Eredità – parte 2
Serie: Una città di perdenti
- Episodio 1: Compiti
- Episodio 2: Presenza
- Episodio 3: Nella pietra
- Episodio 4: Eredità – parte 1
- Episodio 5: Eredità – parte 2
STAGIONE 1
«Secondo te perché l’hanno messo lì?» aveva domandato Mary, sdraiata sopra le coperte con le mani intrecciate in grembo e lo sguardo rivolto al soffitto.
«Piantala Mary» aveva risposto il padre dal bagno della camera. La voce di Letho era arrivata attutita dalla porta socchiusa, disturbata dal tintinnio degli accessori estratti dal beauty, sistemati nel bicchiere e sulla mensola sopra al lavandino.
«Magari doveva essere solo una soluzione momentanea. Avranno detto “Lo fissiamo qua sopra intanto che arriva l’armadio grande”. Poi l’armadio grande non è più arrivato e se lo sono dimenticato lì.»
«Divertente Mary. Potrebbero assegnarti una particina in “Diff’rent Strokes”. Qualcosa di poco impegnativo, fintanto che non ricomincia la scuola.»
«Oppure serve per controllare se ti sei lavato bene i denti prima di addormentarti. Così non devi tornare a specchiarti in bagno.»
«Senti, ormai abbiamo pagato, ok? Facciamocelo andare bene, non avevo idea che fosse quel genere di motel.»
«Perché papà, quale genere di motel sarebbe?» aveva risposto provocatoria Mary, tirandosi su a sedere con le gambe oltre il bordo del letto, rivolta alla porta del bagno.
«Hai vinto, domani da dormire lo scegli tu. Adesso preparati così ci cerchiamo un ristorante.»
«Sono già pronta così. Non credo che incontrerò il mio principe azzurro a Millington. Non finché mi vedono cenare con te, almeno.»
Mary aveva optato per un locale di cucina asiatica trovato all’incrocio fra la Navy Road e Church Street, il Liu Pin Chinese Restaurant, il cui arredamento di dubbio gusto visibile dall’esterno aveva fatto storcere il naso a Letho su quello che probabilmente avrebbero mangiato. Ma al primo, debole tentativo di obiezione Mary gli aveva rinfrescato la promessa fatta nel parcheggio del motel, su chi avrebbe scelto dove cenare.
Dietro quell’osservazione Letho non aveva potuto che ammutolire, salvo sospettare dentro di sé che la figlia avesse puntato quel locale mossa dal desiderio di vendicarsi per la scelta dell’alloggio. Con tutti i ristoranti che servivano carne in città, perché andare ad infilarsi in un posto dove ti mettevano nel piatto grilli fritti e meduse in pastella?
Ma, naturalmente, avrebbe ingoiato una scarpa piuttosto che esternare il proprio pensiero. Così, una volta davanti al ristorante Letho aveva tenuta aperta per la figlia la porta d’ingresso e l’aveva invitata ad entrare come un perfetto gentiluomo.
«Dopo di lei, madamigella.»
«La ringrazio mio cavaliere, ma non crediate con questo che sarò indulgente sulle ordinazioni.»
In realtà, il pasto aveva superato ogni sua più rosea aspettativa. Il menù non aveva fatto menzione né di teste di scimmia fritte né di scarabei al vapore (almeno non nella versione inglese), elencando bensì una varietà di spaghetti in salse assortite, carne di maiale in agrodolce, verdure alla piastra e gelati dai nomi esotici ma inoffensivi.
Persino il conto si era rivelato abbordabile, nonostante Mary si fosse impegnata a non farsi mancare nulla. Fermarsi fuori dai grossi centri aveva ancora i suoi vantaggi.
Quando erano usciti e si erano ritrovati sul marciapiede fuori dal ristorante, la notte era calata del tutto sulla città già mezza addormentata, lasciando ai lampioni il compito di illuminare di giallo la strada e gli edifici in mattoni della parte vecchia del paese.
Letho aveva estratto un pacchetto stropicciato di Chesterfield dalla tasca dei pantaloni e se n’era accesa una, ricordando con una punta di sollievo ma anche un pizzico di nostalgia quando ancora la figlia lo rimproverava le prime volte in cui lo aveva rivisto fumare.
«Ti va se facciamo il giro lungo?» aveva chiesto Letho gesticolando con la mano in direzione degli isolati davanti a loro.
«Come vuoi. Ma sei sicuro che non ci perderemo? Voglio dire, in mezzo a tutto questo casino…»
«È per questo che me la sono accesa» aveva detto Letho accennando alla sigaretta, «così lasciamo le tracce di cenere e possiamo ritrovare la strada.»
«Ingegnoso.»
Per un po’ avevano camminato in silenzio, assorbiti dalla tranquillità di una Main Street qualunque di un paese qualunque, le panchine vuote che davano le spalle ad un paio di locali ancora aperti più per ostinazione che per necessità, i lampeggianti di un’auto della polizia diffondere riflessi blu sull’asfalto in lontananza, per poi sparire dietro ad un caseggiato distante più delle loro buone intenzioni.
«Mi manca un po’ Rusty, sai?» aveva confessato Letho accompagnato dal frinire delle cicale assiepate sugli alberi ai bordi della strada.
«Continuo a dire che avremmo dovuto portarlo con noi» aveva risposto Mary senza traccia di rimprovero nella voce.
«Lo so, ma ci sono ancora posti in cui i cani non sono i benvenuti…»
«Trogloditi.»
«… già, e non sono sicuro che a Graceland lo avrebbero fatto entrare. Ti immagini se avesse lasciato un regalino sul tappeto del salotto di Elvis?»
«Una nota di colore.»
«E poi con il cucciolo di Liz vanno d’accordo, no? Ricordami, come si chiama?»
«Zeus.»
«Zeus, giusto. Sono stati gentili Ed e Doreen ad offrirsi di tenerlo, dobbiamo portargli un souvenir o qualcosa del genere.»
«Sono sicura che in posto come quello i gadget non mancheranno.»
«Già. Con Liz va sempre tutto bene, sì?»
«Oh sì, tutto alla grande.»
«E tu? Tu come vai?»
«In che senso?»
«Non so. È che ti vedo un po’ distratta ultimamente. Come dire… distante. Lo sai che se hai qualche pensiero il tuo papone c’è sempre, giusto?»
«Cosa ne pensavano i tuoi amici della mamma?» chiese Mary dal nulla. «Intendo dire quando l’hai conosciuta.»
«I miei amici? Se devo dirtela tutta secondo me erano un po’ invidiosi. Tua madre era…»
«… la ragazza più carina che avessi mai incontrato, lo so. Ma ci andavano d’accordo?»
«Beh, non aveva un carattere facile, sai anche questo. Però, insomma, sì. Era la mia ragazza, a loro bastava questo.»
«Siete fortunati voi maschi. Fra di voi è più facile. D’altronde siete anche organismi primitivi.»
«Soprassiederò sulla tua affermazione e passerò alla domanda: c’è un motivo se me lo stai chiedendo? Ha forse a che fare con Liz?»
«Forse. Come l’hai capito?»
«Mah, non so. L’intuito, la saggezza. E come si chiama questo nuovo fidanzato di Liz?»
«Ecco papà… mi sa che stavolta l’intuito l’hai lasciato a Looser con Rusty.»
Serie: Una città di perdenti
- Episodio 1: Compiti
- Episodio 2: Presenza
- Episodio 3: Nella pietra
- Episodio 4: Eredità – parte 1
- Episodio 5: Eredità – parte 2
Ah, l’intuito dei genitori, soprattutto dei padri, va sempre nella direzione sbagliata. Bel quadretto familiare, Letho è un gran padre e anche Mary, a quell’età complicata, non è male. Deliziosi i dialoghi.
Grazie della lettura e del commento Giuseppe.
Ciao Roberto, il dialogo tra padre e figlia è il cuore pulsante di questo episodi. Un episodio che affida alla quotidianità, all’ironia, ai dettagli minimi il compito di raccontare un legame che, nella sua normale imperfezione, è profondamente vero. Oggi però mi ha colpito come hai caratterizzato il personaggio di Letho. Non il padre perfetto, ma quello che cerca, che prova, che sbaglia e ci riprova. Fuma, cerca di tenere il controllo, ma alla fine cede, perché ciò che gli importa è stare accanto a Mary. Bravo.
Che bello questo tuo commento, che tu abbia notato tutte queste cose. Sono lusingato. Grazie Tiziana, davvero.