I giorni di Saturno

Serie: Lettere dal passato


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Adylia non riesce a mettersi in contatto con il fratello ed assieme a Nandù, viene portata via dalle forze armate per prendere parte all': "Operazione Saturno".

Cercai di spostarmi verso di lei nonostante la cintura di sicurezza e riuscii ad appoggiare le mie mani ammanettate sulle sue, stringendo poi le sue dita tra le mie: le manette continuavano a stringermi i polsi, ma non mi importava.

La paura negli occhi di Nandù mi gelò il sangue ed avrei voluto tanto prendere quell’emozione ed assorbirmela tutta io, invece mi uscì solo un sussurro disperato.

– Lui non c’è.

Lei singhiozzò mentre davanti, i tre militari si divertivano a prenderci per i fondelli.

Strinsi ancora le mani della mia sorella mancata, della mia migliore amica.

– Promettimi che ce la caveremo insieme.

Lei pianse ancora ed annuì poi con un gesto energico della testa.

Quei cani in uniforme ci intimarono di fare silenzio, allora io mi misi ad urlare e lo fece anche Nandù, dicendo che stavano facendo uno sbaglio, che quello era sequestro di persona, che dovevano lasciare noi e gli altri liberi, che la loro guerra non era la nostra.

Poi uno di loro disse una frase e mentre si attivò di nuovo l’ago delle manette per farci una seconda iniezione di calmanti, egli esclamò:

– Possiamo fare di voi quello che vogliamo. Da stanotte è attiva l’Operazione Saturno.

Mercoledì, prime luci dell’alba.

Ricordo di aver pensato spesso tra il martedì ed il mercoledì di volermi togliere la vita.

È illegale, a quanto pare.

Cioè, in questo paese lo è sempre stato, ma ora, a meno che tu non rientri tra la fascia di giovane carne da macello da sacrificare per una cosiddetta nobile guerra della quale non frega un cazzo a nessuno tra noi persone comuni, è severamente vietato uccidersi, tant’è vero che oltre ai cartelli di pericolo di alto voltaggio in certe zone, ce ne sono anche altri con la dicitura “vietato il suicidio”. Sembra una barzelletta e vorrei tanto che lo fosse, ma invece è tutto vero. Inoltre, ogni recluta del campo di addestramento è seguita da un minuscolo insetto robotico grande poco meno di un pollice simile ad un’ape che si dice monitori costantemente i nostri parametri vitali e cosa ancora più inquietante, anche i nostri pensieri.

La cosa ancora più allarmante è che non te li puoi mai levare di torno perché se succede che riesci a catturare il tuo insetto in un pugno, lo getti a terra e lo distruggi finché di esso non rimane altro che un mucchio di piccole parti meccaniche polverizzate, poi finisci ad avere sedute extra di elettroshock e di isolamento e quello si che fa paura.

L’isolamento fa paura perché si viene trascinati in una stanza larga al massimo cinque metri e non si ha alcun modo di sapere quando si uscirà da lì dentro. Quel luogo tanto angusto quanto disgustoso, funziona pressapoco in questo modo: vengono consegnate delle capsule contenenti i valori nutrizionali, proteine e cazzate simili di giorno in giorno e si fanno i bisogni in un buco nel terreno grande quanto un pugno.

L’elettroshock fa paura perché toglie l’unica cosa che ognuno di noi, di noi diecimila nuove reclute abbiamo qui, ossia i ricordi.

Una volta mi era stato detto che si possono togliere i ricordi dalla mente umana con un processo più lungo ma decisamente meno indolore dell’elettroshock, ma a quanto pare, chi fa le regole è un sadico bastardo.

Io so solo che non posso più farcela a vivere in queste condizioni ed oltretutto, quell’insetto robotico non la smette di ronzarmi intorno: ricordo quando cinque anni fa, dicevano nei canali di comunicazione che non avrebbero mai utilizzato quei piccoli cosi bastardi contro la popolazione, che l’utilizzo sarebbe stato solo in campo medico ed ora invece, eccoci qui in diecimila ad essere perseguitati tutti allo stesso modo da questi piccoli insetti maledetti.

Dicevano lo stesso anche per i droni, invece non fanno altro che perseguitare i comuni cittadini scannerizzando ogni loro singola informazione personale appena un vecchio, una bambina o un uomo fanno una cosa fuori dai loro schemi.

In fondo, siamo solo carne da macello, non capisco davvero tutta questa preoccupazione per gente come noi che perderà la vita sotto ai primi missili lanciati dal nemico, sempre se non deciderà invece di utilizzare le armi atomiche per disintegrarci tutti, come era già stato largamente preveduto pressoché da tutti.

Venerdì, circa le undici di sera, credo.

Le sessioni di odio sono le più difficili da affrontare.

Preferisco di gran lunga subire un altro elettroshock piuttosto che essere costretta ad odiare le persone che ho intorno.

Nandù è arrivata al limite, glielo leggo negli occhi.

Condivide la stanza con altre cinque persone e quando non ci sono addestramenti, sessioni di odio o frittura del cervello tramite impulsi elettromagnetici, lei a malapena mangia: le nostre stanze sono divise le une dalle altre da delle sbarre e fortunatamente, la mia è di fronte alla sua, quindi posso vederla.

Ogni tanto la chiamo, le dico: “Siamo la resistenza, Nandù” oppure “Scapperemo insieme” o ancora “Prima o poi finirà tutto questo”, ma lei non mi guarda nemmeno negli occhi ed in fondo, io non credo alle mie parole.

So che il momento di non ritorno è vicino, ne parlano tutti coloro che ancora si possono aggrappare ai ricordi.

La metà di noi ha il cervello fritto dagli elettroshock ed è frequente vedere o sentire di gente che urla senza motivo, di ragazzi che piangono, di altre persone terrorizzate e soprattutto, di gente che tenta il suicidio ma che non può farlo perché gli insetti spia che li seguono, captano il loro volere e sparano loro micro dosi di morfina sul collo.

So che sto scrivendo delle cose senza un ordine preciso, ma scrivere mi rilassa, mi fa credere che un giorno, chissà se tra un mese o tra cent’anni, qualcuno potrà leggere queste parole e non sentirsi solo in quel che ne rimarrà del pianeta Terra dopo averlo distrutto con armi atomiche.

Serie: Lettere dal passato


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