Eliah Blackthorne

Serie: Buio al tramonto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Nick conclude in fretta e furia la redazione del bilancio, troncando la sua ricerca sul passato di Eliah Blackthorne...

Capitolo 1 


3


George lo attendeva nell’atrio. Nick lo sorprese nell’atto di adocchiare l’orologio, segno che era passato più tempo di quanto si aspettasse.

“Ma quanto ci hai messo?” disse strappandogli i fogli dalle mani e poi, alla segretaria: “Metta delle caraffe d’acqua in sala conferenze.”

Lei annuì, guardandolo negli occhi e sorridendo. Era evidente che si stesse trattenendo dall’ammiccare. George le si avvicinò; Nick scorse un piccolo movimento del braccio che interpretò come il principio di un’intenzione ben più consistente, probabilmente la stessa di lei. In quel momento ebbe la certezza che, quando erano soli in studio, lei non lo chiamasse “Signor Robertson”. Tralasciando il resto. Nick sorrise, pensando a sua madre nell’abito formale grigio.

“Hai dato un’occhiata al patrimonio?” chiese George adocchiando la segretaria che si allontanava.

“Sì…” mentì lui. Non aveva la più vaga alba della situazione patrimoniale di quella società. Avvertì il freddo dipanarsi nel suo addome, mentre immaginava possibili esiti disastrosi dell’incontro.

“Papà” disse. “Posso dare un’occhiata al bilancio? Volevo controllare un paio di cose.”

Lui annuì e gli porse i pacchetto di fogli. Fece per spostarsi nella sala riunioni, ma indugiò un istante, quindi si fermò, assumendo un’espressione che mai Nick ricordava di avergli visto sul volto. A dire il vero, notò molti particolari di quel viso. Il naso adunco, la fronte solcata da rughe profonde, le fossette attorno al naso che gli scendevano fino agli angoli delle labbra. Il collo arrossato per la quotidiana, maniacale rasatura, stretto dal colletto della camicia bianca. Gli occhi spalancati ma che tradivano uno stress difficile da sopportare. Si chiese se si drogava, e si sentì a disagio nel scoprire che non riusciva a rispondere no con sufficiente certezza. Sul capo, i ciuffi di capelli ingrigiti avevano l’aria dell’erbaccia che cresce nei campi ormai sterili. Ricordò una fotografia di lui e sua madre risalente a prima del matrimonio. Erano su una spiaggia in California, lui in boxer da bagno. I muscoli del petto e delle braccia risaltavano evidenziando rigonfiamenti sotto la pelle abbronzata. In testa, una chioma di capelli neri foltissimi, spettinati dalla brezza marina.

Per un momento, Nick non vide un contabile di prestigio che aveva fatto fortuna gestendo le operazioni delle più grandi aziende di Chicago. Vide suo padre. Certo, era fatto alla sua maniera; fin troppo razionale, e con un’idea ben inquadrata – forse addirittura convenzionale – di come dovrebbe comportarsi un figlio; ma pur sempre un padre.

“Nicholas.”

“Dimmi, papà.”

“Che intendiamo fare?”

Nick indugiò prima di rispondere. Sapeva benissimo a cosa alludeva suo padre con quella domanda, eppure quel plurale gli faceva sperare che nelle sue intenzioni ci fosse altro. Forse la volontà di capirlo.

“Li conosci i miei progetti.”

George emanò un lungo sospiro, massaggiandosi le palpebre con i polpastrelli delle dita. “Hai una grande fortuna, Nicholas…”

“Papà” lo interruppe lui. “Non hai idea di quanto ti sia grato per tutto quello che hai fatto, e che avresti intenzione di fare… ma io so cosa voglio e cosa no. Ho scritto un romanzo. E ho trovato un editore interessato, probabilmente lo sta leggendo proprio ora -”

“Basta”. Lo sguardo bonario era sparito dagli occhi di George. Nick avvertì un peso crescere nello stomaco. Si sentì un ingenuo, e mentre gli mancava il fiato maledisse la sua stupidità.

“Sbrigati, saranno qui a breve. E dannazione, mettiti la camicia nei pantaloni.”

* * *

I membri del consiglio direttivo arrivarono puntuali. La signorina Parker li annunciò a George, il quale li accolse.

Si strinsero le mani, in un momento di convivialità da manuale, con tanto di sorrisi di circostanza e frasi preconfezionate. Nel presentarsi, Nick dovette gestire un impellente senso di nausea, che imputò all’agitazione. Sentiva sulla pelle il peso di tantissimi occhi, e gli venne da chiedersi se prima di lasciare casa si fosse lavato i denti. Avvertiva un sapore in bocca, come di pesce andato a male. Non ebbe molto tempo per pensarci su; a pochi metri da lui c’era Eliah Blackthorne, che riconobbe tra gli altri soci senza alcuna fatica.

A prima vista non gli diede l’impressione di un uomo, bensì di una figura; due metri di abito nero tenuto in piedi da ossa spigolose, un volto funereo coperto dall’ombra di un cappello nero dalle lunghe tese. E uno sguardo talmente intenso da penetrare nella roccia.

Nick si affrettò a stringere le mani dei soci più giovani, abbozzando un finto sorriso che ormai sfoggiava con una certa disinvoltura. Per ultimo salutò Blackthorne. Nell’atto di convenzione, Nick abbassò per un istante lo sguardo sulla mano del vecchio, e vedendola stretta alla sua la sensazione di nausea ebbe un’impennata. Doveva essere per via dello stato di salute di quell’uomo, evidentemente precario; come se avesse potuto trasmettergli qualche orrenda malattia. Dovette sforzarsi per non ritrarre la mano, anche se per qualche motivo era convinto che non ci sarebbe riuscito comunque.

Non te lo permetterebbe.

A quel pensiero, gli venne spontaneo alzare lo sguardo. Quando i suoi occhi incontrarono quelli del vecchio, fu come se una lancia gli si fosse conficcata nel cranio all’altezza della fronte. Una fitta che gli fece digrignare i denti

“Non mordo, ragazzo.”

Nick sorrise, fingendo, e attese la risata dei presenti, più che mai intenzionato a usarla come pretesto per allontanarsi da quell’uomo. Ma gli altri soci erano tutti impegnati in una conversazione con suo padre. Il vecchio continuava a guardarlo, un sorriso tagliente sulle labbra, come se riuscisse a percepire il suo disagio. Alla fine fu Blackthorne a separarsi per primo, per raggiungere il contabile che avrebbe gestito le sue questioni patrimoniali, e che ancora non aveva salutato.

Nick rimase impalato, fissando gli uomini in giacca e cravatta entrare uno dopo l’altro nella sala, scambiando battute con suo padre. Blackthorne fu l’ultimo e, prima di entrare, indugiò un istante sulla soglia della sala riunioni, voltandosi a guardarlo.

“Le scritture di assestamento” disse Eliah.

Avvertì qualcosa di caldo e bagnato impregnargli la camicia sotto alle ascelle. Di colpo il colletto della camicia divenne troppo stretto. Nella fretta di concludere il lavoro, aveva tralasciato le scritture di assestamento. Il bilancio era incompleto.

Il suo ultimo pensiero, prima che la spirale del panico iniziasse a sottrargli ossigeno dal polmoni e dal cervello, era che gli sembrava che Blackthorne, nel parlare, non aveva aperto bocca.

Continua...

Serie: Buio al tramonto


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Ciao Nicola, ritrovo il protagonista della storia qui alle prese con il suo conflitto: doversi immergere in una situazione che non gli appartiene, quella lavorativa, con un padre per il quale non sembra nutrire particolare affetto, forse proprio perché lo identifica in quel mestiere così legato all’avidità, al denaro… Il misterioso Blackthorne, benché appaia minaccioso, mi sembrerebbe stare dalla sua parte, ossia essere proprio colui che lo sprona a mollare ciò che non è nelle sue corde, per inseguire davvero il suo sogno e dedicarsi a ciò che ama. Certamente in un modo poco amorevolo o ortodosso… Grazie per la lettura

  2. Ho bisogno di leggere almeno un’altra puntata per poter commentare a ragion veduta. Per ora mi sembra che il conflitto padre-figlio vada acuendosi, e forse il lapsus relativo al bilancio ne è una spia. La figura de Eliah è minacciosa e perturbante quanto basta per farne un momento di svolta. Ma vedrò il seguito.