
Cremisi.
“Mi dispiace se adesso ti sembrerò pazzo, però è da tutta la sera che voglio dirtelo.” Mi guardava con questo sorriso lì lì tra lo scherno, il disgusto e la compassione, o perlomeno così lo percepivo io: probabilmente sbagliandomi. “Mi dispiace se adesso ti sembrerò pazzo, però è da tutta la sera che voglio dirtelo: sei di una bellezza alienante.” Quei suoi occhi color gelato alla nocciola luccicarono per mezzo secondo mentre abbassava leggermente la testa verso di me. Le sue braccia sul maglione verde, rimanevano incrociate sopra il seno. Simulò commozione e continuò a guardarmi con un sorriso ora meno distruttivo per il mio fegato. Prima di quella sera non l’avevo mai vista coi capelli sciolti, eppure già i miei occhi si erano lavati nel suo sguardo più volte. Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso: una serata intera, sotto quelle luci di una notte cremisi. Saranno state le tre e mezza quando le ho detto questa frase. Era come togliersi di dosso uno zaino pesantissimo, liberarsi di quel dito divino enorme e divertito che continua a spingerti sulla schiena. Lo facevo anche io a volte, con le formiche. Non era un atto di sadismo, né un esperimento scientifico, era amore scherzoso: sul loro piccolo addome premevo con appena un poco di forza col mio dito da bambino e vedevo la loro forza che ammiravo così tanto all’opera. Adesso invece quella mano celeste, forse per sorpresa, forse non aspettandosi che io trovassi quella forza da artropode, allentò la presa, si ritirò rapida.
“Sei proprio carino.”
Ridacchiai, dissimulando, probabilmente con poco successo, l’imbarazzo che provavo.
“Sì. Sei proprio carino.” Ora mi guardava dritto negli occhi con un malizioso sorriso. Non era un flirt: era un esperimento psicologico. Sembrava sfidarmi, sembrava cercare di capire i miei limiti, i miei confini. Voleva capire se avrei ceduto al suo potere o se l’avrei combattuto. Voleva capire di che pasta fossi fatto, forse? Non so. Non bevevo di solito, e quei due drink pur senza avermi steso, senza avermi invalidato, m’avevano reso incline alla pericolosa divagazione inutile e fuorviante.
“Lo dici solo perché è cortesia rispondere a un complimento con un altro complimento?”
Si spostò un boccolo colore delle stelle dall’orecchio con una mano timida seppur ferma. “Dico solo quello che credo. E credo che tu sia davvero carino.” Aveva abbassato lo sguardo, penso verso le mie gambe, intenzionata a vedere se tremassero. Lo facevano: il mio cervello infallibilmente auto-apologetico dichiarava ad ampie lettere che era per via del freddo. Erano comunque le 3 di notte a febbraio. Ma dietro quello schema mentale c’era il mio ego rotto e completamente libero dell’intenzione di difendersi.
“E perché sarei carino?” Piccola smorfia divertita, i suoi occhi sempre più perforanti sul mio petto, e le sue guance sempre più rosse, una sola fossetta alla sua sinistra sulla pelle di perla.
“Tu mi hai detto che sono bella come un alieno, penso mi debba delle spiegazioni tu, prima di tutto.” Senza che il ritmo della conversazione si spegnesse, mi era venuta incontro, atto d’invasione senza se e senza ma, ed io avevo detto alle mie difese: aspettate. Fermi tutti, e lasciamoci attaccare. M’aveva afferrato l’avanbraccio destro, che seguiva la mano nei pressi della tasca, e tirandomi per la giacca nera sgualcita mi aveva costretto dolcemente, consapevole del fatto che non avrei opposto la minima resistenza, a camminare con lei, a braccetto, verso due poltroncine attorno a un tavolino là vicino.
“Non intendevo quello, lo sai.”
Lei rise senza ridere: “Sei proprio uno scemo. Meno male uno scemo carino.”
Carino. Ripeteva questo aggettivo e per me era come se parlasse il mandarino, il thailandese il cambogiano, cos’è carino? Un pettirosso, una borsetta, un castello di sabbia? Un bambino, un gattino, un fiore? Io sarei carino? Ci sedemmo. Faccia a faccia. Come fa una donna ad essere ancora più bella quando è seduta?
“Sei bella in modo alienante. Mi aspettavo reagissi in modo diverso. Per quello ho tergiversato.” Lei sorrise per la prima volta priva di compassione, priva di ogni remora, priva di ogni riferimento insito in me, io ero io e vedevo lei sorridere di un sorriso vero e puro, senza nulla attorno, un sorriso vero, come il Sole che sorge, come un fiore che sboccia, e io in quei denti che non avevo ancora visto in tutta la sera decisi di sciogliermi per l’ennesima volta, questa volta sulla via del non ritorno. “Insomma. So di risultare strano. Dio! So di essere strano. Eppure non posso lasciare che questa serata passi senza dirti che sei la donna più splendida che abbia mai visto.”
Le sue ciglia come fucili di un plotone d’esecuzione puntavano verso di me. “Mi chiedo se queste cose le dici a tutte.” Io lì risi di gusto. Di gusto, fino a che non mi detti un contegno, per paura di starla mettendo a disagio. Ma lei era lì, con le sue scarpe nere che mi avrebbero potuto perforare il cuore, con quel vestito verde veleno pronto ad avvelenarmi ogni viscera.
“Sei una persona affascinante. Lo sei davvero. Sai cosa mi diverte un po’?” Scossi la testa, ora quasi intimidito. Avevo paura. Sapevo che lei sapeva di avere controllo. Non volevo perdere il mio. Quella scorza apologetica stava per cadere, come la porta di un castello medievale ormai esausto, aggredito a ripetizione da un ariete: la parte stoica e noncurante delle conseguenze doveva venir fuori.
Lei riprese, guardando fuori, indicandomi con uno dei suoi zigomi, mentre il suo naso francese guardava lontano. “Che io sono… Così in disaccordo con te.” Storsi la testa e continuai a guardarla, ora confuso oltre che abbacinato. “Io guardo allo specchio e non mi vedo bella. Mi vedo, mi vedo. Sono una persona. Un essere umano, una donna. Sono…così nella media. Vedo le mie amiche, e sono così speciali.” Come se mi avesse dato un ordine, mi girai a guardare le sue amiche in contemporanea con lei.
Sospirai pesantemente. “Io vedo grigio.” Lei, in un momento che continua a darmi la pelle d’oca, mi toccò il ginocchio con la mano di velluto. Piano, come se non volessi far scappare un uccellino, feci tornare il mio collo dritto, guardai verso di lei, poco a poco. Aveva messo il giubbotto di pelle sulle spalle. Pensai a quanto ero stato maleducato a non offrirle la mia giacca, e una piccola parte di me si lacerò, con ormai totale e soddisfatta noncuranza del mio ego. E la guardai in faccia. Era grave. Non commossa. Ma ora eravamo vicinissimi. Aveva un minuscolo brufolo sulla parte alta a destra della fronte. Vicinissimo all’attaccatura dei capelli. Senza essere così vicino alla sua faccia non l’avrei mai visto. Me la faceva ammirare ancora di più. Era come aver di fronte a sé Afrodite resasi umana, ora inconsapevole di quanto è bella, ma consapevole della sua umanità. Mi faceva venir da piangere. La guardavo negli occhi. E lei guardava me, e la luce di un cielo notturno annuvolato, la luce color rosa appassita, color gelato all’amarena, filtrava dalle finestre con infissi a croce, un’ombra mi attraversava il naso. La sua mano affondava nella mia carne con una dolcezza degna di un cuoco di sushi. E quella ferita, quella lacerazione, non mi avrebbe mai lasciato. Eravamo così vicino.
“Io vedo grigio”, avevo detto. Il continuo non l’avevo detto e lei l’aveva sentito, per non so bene quale astrazione metafisica di cui non voglio nemmeno sentir parlare: i nostri volti nella luce inusuale di quella notte, il bagliore del suo iride. “Sei un miraggio.” Lo sussurrai. Era come se sentissi ogni suo sentimento e pensiero. Lei, gli occhi sgranati che si socchiudevano pian piano, le labbra vive un predatore in agguato, lento e fermo, pronto ad aggredire le mie.
Non la vidi mai più dopo quella notte. Né una donna lontanamente vicina a quella bellezza. Ogni tanto mi chiedo ancora se l’ho conosciuta davvero, o se l’ho sognata una notte, dopo una festa in mezzo a volti grigi e anime vuote.
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Amore
“La bellezza sta negli occhi di chi guarda”. Questo racconto, confesso, mi ha commosso e fatto apprezzare ogni singolo individuo di ogni colore che incontrerò lungo il cammino.
*ho incontrato
Sono davvero contento. Penso sia il commento più bello che io abbia ricevuto per qualcosa che ho scritto 🙂
Non facile commentare un testo del genere. E neanche leggerlo, per quanto mi riguarda.
Se da una parte c’è l’ammirazione sincera per questa dimostrazione di vera bravura nello stile, mi sembra però che qui esso “rubi la scena”.
Il pezzo è bello, frizzante, interessante. Molto.
Titolo splendido.
Quindi complimenti ma accompagnati da un consiglio, sempre con massima umiltà e rispetto, per il futuro. Sacrificherei il lessico quel tanto che basta a favore della semplicità e godibilità della trama.
Ma ribadisco, ottimo spunto e grande abilità nella scrittura.
Grazie del feedback e dei complimenti! Penso tu abbia ragione, e probabilmente dovrei essere più attento a non perdermi nei sentimenti che provo mentre scrivo, come al 100% ho fatto con questo pezzo, ma piuttosto a far in modo che il mio racconto sia chiaro e leggibile. Grazie mille 🙂
Ho letto con molto gusto questo racconto. Lei la possiamo quasi vedere, come in una fotografia. Lui invece lo possiamo solo un po’ immaginare, celato da tutte le sue insicurezze. Alla fine, lei non ha accettato di vedersi attraverso gli occhi di lui, troppo modesta o forse troppo furba e sfuggente. Lui, invece, non ha voluto vedersi attraverso gli occhi di lei, troppo insicuro o forse spiazzato. Chi ne esce vincente è lo scrittore che li guarda e con parole ricche e scelte bene, li descrive. Veramente bravo!
Grazie mille <3
Il bello è che anch’io ho un brufolo sulla fronte 🙂 Apprezzato!
Grazie mille 🙂 Proprio stamattina mi sono svegliato con un brufolo sulla fronte anche io. Segno del destino?