Eredità – parte 3
Serie: Una città di perdenti
- Episodio 1: Compiti
- Episodio 2: Presenza
- Episodio 3: Nella pietra
- Episodio 4: Eredità – parte 1
- Episodio 5: Eredità – parte 2
- Episodio 6: Eredità – parte 3
STAGIONE 1
«Guarda che l’ho notata» avevo detto Mary guardando davanti a sé dopo avere rivolto un’occhiata furtiva al padre.
«Che cosa?»
«La tua faccia. Ti sembra così strano che io possa avere un ragazzo?»
«Assolutamente no» aveva risposto Letho gettando con una schicchera il mozzicone di sigaretta. «È solo che non me ne avevi mai parlato. E di solito delle cose importanti parliamo sempre. Tutto qui.»
«Ad ogni modo non è il mio ragazzo. È solo uno… boh, che mi piace.»
«Come si chiama questo uno? Se posso chiedere.»
«Adam.»
«Però a Liz Adam non piace.»
«Eh già.»
«Ti ha detto anche il perché?»
Mary aveva scrollato le spalle. «Dice che è una questione epidermica.»
«Parla un po’ più semplice. Io non leggo tutti i libri che leggi tu.»
«Vedi? Dovresti. Dice che una questione di pelle, nel senso che non c’è una ragione…»
«Avevo capito, grazie.»
«Ma secondo me è solo una scusa. La verità è che non le piace perché non viene da una famiglia come la sua. Anche se non lo ammetterebbe mai.»
«Mmh. Però sarebbe strano.» Poi Letho aveva inviato Mary a seguirlo. «Vieni, tagliamo di qua.»
«Perché? Liz non può dire idiozie?»
«Non sto dicendo questo. Dico solo che non mi sembra coerente per come la conosco io. Prendi me ad esempio: io ho un’autofficina, faccio il meccanico. Grazie al Cielo il lavoro non manca ma quello che guadagno io non è certo paragonabile a quello che guadagnano i suoi genitori. Eppure non mi sembra che si sia fatta dei problemi ad essere amica tua.»
Mary era rimasta in silenzio per una manciata di secondi, poi si era voltata verso il padre con in volto un’espressione sorpresa, una di quelle che lasciano spazio ad un’apertura. «Già. A questo non ci avevo pensato.»
«Visto? E senza leggere libri…»
Letho aveva proseguito nella sua camminata disinvolta con le mani affondate nelle tasche, dando l’impressione che quella fosse la centesima volta che percorreva quella strada. Poi aveva inspirato una boccata dell’aria secca della sera e aveva aggiunto:
«Secondo me è solo spaventata.»
«Spaventata di cosa?»
«Di perderti.»
«Perché dovrebbe perdermi?» aveva chiesto Mary, conoscendo già la risposta.
«Perché se hai un ragazzo, il tempo che passi con lui lo sottrai a qualcun altro. È inevitabile.»
«Ma questo mica vuol dire che non saremmo più amiche.»
«Lo so. Ma non è a me che devi spiegarlo. Le paure a volte sono irrazionali. O meglio, una ragione ce l’hanno, ma non la capiamo. Tocca a te fare in modo di rassicurarla.»
Tutt’assieme era stato evidente per entrambi quanto il silenzio che li aveva accompagnati sino a quel momento fosse evaporato per lasciare spazio al rumore di sottofondo, ancora lontano ma inequivocabile, delle auto provenienti da nord e da sud che si incrociavano lungo la Statale 51. Era successo così, senza preavviso. Come quando hai 17 anni e stai camminando con lo sguardo basso e pensieroso in direzione di quel che non sai che ti sta aspettando, e ad un certo punto ritorni in te, ti guardi intorno e ti accorgi che di anni ne hai 60, e ti chiedi come sia potuto accadere.
«Questo Adam è un ragazzo che hai conosciuto a scuola?» aveva chiesto Letho con l’intento di lasciare che il seme piantato attecchisse nella mente fertile della figlia, riportando volutamente la conversazione ad un livello più superficiale.
«Sì, deve iniziare anche lui l’ultimo anno.»
«I suoi genitori li conosco?»
«Papà, per piacere, non farmi pentire di avertene parlato» aveva risposto Mary sospirando sommessamente.
«Sto solo chiedendo, non mi sembra ci sia niente di male» si era difeso Letho.
«Lo so perfettamente dove ci stiamo infilando. È l’inizio di un interrogatorio mascherato da chiacchierata.»
«Non c’è nessun interrogatorio. Era una semplice curiosità. In fondo ti ho appena regalato delle perle di saggezza inestimabili, avrò diritto ad una ricompensa.»
«Non lo so se li conosci. Di cognome fa Retter. Credo che suo padre lavori alle acciaierie, la madre non so. Ti basta?»
«Mmh. Mi dice qualcosa. Quando torniamo a casa do un’occhiata nel registro dei clienti. Magari gli do un colpo di telefono e gli faccio qualche domanda…»
«Papà!»
«Sto scherzando, sto scherzando». Letho aveva tirato a sé Mary, abbracciandola per le spalle. «Allora domani dobbiamo ricordarci di prendere due souvenir. Uno per i Reilly e uno per il giovane Retter.»
«Papà, non so come dirtelo ma non credo che gli interessino un paio di occhialoni del Re. Ho paura che ci siate rimasti in pochi ad ascoltarlo.»
«Mi stai prendendo in giro? Tutti amano Elvis! È tipo un…»
«… un monumento nazionale, me l’hai già detto. Ma credo che dovrai fartene una ragione, il mondo va avanti e la musica cambia. Anche questa storia di Graceland, quel posto ha appena aperto e ha già i giorni contati. Tra un paio d’anni, quando si accorgeranno che non ci va più nessuno, sprangheranno l’ingresso e diventerà una casa di fantasmi, nel prato davanti a casa ci verrà una colonia di gatti e alla fine butteranno giù tutto per farci un parcheggio.»
«Dio mio Mary, avete tutti una visione così cupa del futuro voi ragazzi?»
«Vedrai quello che ti dico.»
Ora il rumore della Statale era diventato un accompagnamento sempre più evidente, e Letho aveva dovuto augurarsi che Mary fosse stanca a sufficienza da crollare addormentata non appena si fosse coricata, senza che il traffico le impedisse il sonno, altrimenti l’indomani non avrebbe perso occasione di aggrapparsi ad ogni pretesto per lamentarsi della notte trascorsa.
Erano arrivati al complesso del motel attraverso il vialetto che dava sul retro. Quando avevano svoltato a sinistra ritrovandosi sotto la tettoia a protezione delle porte d’ingresso, una coppia di mezza età seduta fuori da una delle camere su un paio di sedie da campeggio li aveva guardati mentre erano passati loro davanti. Il marito aveva accennato ad un sorriso e alzato in segno di saluto una lattina di birra.
Mary aveva soffocato una risata mentre il padre armeggiava con la chiave della porta.
«Che c’è?» aveva chiesto Letho facendo ruotare la serratura.
«Niente. Avranno pensato che stasera hai fatto conquiste.»
«Mary! Per cortesia!»
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Davvero una bella passeggiata, fatta di buona conversazione, intimità, complicità, ma anche scontro generazionale e scambio di idee.
A volte ho l’impressione che i due abbiano la stessa età, ma questo mi capita anche di provarlo con i miei figli. A volte sono loro a impressionarmi per la maturità che sanno dimostrare in determinate occasioni, altre volte invece mi stupisco di quanto io possa ancora avere voglia di giocare e scherzare, forse più di quando avevo la loro stessa età.
Leggendo, mi sono ‘sentita’ molto Letho 😀
“una schicchera”
Non sapevo che questo gesto avesse un nome!
Ormai sarai annoiato dai miei commenti, pazienza. Ci sono queste righe che quasi mi commuovono: “Come quando hai 17 anni e stai camminando con lo sguardo basso e pensieroso in direzione di quel che non sai che ti sta aspettando, e ad un certo punto ritorni in te, ti guardi intorno e ti accorgi che di anni ne hai 60, e ti chiedi come sia potuto accadere.” Mi sembra di aver letto, in passato, che non ami molto la poesia, ma la usi benissimo e tutti i tuoi racconti ne sono pieni. Certo, non è poesia in versi, ma cambia poco e io mi gongolo nel leggerti. Ottimi dialoghi, bei personaggi, belle considerazioni… forma perfetta. Evito di dirti bravo che tanto lo sai. Un abbraccio!
Ciao Roberto, altro stralcio di conversazione fantastico. Letho sa quali tasti toccare con la figlia e Mary si fida di lui. La complicità tra di loro è evidente e fa bene al cuore e la solita spolverata di ironia rende ancora più gradevole “ascoltarli”. Bravissimo!
Interessante racconto, ho notato tematiche sociali molto attuali. Complimenti