
FENOMENOLOGIA DELL’ATTESA
La luce irrompe dalla finestra, colpisce il pavimento e schizza via.
Non può mai fermarsi, eppure sembra immobile.
È come un’onda che passa sulle cose, spingendole a vibrare, a piegarsi, a ondeggiare con una violenza che simula la staticità. Eccola di nuovo: quell’intrusa incandescente, liscia falce d’oro, dritta nella mia carne incerata; linfa antica che ricolma le fessure, irradia memorie di passi, tacchi, ginocchia sbucciate di bambini. Mi trapassa, e io non grido. Assorbo. Prima calda, poi fredda, poi nulla. Ombra.
Eccola, ancora, lenta si stiracchia come un gatto sull’ultimo sonno del giorno.
Mi lecca, mi chiama a esistere.
Fremo sotto un passo, il passo di qualcuno che lascia dietro di sé l’impronta di un suono, come un ricordo sospeso nell’aria.
La porta si apre con un lamento greve, deciso. La maniglia sembra piegata dal tocco di una mano che la stringe come fosse salvezza.
Sono linea, sono soglia, un’astrazione che separa. Sono barriera all’inaccessibilità. Sua negazione. Dunque sua origine. Aperta, chiusa, accostata: tre livelli, due cardini, una chiave. Scricchiolo. Sono un’eventualità. Commessura di due pienezze. L’esasperazione dell’esistere: sono il cambiamento. Ma nessuno mi vive. Nessuno conta le volte in cui respiro.
La luce che da me s’insinua è diversa: debole, mortifera.
Si riflette nello specchio, un piccolo specchio da parete, tondo come una pozzanghera.
La mia carne tagliente è nudità assoluta. Ogni vedermi è un usarmi, un imprimersi di bugia, scritta col rossetto. Sono pornografia casta: occhi, denti, mani – frammenti di corpi senza volontà. Copia labirintica, smarrente, sono la pelle senza pelle, lo scarto dell’analogia. L’alterità che risulta dal coincidere.
Io grido e tu sorridi. Ti odio e tu mi ami.
Nel silenzio che replico, c’è un bicchiere riverso sul tavolo, il rumore del suo lento svuotarsi è un’emorragia che sento dentro di me.
Sono un vuoto che urla, una forma scolpita per la vacuità. La pienezza è il mio stato effimero, un modo antitetico di ricordarmi che esisto: il senso ultimo della mia funzione contenitiva.
L’acqua scivola lungo il piano del tavolo: si agglutina, ramifica, indugia nelle impurità, anche se nessuno la vede. Alla disperata ricerca di un contorno, di un limite che mi plasmi. Il mio inferno è il fuori. La libertà è una forma che m’imprigioni. La pura essenza è incompletezza, un non esistere senza il resto del mondo. Sono la tangibilità dell’assenza, il diluente perfetto: non altero, non snaturo, eppure, più mi accumulo, più cancello, sino a divenire completamente me stessa.
Poco più in là, il libro giace aperto. La pagina è appena stata sfogliata, eppure nessuno l’ha letta davvero. La sua esistenza è quella di chi aspetta sempre.
Sono esibizione, vulnerabilità scolpita nella materia: alla mercé delle dita, degli occhi, dei giudizi silenziosi. Sono l’avamposto della mente di qualcun altro, il suo messaggio nella bottiglia, la sua parola sospesa sull’abisso del silenzio.
Nel corridoio, le vecchie scarpe slabbrate, lasciate lì, come se non avessero più un cammino da seguire, sembrano urlare il loro dolore. Due carcasse simmetriche abbandonate sotto a una panca. Relitti di passi, macerie di corse finite male, impresse nel cuoio crepato dal sole.
Ogni parte di noi è bocca, grido, parola. Eppure conversiamo in silenzio.
La polvere è un velo omogeneo che ricopre ogni cosa, come un segreto che nessuno vuol rivelare.
Vengo da un altro tempo, da un altro spazio. Non sono mai stata invitata, eppure ho sempre trovato alloggio. Democratica, riverente: amo il lusso come la miseria. Esisto nell’attesa, perché non passo mai davvero. Sono la somma infinitesimale di tutto ciò che è stato; la cecità di chi non vuol vedere.
Gradini lontani, sotto al peso di piedi, scricchiolano. La loro voce è un respiro rauco, che non si può fermare.
La nostra staticità è movimento costante. Noi siamo il persistere; la forma che conduce, che eleva. L’eterna lotta contro l’orizzontalità del mondo.
Il cane alza la testa, scrutando il silenzio: sente un rumore di passi. Il suo respiro si fa più profondo, il cuore batte forte.
C’è un tempo dentro il tempo: si chiama attesa. Si annida in ogni fibra del mio corpo, un corpo abitato dall’assenza: l’assenza del mio centro del mondo. Ora che quel suono, IL suono, fa vibrare ogni mia cellula, capisco che l’attesa è più forte di qualsiasi presenza. Più forte anche dell’amore. Il senso stesso delle cose, la ragione delle forme. Tutto è corpo dell’attesa. Quei passi non sono rumore, ma certezza. Saprei riconoscerli fra milioni. E ora il tempo collassa in un attimo che è odore. Lo sento tornare. La porta è ancora chiusa, ma io già lo sento.
La soglia però non si apre. Il cane abbassa le orecchie e si accuccia di nuovo: il suono è cessato.
La stanza torna silenziosa, come se avesse assorbito il più grande dei frastuoni.
Il vuoto che delimito riassume tutti i gradi dell’accoglienza. Lo spazio è un effetto collaterale della geometria: nessuno afferra l’importanza della concavità.
Il mio esistere è gestazione: ciò che mi abita è parte di me; ogni coscienza che ospito, un battito del mio cuore.
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Meravigliosa la precisione “chirurgica” con la quale hai costruito ogni singola frase. Ho avuto la sensazione di un racconto costruito per sottrazione, un disegno dove tracci le linee geometriche del pieno ma in realtà ci stai mostrando la consistenza di un vuoto che insieme all’attesa diventa il protagonista. “L’importanza della concavità” credo sia il passaggio chiave.
Ciao Irene! Grazie mille della lettura🙏🏻 Hai dato un’interpretazione perfetta di ciò che volevo rendere. Volevo esprimere il vuoto; la coscienza di ciò che – per noi – non ha coscienza; la potenzialità degli spazi 🤗
Bello questo esperimento! Fantastico, molto forte.
Sei un po’ come il bartender allegramente divertito, mentre prepara il cocktail: sa già cosa scatenerà all’ignaro lettore, e si augura di lasciarlo più libero possibile a godersene i fumi. È sempre un piacere poter passeggiare tra i tuoi mondi
Ciao Loris! Grazie mille!🙏🏻 È bello risentirti!😊
Il mio commento sarà sicuramente strano, ma mi auguro che non venga non mal interpretato. 🙀
Ci sono stati un paio di passaggi per cui il mio cervello ha collegato questo testo ad una prostituta che attende uno dei clienti e non -solo- per l’attesa intesa come -non- azione.
“Fremo sotto un passo, […] sospeso nell’aria”. L’ho associato al momento in cui il cliente se ne va e il ricordo di lei va scemando.
“L’esasperazione dell’esistere: sono il cambiamento. Ma nessuno mi vive. Nessuno conta le volte in cui respiro”, e ancora “Sono pornografia casta: […] lo scarto dell’analogia.” La sensazione di abbandono e solitudine che potrebbe provare lei una volta che rimane da sola e la dissociazione che ne consegue per evitare la dura realtà.
Potrei continuare, ma citerò solo un ultimo passaggio: “ogni coscienza che ospito, un battito del mio cuore”. In lei rimane traccia di ogni uomo che è stato con lei, in quella stanza.
Pazzesco! Potrebbe avere tutto senso… e invece non lo avevo assolutamente immaginato così😂 La mia intenzione era di far parlare le cose (anche il cane), senza che si palesasse alcuna presenza umana. Certo, la fotografia è ingannevole😏. Però sono felice che la storia abbia suscitato pensieri e interpretazioni🤗
Penna potente la tua, Nicholas. Fa emergere ciò che descrive come la luce. Complimenti.
Ciao Guglielmo! Grazie mille per la lettura!🙏🏻
Ciao Nicholas è sempre un piacere leggere i tuoi brani. Questo si distingue, non solo per il retrogusto gotico, ma per l’intensità lirica, e la profondità concettuale. Oggetti, spazi e fenomeni naturali diventano protagonisti di una riflessione esistenziale sul tempo, sull’attesa e sull’identità. Hai una scrittura matura, capace di trasformare il quotidiano in esperienza sensibile e profonda. Ogni frase è costruita con cura, e restituisce al lettore non solo immagini vivide, ma anche domande silenziose e persistenti. É un testo potente e suggestivo. Complimenti!
Ciao Tiziana! Ti ringrazio tantissimo per la lettura e per le bellissime parole di questo commento🙏🏻 Per me è importante che il testo agisca “dopo” (un po’ come le medicine😆) e le tue parole mi regalano una grande soddisfazione.
“Poco più in là, il libro giace aperto. La pagina è appena stata sfogliata, eppure nessuno l’ha letta davvero. La sua esistenza è quella di chi aspetta sempre.”
Questa metafora è stupenda👏
🙏🏻
Non vorrei ripetermi, ma tutto ciò che posso dirti è che ogni volta rimango affascinata dai tuoi testi. Bravo Nicholas!
Ciao Arianna! Grazie mille!🙏🏻🤗
Ciao Nicholas, questo testo è forse uno dei tuoi esperimenti più complessi. Il risultato è affascinante, c’è della musicalità come ha scritto Maria Luisa e alcune frasi sono molto potenti. Trovo molto originale l’idea.
Ciao Melania! Grazie mille per la lettura!🙏🏻 Sapere di questa musicalità – per me inaspettata – è una bellissima sorpresa, dato che mi sono sempre considerato negato per la poesia😅 Grazie ancora, Melania!
Caro Nicholas, ogni volta leggerti è una sorpresa. Non so dove comincio e nemmeno dove arriverò. Il tuo è un testo lirico e densamente poetico, che trasforma oggetti e spazi in soggetti senzienti e narranti, capaci di incarnare emozioni e stati dell’essere. La luce, la soglia, lo specchio, l’acqua, la polvere: tutto diventa metafora viva dell’attesa, una tensione esistenziale che permea ogni superficie. Il linguaggio è ricercato, immaginifico, visionario, in bilico tra prosa e poesia in un ritmo ipnotico, come fosse oramai quasi un tuo ‘marchio di fabbrica’. Più che di un racconto, si tratta, a mio avviso, di una riflessione profonda sull’essere e sul vuoto, sulla soglia tra ciò che si aspetta e ciò che non arriva mai davvero. Bellissimo.
Ciao Cristiana! Che dire? Credo che questo magnifico commento sia riuscito a cogliere tutto ciò che volevo esprimere col racconto. Ti ringrazio (come sempre) per la lettura e per l’attenzione che sai dare a ciascun dettaglio🙏🏻 Un grande saluto, Cristiana!😊
Potresti, per esempio, dire che tornerai anche a scrivere della nonna, così…Come una specie di regalo ogni tanto 🙂
😄cercherò di fare il possibile… ma non garantisco niente!😆
Il testo è intenso, poetico e visivamente potente, ma rischia di essere sovraccarico. L’uso estremo delle metafore e delle personificazioni rende la lettura affascinante ma anche faticosa, diluendo l’impatto emotivo. Alcune immagini sono straordinarie e rivelano una forte sensibilità letteraria, ma altre risultano ridondanti o oscure. Ridurre le figure retoriche e dare maggiore coerenza al flusso dei pensieri migliorerebbe l’efficacia del testo. Comunque complimenti: è scritto molto bene.
Ciao Rocco! Grazie mille della lettura🙏🏻 Questo era il mio ennesimo esperimento – volevo testare i miei livelli di barocchismo, con zero azione e zero esseri umani (sono gli oggetti a parlare, ecco perché il flusso di pensieri è così sfilacciato)😆. Il testo è molto denso, ma di una staticità sfidante (sicuramente tornerò a una narrativa più classica già dai prossimi racconti, ne sento l’esigenza), quindi non posso che comprendere e condividere appieno il tuo ottimo commento🤗
Un linguaggio ermetico, una poesia che diventa prosa o viceversa e incanta nella musicalità del suo ritmo. Uno sguardo capace di rendere speciali e straordinarie le cose più semplici o apparentemente insignificanti. Un modo insolito di ascoltare, dire e catturare l’attenzione del lettore che si perde tra le righe chiaroscure.
Ciao Maria Luisa! Grazie mille per la lettura e per questo commento che, già di suo, è poesia🙏🏻🤗
Questa mattina prima di entrare al lavoro ero lì a bermi il mio cappuccino sintetico con l’intenzione di leggermi ancora qualche pagina di Elegia Americana. Poi ho visto la notifica della tua pubblicazione e mi sono detto: cambio di programma. Non me ne voglia J.D. Vance, che credo non ci perderà comunque il sonno, ma ho fatto proprio bene. Questo racconto ha proprio la tua impronta, ogni passaggio ti spinge ad una riflessione e a me fa l’effetto di non essere mai quello che sembra. Grazie, buona giornata Nicholas!
Ciao Roberto! Che bello risentirti! Qui partono dei calibri grossi: ho paura solo a sentirlo nominare Vance🤗 Ti ringrazio tantissimo per la lettura e per il bellissimo commento🙏🏻
Sono una lettrice molto esigente. Se il testo non mi colpisce dalle prime parole, lo abbandono. So che non è giusto, però è così🙈
Devo dirti la verità: mi sono tuffata nelle tue parole come in un oceano. Questo racconto è bellissimo, dalla prima all’ultima riga. Complimenti!
Ciao Karina! Grazie mille per la lettura e per il bellissimo commento🙏🏻 Prediligere un certo tipo di letture, senza arrivare a compromessi con se stessi, è una gran cosa. Credo che non ci sia nulla di male nell’abbandonarsi al proprio sentire, soprattutto nella narrativa🤗 Buona lettura!