E infine…

Serie: Un giorno, il succedersi degli eventi, ritenuto preordinato, necessario e indipendente dalle finalità umane


Mentre Tobia si stava placidamente recando al suo appuntamento con Isotta, una vettura della pubblica sicurezza impazza alla fermata del tram e lo preleva forzosamente

Mi piace questa parte del racconto perché mi consente di congetturare la redazione del verbale che gli agenti avrebbero dovuto poi stilare suggellando l’accaduto. Direi che potrebbe essere più o meno così:

“Il luogo,

Addì: giorno, mese, anno.

Trovandoci nella circostanza, congiuntamente con l’auto in borghese dei colleghi Assistente-uno e Agente-due, di sorvegliare un indiziato che si aggirava in prossimità di piazza tale, sul lato della strada di fronte alla fermata del tram, i sopra citati colleghi, Assistente-uno e Agente-due, s’avvidero acutamente che il soggetto aveva notato, poco distante, la presenza della nostra vettura in livrea d’ordinanza; tale già non fu scelta nostra, bensì adozione di ripiego per scarsità di uomini e mezzi.

Avvertiti via radio dai colleghi, decidemmo tempestivamente d’impegnare una manovra diversiva atta a distogliere l’attenzione dalla nostra vettura d’ordinanza e parimenti consentire alla civetta dei colleghi di proseguire il pedinamento dell’indiziato.

Quanto sopra premesso, ci accingevamo alla simulazione di un arresto, volta a far intendere all’indiziato che la nostra presenza in loco non era da attribuirsi a lui stesso medesimo, ma ad altra persona.

Pertanto, individuato il soggetto adatto che stazionava alla fermata del tram, sotto la di cui pensilina; attivato il segnalatore d’emergenza, ci portavamo alla fermata stessa e procedevamo al prelevamento del soggetto di cui sopra, allontanandoci poi rapidamente dal luogo ivi specificato”.

Rende l’idea?

«Per Belzebù!» Esclamò Tobia seduto sul sedile dell’auto di servizio, scusandosi subito per il tono della sua voce con l’omone in divisa che gli era accanto.

«Ci perdoni lei, signore» propose quest’ultimo «lei non ha fatto nulla di male, ma abbiamo dovuto intervenire per distogliere l’attenzione di un indiziato dalla nostra unità…»

«Capisco» disse Tobia. Ma, ovvio, non aveva capito niente; ancora in subbuglio e terribilmente spaventato. L’omone in divisa mostrando il suo lato umano chiese: «Come si chiama?»

«Tobia, grazie» rispose lui, ringraziando poiché aveva colto la premura dell’agente.

Tobia… un nome da cane, si disse il poliziotto, sarà il vero nome?

No, d’accordo, non lo pensò davvero, ma sarebbe stato divertente, no? Va bene, perdonate la licenza, l’essere voce narrante non libera dalla facezia.

«Dove abita, signor Tobia?» Domandò, cortese, l’agente alla guida.

«In via Della Porta al dodici» rispose, pensando di dover aggiungere altre generalità, per il verbale o che altro…

«Bene, arriveremo presto» chiosò l’autista.

«Bene» concluse Tobia.

Ma come bene, razza di cretino (ci sarà pure una razza di cane idiota…), non stavi andando ad un appuntamento, più precisamente: nella direzione opposta?

Certo che era così, ma Tobia era ancora frastornato e lì per lì non ci pensava più, finché non gli sovvenne.

«È che io, veramente…» osò, tornando in sé quando l’auto stava entrando nella via di casa.

«Dica, dica pure» disse gentilmente l’agente seduto accanto.

«Vedete, io stavo andando a un appuntamento quando… ma in effetti… Cristo se è tardi! E con questo inconveniente…» Per Hanan’el, se solo avessi preso quel tram! Infine, ragionò Tobia.

Il poliziotto toccò la spalla del collega alla guida e chiese a Tobia: «Luogo del suo appuntamento?»

«Piazza del Duomo» esclamò Tobia con un tono che accludeva la domanda: mi ci portereste?

«Anto’, un cittadino ha un’emergenza!» Confermò al collega al volante che, senza aggiungere altro, accese lampeggianti e sirena e invertì la marcia con un gran stridore di gomme.

Non sto a dirvi come possa essere compiere un tragitto su un’auto che romba a tutto spiano nel traffico cittadino, zigzagando tra auto, pedoni, biciclette… Tobia era aggrappato alla maniglia della portiera e di tanto in tanto si voltava per vedere lo sguardo tranquillo dell’uomo accanto a lui, un po’ come capita di fare con le hostess sugli aerei quando c’è turbolenza; chiedendosi come facesse, in quel trambusto, a prendere appunti sul taccuino. Serafico, l’agente stava abbozzando il mio verbale, ma a modo suo.

L’Alfetta e il suo pilota, avevano compiuto un miracolo, quando raggiunse il luogo convenuto, Tobia aveva addirittura un minuto di anticipo. Si profuse in ringraziamenti, scodinzolando agli agenti.

Tuttavia, di Isotta non c’era traccia.

Tobia fu assalito da un’idea macchinosa e perversa: lui avrebbe dovuto arrivare in anticipo, ma, essendo arrivato in orario, lei se n’era già andata, considerandolo in ritardo sull’anticipo…

Ci ripensò. No, non è possibile, si disse, in fondo lei non può essere così…

Così stronza, suggerii io.

Poi, il buon Tobia ebbe un pensiero illuminante: una volta tanto, è in ritardo lei!

Sta di fatto che si sedette su un gradino del sagrato e aspettò.

E aspettò…

Nel luogo d’appuntamento per antonomasia, Tobia guardava una coppia nelle vicinanze incontrarsi, baciarsi e allontanarsi insieme tenendosi per mano. Poi un’altra, e altre ancora.

Ogni tanto si alzava, sgranchiva le gambe, con pochi passi per non allontanarsi, e subito dopo tornava a sedersi sul suo gradino.

Attese tanto, che io mi ero anche un po’ stufato, gli dissi: oh, ma hai visto che ore sono?

Rimase lì quattro ore o più, Tobia. E delle coppie che aveva veduto lì salutarsi aveva ormai perso il conto. Ognuno di quei baci era uno schiaffo, che ormai il viso gli bruciava.

La sua mente esplorò tutte le possibilità del ritardo, dall’alto della sua esperienza, ma forse più per stanchezza che per logica, lo scoramento ebbe la meglio e il suo pensiero divenne cinico.

Non è in ritardo: non è mai partita, si disse alzandosi dolorante dal gradino, voleva che patissi anch’io l’attesa, aggiunse trascinando i piedi sulla pavimentazione della piazza, aveva già deciso di chiudere, ma invece di dirmelo… concluse, con la cattedrale ormai alle spalle.

Dato il mestiere che faccio, mica posso commuovermi per ciò che vado narrando. Non lo farò.

***

Da quando suonò la sveglia, che la vecchia Bialetti stava fischiando, era passato un giorno. Un giorno come un altro, dove quel maledetto succedersi degli eventi, che qualcheduno ritiene preordinato, necessario e indipendente dalle finalità umane…

Non si videro né sentirono più.

Fine della storia.

Be’, che c’è? Eh dai, non vorrete davvero che vi dica cosa era successo a Isotta? No, non ve lo dico.

Oh, be’, vedremo, se fate i bravi…

Continua...

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