
Dall’Europa all’America
Serie: Di ombre e luce
- Episodio 1: Prologo
- Episodio 2: Premonizioni
- Episodio 3: L’addio a Milano
- Episodio 4: Dall’Europa all’America
STAGIONE 1
Genova, 12 agosto 1921
Il carro avanzava cigolando sulle pietre sconnesse della banchina, tra pozzanghere di pioggia. Il mattino era umido e grigio, avvolto in una nebbia bassa che saliva dal mare. Pietro, rannicchiato tra casse di legno e sacchi di juta, sentiva ogni scossone trapassargli la schiena, come una fitta. Accanto a lui c’erano uomini e donne con bambini stretti al petto, gli sguardi rivolti a un orizzonte che ancora non vedevano.
Il carro si fermò con un sussulto metallico. L’odore di salmastro, carbone e alghe li avvolse. Il fragore delle onde che si infrangevano contro i piloni e il lamento rauco dei gabbiani facevano da colonna sonora a quell’addio silenzioso. Pietro lasciò scendere per prime le donne e i bambini, aiutati dal conducente, poi balzò giù stringendo la valigia. Sentiva il corpo rigido e le dita livide per il freddo.
Avanzò tra la folla di migranti, senza voltarsi. Ogni passo lo allontanava da casa, dai compagni e dalla carezza di sua madre.
Davanti al banco dei controlli, Pietro mostrò i documenti e rispose con tono basso e misurato alle domande dell’ufficiale portuale. L’uomo lo scrutò un istante, poi lasciò correre. Forse era stanco; forse troppo distratto dal freddo o dai fischi della sirena che annunciava la partenza. Pietro si chiese se l’uomo avesse visto nei suoi occhi la stessa disperazione che gli passava davanti a ogni imbarco e che, semplicemente, non gli importava più.
Si fermò, impressionato, di fronte alla maestosità dello scafo: il piroscafo “Giuseppe Verdi”, annerito di carbone, era uno dei tanti impiegati nella rotta per l’America del Sud. Si trattava di un traghetto, con dormitori di terza classe nella stiva e sul ponte inferiore, che potevano ospitare quasi milleottocento migranti, stipati come animali.
Pietro salì la scala e davanti agli occhi si presentò la sua nuova realtà: un groviglio di valigie, fagotti e gabbie con galline e conigli. Bambini che piangevano, uomini che fumavano in silenzio guardando l’acqua e giovani donne che allattavano al seno i loro infanti.

Quando gli fu possibile, si sistemò nella stiva, accanto a una famiglia ligure. Il padre, un uomo di nome Giovanni, lo osservò a lungo e con diffidenza, mentre la madre gli sorrise, stringendo a sé i figli come fossero una calda coperta.
L’odore fu da subito insopportabile: sudore, muffa e urina, così diverso da quello di casa e impossibile da scacciare. Sistemò i pochi averi che consistevano in una coperta, una giacca di lana pesante, la valigia che avrebbe fatto da cuscino e una borsa di cuoio con i soldi che era riuscito a racimolare. Si assicurò di avere ancora con sé la lettera, riposta nella tasca a bottoni, cucita da sua madre all’interno della giacca, insieme ai documenti. Durante il lungo viaggio, l’avrebbe riletta e poi ripiegata infinite volte.
Il mare aperto si rivelò subito duro e le prime due settimane furono un inferno liquido. Il rollio e il beccheggio della nave facevano vomitare anche i marinai. L’umidità condensata sulle pareti metalliche tratteneva parte di quella umanità umiliata. Una febbre intestinale, forse tifo, forse colera, si diffuse presto. Alcuni fra i più deboli morirono. I corpi venivano avvolti in lenzuola, benedetti in fretta da un prete con la tonaca logora e gettati a mare. Nessun nome, solo un mormorio di lacrime e il tonfo sordo del corpo nell’oceano. Come epitaffio, una veloce registrazione sul giornale di bordo.
Pietro osservava in silenzio, le mani contratte, i denti serrati. Non poteva cedere. Si aggrappava alle ultime parole di sua madre per lui: «Devi farcela, per te e per me. Devi farcela.»
Ebbe la febbre anche lui e in quelle notti ghiacciate si svegliava fradicio di sudore, la fronte bollente e il cuore impazzito. Ma resistette. Aiutava Rosa, così si chiamava la madre della famiglia ligure, con i bambini, dividendo con loro il pane e cercando di distrarli con giochi inventati, mimando animali o raccontando storie. Una notte, mentre il piroscafo lottava contro una tempesta, Pietro si ritrovò a confidarsi con Giovanni, entrambi convinti che fosse giunta la fine. L’uomo gli disse che, più della morte, temeva l’idea di fallire ancora una volta e di non riuscire più a guardare sua moglie negli occhi. Pietro, allora, decise che ce l’avrebbero fatta, che l’oceano li avrebbe ascoltati e tutto sarebbe presto finito per dare inizio a una nuova vita.
Quando, dopo tre settimane di viaggio, avvistarono la costa del Brasile, la voce corse tra i passeggeri come una fiammata. Terra! Una striscia verde all’orizzonte, irregolare, tremolante nel sole. Non era ancora la meta, ma era il segno che l’oceano non era infinito. Pietro salì sul ponte e respirò l’aria salmastra a pieni polmoni. I suoi occhi cominciarono a lacrimare.
La nave entrò nella baia di Guanabara, avvolta da un velo di nebbia. Pietro, affacciato al parapetto, osservò con occhi sgranati la costa che si delineava all’orizzonte. Rio de Janeiro gli apparve come un miraggio tropicale: un miscuglio policromo di palme, casette colorate e colline verdissime. Mai aveva visto nulla di simile.
Attraccarono lentamente al porto, mentre un vociare confuso si sollevava dalla banchina. Uomini a torso nudo scaricavano casse, donne con lunghi vestiti portavano frutta esotica in cesti intrecciati.
La sosta durò tre giorni. La compagnia di navigazione permise ai passeggeri di scendere a terra, ma con alcune restrizioni. Pietro si avventurò insieme a Giovanni lungo le strade acciottolate del centro, confondendosi tra gli altri viaggiatori. Comprarono fagioli neri e pesce fritto per i bambini e assaggiarono la cachaça, che bruciò la gola, infondendo loro coraggio.
Il resto del tempo lo trascorsero sulla nave, al sicuro. La sera prima della partenza, si soffermarono sul ponte a guardare le luci della città riflettersi sull’acqua.
La mattina successiva, il fischio lacerò l’aria: era giunto il momento di compiere l’ultima tratta. I giorni si trascinarono lenti, accompagnati dal rumore ipnotico delle caldaie e dal canto del vento. Solo il mare era costante: immenso, indifferente, blu e grigio insieme. Alcune persone pregavano. Altre deliravano. Qualcuno rideva senza motivo.
Pietro non si perse mai d’animo, aggrappandosi a una nuova certezza: finalmente Buenos Aires lo attendeva a braccia aperte.
Serie: Di ombre e luce
- Episodio 1: Prologo
- Episodio 2: Premonizioni
- Episodio 3: L’addio a Milano
- Episodio 4: Dall’Europa all’America
Mi associo a Francesco, anche io ho notato e ammirato la ricerca storica che sta dietro alla costruzione di questo episodio. Mi è piaciuto tantissimo il particolare dei documenti cuciti all’interno della giacca, una cosa che si usava fare spesso, e che da bambina sentivo nelle storie raccontate dai miei nonni. (loro si spingevano pure oltre, altro che giacca, le loro madri gli cucivano i soldi dentro le mutande…ridevo un sacco quando me lo raccontavano! )
Come per l’episodio precedente, anche qui narri di fatti accaduti ai nostri connazionali tanti anni fa, e che oggi ci appaiono “assurdi” anche soltanto da pensare…ma se stiamo a ben guardare, in troppi posti ancora esistono esseri umani costretti a intraprendere viaggi simili. Questa tua serie si sta dimostrando, oltre che un ottimo scritto, anche uno spunto per numerose riflessioni. Brava Cristiana!
Mi hai fatto davvero sorridere con l’immagine della taschina cucita nelle mutande e, ti assicuro che non è necessario andare tanto indietro negli anni. Mi viene in mente un’amica durante la gita scolastica a Monaco di Baviera di quinta liceo! Da non credere. A Pietro ho concesso che venisse cucita all’interno della giacca che altrimenti lo avrei troppo esposto 🙂
A parte questa precedente battuta. Voglio ringraziarti perché mi accompagni, non solamente qui e nella scrittura, ma anche in molto altro. Abbraccio speciale per te 🙂
Bellissimo episodio. Un viaggio che ci riporta indietro nel tempo ma anche a certe immagini molto più attuali dei nuovi migranti stipati nei barconi che arrivano stremati, quando hanno la fortuna di sbarcare vivi.
Le immagini di questo racconto sono nitide e toccanti, con una prosa che incanta. E un finale che ci riporta a una città che non solo per Pietro, ma anche per te e per molti di noi, significa tanto.
Complimenti Cristiana.
Mi capita che scrivendo questa serie, il mio pensiero vada spesso alle persone che tu citi nel tuo commento e che meritano la nostra attenzione e, soprattutto, che se ne parli, tanto e sempre. La città di arrivo, che occupa un posto privilegiato nel mio cuore, in realtà, sarà per Pietro solamente, almeno per il momento, un luogo di passaggio verso altre terre che lo aiuteranno a capire cosa davvero conta. Grazie Maria Luisa e ti mando un abbraccio.
Ad attirare la mia attenzione questa volta è stata la foto del piroscafo, ulteriore conferma della ricerca storica che sta dietro questo racconto. Hai scritto che la terza classe ospitava quasi 1.800 persone, stipate in scomodi dormitori e ho verificato come la suddivisione all’interno della nave fosse rigida: cabine di lusso per pochi eletti, cabine da 4 a 6 posti in seconda classe e poi la stiva per il “bestiame”.
Fu gente come Pietro, contraria al classismo, a chiedere e ottenere l’abolizione della terza classe e la successiva conversione in “turistica” ed “economica” delle altre due. E pensare che quelli come Pietro erano perseguitati perché volevano una società più ugualitaria.
Esatto Francesco. Dopo pochi anni dal viaggio di Pietro, la terza classe fu abolita anche se, purtroppo, le condizioni non migliorarono di molto o forse non migliorarono affatto. Le persone continuavano a essere stipate in condizioni disumane, a meno che possedessero uno status o denaro in abbondanza per permettersi un viaggio migliore. Nel caso specifico del Giuseppe Verdi, il rapporto numerico fra i viaggiatori di terza classe e quelli di seconda e prima è davvero impressionante e colpisce. Per chiudere, mi colpisce anche l’ultima frase del tuo commento e mi chiedo cosa sia davvero cambiato. Grazie Francesco e un abbraccio.
Bellissime descrizioni e scrittura piacevolissima, come lo è sempre la tua.
Pietro è sopravvissuto a questo viaggio (e non è una cosa scontata, a quanto vedo)… e ora?
E ora ti anticipo che non sarà affatto facile. La vita vera non lo è mai, purtroppo. Grazie Nicola per la tua lettura che è davvero tanto gradita. Un abbraccio.
“L’umidità condensata sulle pareti metalliche tratteneva parte di quella umanità umiliata”
Bellissimo passaggio!
Grazie Nicola. Ammetto che mi ero ingarbugliata e, in parte, la devo a una persona. Ammetto, ancora, che piace molto anche a me 🙂
La storia è appena cominciata, ma già così coinvolgente.. complimenti per la scrittura tanto nitida e pulita..
Grazie Furio. Hai ragione, la storia è appena cominciata e io stessa non so bene ancora come andrà a finire. Dipende dal mio ‘cuentacuentos’ che, per seguire meglio la sua storia famigliare ha fatto anche un account qui su Open e so che ogni tanto viene a sbirciare. Chissà se @bombinesoficial avrà voglia di imparare un po’ di italiano. Magari leggendoti 🙂
Un abbraccio
hola Cris.. aquí estoy atento desde Argentina y leyendo todos los comentarios.. realmente estoy sorprendido.. GRACIAS POR SIEMPRE CRIS.. eres una genia, nos atrapaste a todos..
Muchas gracias a vos para contarnos esa increíble historia 💛
“I giorni si trascinarono lenti, accompagnati dal rumore ipnotico delle caldaie e dal canto del vento. Solo il mare era costante: immenso, indifferente, blu e grigio insieme. Alcune persone pregavano. Altre deliravano. Qualcuno rideva senza motivo.”
Passaggio stupendo. Ci trasporta in quella nave. Vediamo quello che osserva Pietro, sentiamo i rumori che accompagnano il suo viaggio e condividiamo le sue emozioni. Brava 👏👏
Grazie Tiziana, è molto importante averti con me in questo viaggio 🙂
❤️
” I giorni si trascinarono lenti, accompagnati dal rumore ipnotico delle caldaie e dal canto del vento. Solo il mare era costante: immenso, indifferente, blu e grigio insieme. Alcune persone pregavano. Altre deliravano. Qualcuno rideva senza motivo.”
Un passaggio stupendo che ci trascina dentro la scena con tutti i sensi. Siamo con Pietro, possiamo percepire i rumori, immaginare quello che vede e essere partecipi delle sue emozioni.
Esatto. Siamo su quella nave che costeggia il profilo americano. Un miraggio che si concretizza. Grazie Tiziana.
Stamattina, ho avuto un po’ di problemi nell’ invio del commento, e alla fine li ha inviati entrambi. Sorry
Entrambi graditi. Grazie ancora 🙂
Bello! Continua a piacermi molto lo sfondo storico che sostiene in maniera egregia una storia che vola via. Il racconto del viaggio e della condizione degli emigranti di terza classe è davvero bello. Anche questa volta non ti sei lasciata intrappolare dall’argomento, ma l’hai reso strumentale alla storia! Cosa dire! Brava!
Grazie Piergiorgio per questo tuo appunto, molto importante per me. Facile, in effetti, sarebbe lasciarsi andare, magari a sentimentalismi. Ma, come dici tu, la storia di queste persone e la Storia che fa da sottofondo alle loro vite, meritano rispetto e una narrazione consapevole.
“gli sguardi rivolti a un orizzonte che ancora non vedevano.”
Molto bello! In poche parole si riassume sogno e il dramma degli emigranti
Posso credere che sia ancora così e provo tanto dolore…Lì ci potrei essere io o, peggio ancora, i miei figli. Disfatta o riscatto? Questo non lo so. Ogni storia fa a sé e tu, con quello che ci racconti sempre, lo sai molto bene.
Ho appena recuperato gli episodi che mi ero lasciato indietro. La storia scorre davvero bene ed arricchirla con dettagli storici la rende ancora più piacevole. In generale ho apprezzato molto che ogni episodio (pur riprendendo da dove si era rimasti e creando attesa per il successivo) è conclusivo, si sostiene da solo, quasi come se si guardasse una serie tv. Fatto molto bene, Cristiana.
Grazie Guglielmo e, detto da te, è particolarmente apprezzabile. Spero di continuare ad averti con me durante il viaggio.
Di nuovo un bellissimo capitolo. La scelta delle parole, gli odori e le sensazioni che trasmetti, sei bravissima a prendermi e trascinarmi dentro la storia. Complimenti!!
E io sono tanto felice di riuscire in questo mio intento che è sempre per me un obiettivo primario, qualsiasi sia la tipologia del racconto. Buttarmici io in quella particolare atmosfera e portare con me i lettori. Grazie Melania per il tuo bellissimo commento.
Mi sembra di esserci su quel vascello di debordante umanità: speranze, paure e frustrazioni esportate in una nuova realtà che, difficilmente, potrà essere peggiore di quella lasciata. Grande pagina, Cristiana, sentita, coinvolgente, vera. Grazie!🌹
Grazie a te Giuseppe. Senza troppo anticipare, la realtà che troverà il nostro Pietro non sarà molto diversa rispetto a quella lasciata in Italia. Solitamente i periodi storici sono trasversali ai luoghi ed erano anni complicati dal punto di vista politico per molti Paesi. Ma non voglio dire troppo. Grazie ancora 🙂
Io probabilmente avrei fatto parte del gruppo delirante 🙈 dopo un viaggio simile! Comunque, ci siamo quasi ormai: Buenos Aires è vicina. Che bello! Gioisco con loro.
Mi sa che lo stesso sarebbe successo a me! Non sopporto già le barchette, figurati un viaggio come quello. Eppure milioni (?) di persone lo hanno affrontato nei decenni e ancora succede. Grazie Arianna per continuare a seguire la serie. Un abbraccio.