, Il Musinè era molto brullo, ma a parte questo non c’era molto di strano da vedere. Niente alieni, niente vipere, niente fuochi fatui, nè ruscelli che scorrono al contrario. Oltre a non avere niente di strano da vedere, diciamo pure che non aveva in generale niente da vedere. Sulla cima, una grossa croce di cemento che svetta e si può vedere anche da Torino.Proprio sotto di essa, un tavolo che sembra essere messo lì per eseguire riti sacrificali e alcuni metri più in là, una stele che inneggia alla pace in nome dell’energia universale che avrebbe uno dei suoi epicentri proprio lì sopra ed entro la quale sarebbero avviluppate le anime dei più grandi uomini di pace e profeti religiosi della storia del mondo. Detto così, suona anche interessante, ma a vedere quella cima ci si chiede, cosa si è saliti a fare fin lì. Oltre il bordo, si può vedere, di sotto, distendersi la Val di Susa e, più in là, Torino, avvolta da una lieve coltre di smog. Tutto quel fascino che il monte evoca, quando si odono misteri e leggende, rimane in essi. Come quando, innamorati di una ragazza che non conosciamo, la idealizziamo e la riempiamo di qualità, che poi, una volta conosciuta, capiamo essere solo nel nostro desiderio e nulla che realmente le appartenga. Ma se ha un merito, il Musinè, è quello di aver dato vita ai Mediamente Organizzati e alle loro avventure, o sarebbe meglio dire: “puzzusate”.

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