Dharma colpisce

Scese dall’automobile e si sistemò la cravatta. Era felice di essere lì, o meglio anche di vivere, poi sorrise al figlio. «Vedi, Max, questa è la mia azienda!».

Max annuì e dandosi arie da guappo si avvicinò al padre. «Lo vedo, lo vedo».

Gli diede uno schiaffetto. «Sii più umile, però. Hai quindici anni, in fondo».

Max assunse allora una smorfia contrariata, poi a un’occhiata minacciosa del padre chinò il capo. «Ma certo».

«Ecco, bene. Dai, vieni con me».

Lasciarono la Cadillac nel parcheggio e dentro l’officina fu tutto un susseguirsi di «Buongiorno, signor Giuliani», «Salve, signor Giuliani!» e «Come va, signor Giuliani?».

Lui era il boss, ma si sentiva più che altro come un re e se lui era il re, quello era il suo regno.

Con suo figlio, salì negli uffici dove le segretarie e le impiegate chinarono il capo.

Dopo c’era il suo ufficio personale che era presidiato da due uomini armati di Uzi.

Le guardie del corpo che avevano seguito Giuliani fin lì si misero a cuccia e lui chiese alle guardie lì presenti: «Tutto a posto?».

Una delle due, un sorriso solcato da una cicatrice, annuì. «Tutto a posto, boss».

«Bene». Senza degnare di uno sguardo suo figlio, prese di tasca la chiave e aprì la porta.

Era un luogo lussuoso e Max si perse con gli occhi negli arredi.

Giuliani si sedette alla scrivania e appoggiò le scarpe sul mobile. «Vedi? Tutto quel che ho costruito l’ho creato con fatica, dedizione, sudore…».

Scoppiò a ridere, Max. «Ma alla fine è solo un giro di furti di auto!».

Si arrabbiò. «Certo, ma non lo dire a voce alta. Io sono un rispettabile imprenditore e solo perché c’è la magistratura marxista che perseguita il libero mercato non vuole dire che io sia un capo mafia».

Chinò il capo di nuovo. «È vero».

«Ecco, bene. Tienilo bene a mente. Ho tanti meccanici, contabili e…».

Qualcuno bussò alla porta. «Le chiedo scusa, signor Giuliani». Si sentì questa voce.

«Entra, entra».

Un omaccione più simile a un gorilla obbedì. «Ho con me il rapporto di quella… squadra».

«Sì, bene, dammelo».

L’omaccione gli porse un fascio di fogli poi si atteggiò in maniera deferente con Max. Giuliani sbuffò. «Troppo da leggere… e allora? E alla fine di cosa si tratta?».

«Posso… parlarne?».

«Sì, certo, non avere paura».

«La squadra ha agito: ha prelevato un po’ di automobili e… be’, sì, un negoziante in corso Cavour non ha voluto pagare: gli abbiamo spezzato un polso. Anche uno in via Manzoni… con lui ci siamo limitati a violentarle la figlia».

Giuliani scoppiò a ridere. «Oh, bene, finalmente un po’ di sano verbo. E poi? Quanto denaro avete preso?».

«Tremila euro».

«Ottimo, ottimo». Giuliani si fregò le mani. «Così si fa».

Max, accanto a lui, aveva gli occhi brillanti. «Posso farlo anch’io?».

L’omaccione sorrise compiaciuto, invece Giuliani lo ponderò con lo sguardo. «Ma cosa?».

«Stuprare una ragazza!». Aveva gli occhi pieni di cupidigia, ma anche di desiderio.

L’omaccione rise di cuore, ma poi tacque al vedere Giuliani dare uno schiaffone al figlio. «Eh no che non va così! Ma che fai, che dici?».

«Ma papà!».

«Non devi, ti dico. Questi sono affari… violentare una ragazza serve a terrorizzare i clienti. E poi tu, che sei così superficiale, vuoi pure fare il sicario! Ma guarda te… ma vattene, va’!».

Davanti allo sguardo dell’omaccione, Max scoppiò a piangere senza vergogna. «Ma papà… papà…!».

«Zitto, cretino!».

L’omaccione era imbarazzato e Giuliani lo mandò via. «Pensa al tuo lavoro».

«Agli ordini, capo». Se ne andò via.

Nell’ufficio rimase un’atmosfera tesa, con Max che continuava a frignare e Giuliani che faceva finta di nulla. Si mise al computer e pensò bene di visitare qualche sito pornografico: aveva di che festeggiare, visto che la Dharma aveva fatturato tremila euro in una mattinata di lavoro.

Al che Giuliani pensò fosse meglio dispensare una pillola istruttiva. «Vedi, Max, questi sono affari… il pizzo, il furto di automobili, lo stupro di quella tipa… noi lo facciamo solo per affari, non per capriccio. Bisogna fare così, perché questo è un mondo di predatori e chi non azzanna per primo viene sbranato. E su, non piangere in questo modo che mi fai vergognare di averti concepito! Devi essere un vero uomo, non un mezzo uomo che piange per uno schiaffetto stupido».

Tirò su con il naso. «Hai ragione, papà. Scusami».

«Ecco, ecco. Che poi, perché ho ragione? Per il motivo che picchio forte, non mi faccio scrupoli…». Voleva continuare con quel discorso, ma si interruppe al sentire delle urla.

Non ci furono spari e Giuliani vide uomini con le pettorine della Dia entrare dappertutto. Sciamavano come formiche e allora lui imprecò.

Di lì a un attimo, gli uomini della Dia furono dentro con le pistole spianate mentre i guappi con le Uzi erano stati disarmati. «Fermi tutti!».

Giuliani alzò le braccia. «Ehi, ehi, va tutto bene. Non c’è nulla per cui agitarsi…».

«Lei, signor Giuliani, è indagato per associazione a delinquere» gli sbraitò un tizio in pettorina blu più simile a un bulldog.

«E no, mio caro signore. È tutta colpa di mio figlio, Massimo. È lui che ha fondato la Dharma. Io stavo per andare in ospizio… vede che sono un vecchietto infermo?».

«Ma…».

«Coraggio, Max pagherà tutte le colpe della Dharma. Io torno al mio ospizio!».

«Papà, io…».

«Paga, Max, paga le tue colpe. Addio». Se ne andò ridendo.

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Discussioni

  1. “Lui era il boss, ma si sentiva più che altro come un re e se lui era il re, quello era il suo regno.”
    meno male che ha consigliato al figlio di essere più “umile” 😂