Gheddafi ’84

1984

Timothy si era convinto che il deserto di Libia era diverso da quello del New Mexico. L’infanzia trascorsa fra i canyon dello stato al confine con il paese hispanohablante, a volte escursioni con la famiglia, altre volte con la scuola o i boys scout, aveva imparato ad amare quel deserto.

Anche l’America.

Soprattutto l’America.

Così, si trovava nel Fezzan, poche miglia lontano da lui un’oasi, con i colleghi aveva sconfinato dall’Egitto dove la CIA era di casa. Era bastato un breve viaggio perché, da che era il benvenuto, rischiava la condanna a morte.

Fingendosi un beduino, lui e gli altri si erano spinti più a sud, tra le montagne e le dune, e monitorizzava le attività militari delle forze armate di Gheddafi. Ogni tanto, prendevano a calci i sassi scoprendo lucertole e serpenti velenosi, ma c’era sempre qualcosa di più velenoso.

Quel giorno, si era scoperto grazie a delle intercettazioni che Gheddafi stava venendo in visita all’avamposto di frontiera dell’oasi. La breve guerra tra Libia ed Egitto era cosa dello scorso decennio, difficile che il Colonnello volesse ripetere l’esperienza, per ora si interessava al Ciad filofrancese. Quindi, si poteva ipotizzare che fosse una semplice ispezione per ristabilire il suo potere da monarca assoluto per il timore che il maggiore del luogo – un tale che aveva il grado superiore a quello di Gheddafi quando questi cacciò la vera monarchia – potesse approfittare della lontananza da Tripoli per agire con assoluta indipendenza.

Timothy avvistò uno sciame di elicotteri, distinse quelli d’assalto da quelli da trasporto, e ce n’era pure uno più piccolo, che aveva tutto l’aspetto di essere quello con a bordo il dittatore. Lo comunicò al resto dell’unità e ci fu fermento, qualcuno accennò:

«Se avessimo uno Stinger per quest’azione».

Lo avevano, non uno, ma molti. Però servivano all’autodifesa. Si limitarono a tenere d’occhio gli spostamenti dell’uomo forte del paese nordafricano.

Quando lo sciame di mezzi ad ala rotante atterrò, Timothy e i colleghi continuarono a osservare, fu allora che Timothy si accorse di qualcosa di strano.

Un corteo di pick-up in arrivo da sud.

Timothy vide molto bene che, a bordo, c’erano uomini vestiti come loro, la differenza che avevano degli automezzi al posto dei cammelli. Questa scena non gli piacque.

«Devono essere i francesi» esclamò un agente.

«Sapevano dell’arrivo del Colonnello?».

«Noi mica gliel’abbiamo comunicato».

Era evidente che i francesi stavano compiendo questa incursione per eliminare Gheddafi. Ci avevano provato quattro anni prima, abbattendo un aereo di linea italiano, ora ci riprovavano.

«Sappiamo cosa dobbiamo fare».

Molto semplice. Gli agenti recuperarono dalle casse gli AKM e, fingendosi guerriglieri beduini – addirittura simpatizzanti di Gheddafi –, corsero incontro ai francesi, che fossero mercenari, miliziani ciadiani o genuini militari di Parigi, magari membri della Legione straniera.

Cosa ci tocca fare, pensò Timothy mentre correva al cammello e dopo sul cammello. Combattere degli alleati perché se Gheddafi morisse, sarebbe il caos, pensò ancora.

Intervento sovietico. Destabilizzazione della regione già in fiamme. Montare della tensione fra la Casa Bianca e il Cremlino con gli italiani che si sarebbero astenuti dall’intervenire. Sangue versato, troppo sangue.

Per salvare la vita a quella canaglia di Gheddafi.

Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

    1. Grazie mille! Oh, no, non è una serie, è autoconclusivo. E poi mi sta passando la voglia di scrivere (quel che pubblico è tutta robaccia che ho scritto mesi fa, presto la esaurirò).