Compiti

Serie: Una città di perdenti


.

    STAGIONE 1

  • Episodio 1: Compiti
  • Episodio 2: Presenza

La zanzariera sbatté contro lo stipite, e il vestito di Mary ondeggiò sopra le caviglie come se un ricordo fosse appena passato di corsa dentro casa, talmente orgoglioso che avrebbe preferito morire piuttosto che farsi catturare.

Nella penombra pregna di vecchi respiri e sigarette stantie si guardò intorno con studiata lentezza, come se ogni oggetto lì dentro dovesse pagare pegno alla sua memoria.

Si sfilò i guanti bianchi riponendoli nella borsetta che abbandonò sul mobile dell’ingresso, e con incedere calmo si avvicinò al centro della sala da pranzo.

Raggi di sole filtravano a fatica tra le fessure delle persiane chiuse, proiettando sul tavolo spoglio sottilissime strisce di luce. Quando vi posò il dito e mosse il fine strato di polvere, disegnando una linea priva di significato, minuscoli granelli si dispersero verso l’alto in una danza scomposta, visibili appena il tempo di vederli scomparire per andare a depositarsi altrove.

Tirò a sé una sedia e si tolse la giacca. La sistemò sulla spalliera, poi sedette con le gambe che sporgevano di lato, la stessa posizione che assumeva da bambina durante le lunghe colazioni domenicali, quando con metodo masticava il suo pasto fatto di cereali inzuppati nel latte e, concentrata come si trattasse di vita o di morte, leggeva qualunque cosa le capitasse sottomano, dai romanzi le cui pagine di lì a poco avrebbero iniziato ad ingiallire sui ripiani della libreria di casa ai volumi pescati da uno degli scaffali della biblioteca in città.

Mentre stava col naso affondato fra quelle pagine Mary sapeva perfettamente quello che sua madre Sarah pensava di lei, ovvero che se solo la figlia avesse spostato un briciolo dell’impegno investito sui libri nel cercare di essere un po’ più loquace coi suoi coetanei, forse qualche amico con cui giocare o fare i compiti lo avrebbe avuto anche lei.

Quella che Sarah aveva condotto, nonostante gli sforzi per evitarlo, era stata un’esistenza inquinata dalle recriminazioni; per la piega disastrosa che aveva preso il rapporto con la sua famiglia d’origine, per come ci fosse sempre da fare i salti mortali a fine mese, per il fazzoletto di terra sul retro che non produceva mai abbastanza verdura o per qualunque altra cosa con la quale decidesse di tormentarsi, riversando infinite parole bofonchiate a mento basso su fazzoletti e tovaglie piegate in maniera approssimativa. Nemmeno la nascita della figlia era riuscita a portare il sole pieno in quella stanza della sua mente le cui tende non riusciva ad impedirsi di tenere serrate, scostandole solo in remote occasioni e mai del tutto.

Morì non molto tempo dopo essersi spesa in uno dei rari gesti affettuosi nei confronti di Mary, quasi avesse sentito di dover assolvere all’ultimo compito che le era stato assegnato, consolare quella ragazzina terrorizzata che era corsa da lei in lacrime tenendo nel pugno un paio di mutandine macchiate di sangue, che altro non potevano significare se non essere affetta da una malattia inguaribile.

Fu investita da un camion a rimorchio mentre camminava sul ciglio della strada con le borse della spesa in entrambe le mani, in prossimità della curva terminata la quale si apriva il lungo vialetto erboso che conduceva alla loro casa. I medici avevano detto che il decesso era stato fulmineo, istantaneo, che Sarah non si era accorta di nulla. Ma cosa ne sapeva la gente di quello che si prova un istante prima di morire? Gli era forse mai capitato? Come si fa a stabilire il dolore, a quantificare la sofferenza? Chi lo dice che se qualcosa è veloce per qualcuno lo dev’essere anche per qualcun altro?

Mentre stava col naso affondato fra quelle pagine Mary non aveva idea di quanto suo padre, Letho, fosse orgoglioso di lei. Di quella bambina che, ancora così piccola, sapeva già farsi carico del peso che la mancanza di popolarità e di una cerchia di amicizie gravava sulle sue spalle, consapevole del rifiuto che i suoi compagni opponevano a lei ma decisa a fare in modo che questo non condizionasse la sua giovane vita. Quasi si rendesse conto da sola di quanto futili potessero essere le motivazioni che muovevano i comportamenti dei bambini e di quanto un giorno, così come dal nulla erano nate, le ragioni insondabili che tali comportamenti avevano generato in quello stesso nulla sarebbero potute andare a morire.

Letho non era mai riuscito a trovare il modo di dire a sua figlia quanto la ammirasse per quel suo atteggiamento adulto, per quella visione di chi sapeva guardare in prospettiva. Lo frenava il fatto che parlarne potesse apparire agli occhi di Mary come un’implicita conferma che anche il padre vedesse in lei un’esclusa. Preferiva stringerla in un abbraccio o stamparle un bacio sulla testa, portarla a fare un giro in città loro due soli a prendere un gelato al centro commerciale; ogni volta che se ne presentava l’occasione come un bel voto portato a casa, o quell’occasione scovandola dove in tanti non l’avrebbero nemmeno intravista, come quando la premiava per avere completato l’ennesima tessera della biblioteca.

Mentre percorrevano la statale sul vecchio furgoncino di Letho e lui le raccontava qualche aneddoto sulla mamma, di quanto fosse incredibilmente bella da ragazza, o quanto avesse dovuto faticare per convincerla ad accettare un suo invito ad uscire (omettendo invece tutti quei particolari non adatti ad una bambina), Mary aveva riflettuto più di una volta, nonostante la sua giovane età, su quanto il rapporto che il padre aveva intessuto con la madre rappresentasse un mistero da osservare a debita distanza, di cui non chiedere mai conto per paura di spezzare l’incantesimo che univa due persone così radicalmente differenti.

Letho sembrava essersi assegnato il compito di assorbire come la carta per l’inchiostro i tormenti e le angosce da cui Sarah non era riuscita a tirarsi fuori. La cingeva da dietro per la vita e la baciava delicatamente alla base del collo, senza mai arrendersi ai primi tentativi di lei di divincolarsi da quella stretta gentile, lasciandola andare solo quando alla domanda «Va meglio, Sarah?» lei rispondeva con un mezzo sorriso a fior di labbra «Sì, adesso sì».

Serie: Una città di perdenti


Avete messo Mi Piace6 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. La protagonista sembra arrivare nella sua casa d’infanzia in un giorno per lei importante: forse il giorno del suo matrimonio, visto l’abito lungo e i guanti bianchi. Mi è piaciuto molto il modo lento e delicato con cui ci fai scivolare nel passato di Mary, non proprio felice, dove troviamo una madre tormentata da qualcosa che la rende quasi assente e un padre, invece, premuroso. Aspetto di leggere il prossimo capitolo. Grazie per la lettura, Roberto.

  2. Una scrittura matura e calibrata. Né troppo, né troppo poco. Somiglia all’acquerello dell’immagine di copertina, il gesto sapiente che occorre per stenderlo a dovere. Ottimo inizio.

  3. Ciao Roberto, un avvio che cattura e tiene inchiodati allo schermo sino alla fine. Ho adorato le descrizioni, specialmente all’inizio, e l’atmosfera nostalgica che aleggia attorno alla protagonista. Mi hanno trasportato dentro la scena. Aspetto dì leggere il resto.👏👏

  4. Uh, che bel leggere! Una nuova serie, Roberto, mi fai felice. Un capitolo di apertura tosto, pieno, da leggere più di una volta per capire tutte le informazioni che dai sui personaggi, le sfumature che non percepisci alla prima lettura, ma che sai fondamentali per il prosieguo, quindi le cerchi e le memorizzi. Sei prodigo nei dettagli, ai limiti di una accurata sceneggiatura e questo facilita il lettore che non può che ringraziare. Attendo! Ciao vecchio lupo!

  5. Ciao Roberto, una nuova serie dall’aria promettente. Mi sono piaciute le presentazioni dei personaggi, in particolare quella del padre. L’ho trovato tenero e molto sensibile, capace di trovare la giusta chiave per comunicare con le donne della sua vita. L’ultima parte è di una dolcezza infinita.
    Bravo, ti seguirò con molta attenzione anche in questa avventura.