
Il bolero di mezzanotte
C’era una casa rossa ai margini della foresta. Un edificio coloniale con un ingresso ad arco, su cui i rampicanti fiorivano più volte durante l’anno. L’ingresso si apriva su un patio interno, ombreggiato da alberi da frutto così floridi che i frutti cadevano e finivano a marcire sulla pietra.
Il patio era circondato da un porticato profondo, su cui si affacciavano le stanze degli ospiti, sempre fresche di fiori e lenzuola pulite.
La casa era piena a ogni ora del giorno e della notte, senza distinzione d’età: giovani alle prime esperienze amorose, padri di famiglia e vecchi consumati, ma ancora capaci di amare. Facce note e volti nuovi e di passaggio, perché la fama della Casa Rossa correva lungo le mulattiere che univano faticosamente le città ai piedi della Sierra.
Le puttane amavano riposare tra un servizio e l’altro, ciascuna sulla propria seggiola sotto al portico, con la testa abbandonata sul braccio.
Una musica di bolero usciva dalla radio a transistor, appoggiata sul tavolino di Doña Graciela.
Nestor arrivò un pomeriggio assolato, stringendo una bisaccia che conteneva tutto ciò che possedeva. Nulla, in realtà, se non pochi spiccioli e un paio di occhiali da lettura.
Era così piacevole d’aspetto che le ragazze si ridestarono dal torpore pomeridiano per osservarlo.
Marta si sistemò i lunghi capelli rossi in una treccia e abbassò il vestito quel tanto che bastava per scoprire i piccoli seni invitanti.
Lui le passò accanto e non ci fece caso. Si diresse invece verso la donna che sedeva sotto la palma e si faceva aria con un ventaglio.
«Vieni, avvicinati» gli disse Doña Graciela, rivelando i denti ancora intatti, di cui andava molto fiera.
«Abbiamo quindici ragazze. Alcune sono occupate, ma se ti guardi intorno, puoi sceglierne una tra quelle che vedi.»
«Non voglio una delle ragazze» rispose Nestor abbassando lo sguardo. «Voglio un lavoro.»
Doña Graciela scoppiò in una risata fastidiosa, quasi forzata, e sputò vicino ai suoi piedi.
«Non ci servono lavoratori. Abbiamo già i nostri. E ci bastano.» Poi si alzò con aria di sfida. «E adesso, fuori dai piedi, perditempo.»
Nestor non si scoraggiò. Si tolse il cappello e lo strinse fra le mani. «Non intendevo come bracciante. Io faccio quello che fanno le altre.»
Doña Graciela smise di ridere. Lo guardò attentamente, dalla testa ai piedi, a lungo.
«Abbassati i pantaloni.»
Le ragazze si sistemarono sulle sedie per vedere meglio. Allungarono il collo come oche che si contendono il cibo.
Nestor lo fece e Doña Graciela ebbe voglia di toccarlo, allora strinse le mani dietro la schiena.
«Donne rispettabili che frequentano la casa non ne abbiamo» gli disse avvicinandosi alla bocca.
«Non sono le donne rispettabili a cercarmi, ma i loro mariti.»
Gli diede la stanza migliore, quella che riceveva la frescura degli alberi da frutto anche alle due del pomeriggio.
Fece tinteggiare di bianco le pareti e vi fece sistemare una nuova radio, perché ci fosse musica tutto il giorno. E anche la notte.
La casa si animò di clienti e si riempì delle risate delle puttane che invitavano Nestor a ballare le musiche romantiche per potersi stringere a lui, per sentirlo con la pancia quel membro conteso che Nestor mostrava nelle docce comuni.
«Posso toccarlo?» gli aveva chiesto Luz, una sera.
Lui aveva risposto che sì, si poteva, ma solo una volta.
Luz lo fece e le urla di Doña Graciela si udirono fuori dalle mura della Casa Rossa.
La fama di Nestor corse con il vento caldo lungo le mulattiere, e in molti arrivarono per lui.
Si diceva che bastasse guardarlo negli occhi per dimenticare il proprio nome. Che alcuni uomini, dopo aver passato la notte con lui, tornassero dalle mogli senza riconoscere la propria casa. Che camminassero per ore, smarriti, senza sapere dove andare.
Dopo l’amore, Nestor si passava le mani sulla pelle come per cancellare le impronte e non guardava mai chi restava nel letto.
Ma tutti tornavano anche se Nestor non amava veramente. Lui non ne era capace perché nessuno glielo aveva mai insegnato.
Luz lo sapeva, ma lo aveva cercato ancora, alle docce, mentre si lavava in silenzio. Aveva atteso uno sguardo, una frase. Nestor, invece, le aveva sorriso appena, poi si era voltato.
Quel sorriso, lei non l’aveva mai dimenticato. E nemmeno il vuoto che si era portata dietro.
***
Una sera, mentre Doña Graciela era chiusa in camera con un forestiero dal cappello largo e l’alito di sigaro, Luz portò la sedia dietro la cucina e si sedette a fumare, con il vestito arrotolato sulle cosce.
Fu lei a vederla.
Una donna col mantello scuro, che scavalcava il muro dell’orto e passava tra i mamey e le zucche.
La vide, e capì.
Avrebbe potuto gridare. Entrare. Chiamare Doña Graciela. Ma non lo fece.
Restò ferma, con la sigaretta stretta tra le dita.
Dalla stanza di Nestor si alzò un bolero. Piano all’inizio, poi sempre più forte.
Una mano girava la manopola con calma, e la musica riempì il patio, la cucina, i corridoi.
Nessuno oltre a Luz ci fece caso.
La padrona era ancora con il forestiero e le altre ragazze dormivano o gemevano in qualche stanza.
Solo Luz vegliava.
Sentì la musica crescere ancora.
Poi, il colpo.
Un solo sparo. Secco. Come un pugno nel petto.
Non fu il rumore, ma ciò che portava con sé. Le mancò il fiato, ma non urlò.
Quando il cliente se ne andò, lasciando dietro di sé l’odore del sigaro, Doña Graciela si sistemò le calze e uscì sul patio.
Fu la musica a insospettirla. Non il silenzio, ma quella musica troppo alta, che usciva dalla stanza di Nestor.
Andò alla porta. Bussò. Nessuna risposta. Bussò ancora. Poi aprì.
Nestor era sul letto. Nudo. Bellissimo.
Un filo di sangue gli colava dall’orecchio sinistro.
La pistola era lì, accanto. Intatta.
Da quel giorno, la stanza rimase chiusa.
Ma a volte, quando la radio gracchia un bolero antico e il vento arriva dall’orto, qualcuno giura di sentire una voce:
«Posso toccarlo?»
E un sussurro che risponde, come un respiro sotto le lenzuola: «solo una volta.»
Avete messo Mi Piace11 apprezzamentiPubblicato in Erotico
Cara Cristiana, anche questa volta leggerti è stato un viaggio in un mondo pieno di musica e colori. ❤️🔥
C’è una cosa che ammiro e ho sempre ammirato della tua penna: saper trattare certi argomenti in maniera elegante e sobria, senza mai scivolare nella scurrilità, quasi mai usando termini “volgari” e anche quelle volte che li utilizzi sono proprio lì dove dovrebbero essere, solo per descrivere, mai per essere altro.
Scrivi di Nestor incapace di amare, eppure leggendo di lui ne ho percepito tantissimo: non ho pensato al suo lavoro come una concessione del corpo, ma come una concessione di cure e premure con chi condivide il suo letto. Si dice che si torna dove si è stati bene e Nestor, evidentemente, di bene ne ha fatto.
Scrivi di prostitute, la cui figura è spesso associata a qualcosa di negativo, eppure in loro vedo la gioia di vivere e la libertà.
Non so come tu riesca a fare tutto questo, ma di una cosa sono certa: leggerti è sempre meraviglioso. ❤️🔥
Mi piace vedere le persone dietro al ruolo che ricoprono, al lavoro che svolgono, alla facciata che ci viene mostrata. Mi piace immaginare che la gioia e la felicità siano trasversali o anche vadano oltre al dolore che spesso la vita ci riserva. Mi piace anche descrivere personaggi ‘sereni’ non perchè accettano ciò che capita loro, quanto piuttosto perchè lo comprendono e sanno tratte il meglio dalla loro condizione.
Chiaramente, tu mi conosci, non sono una sprovveduta che vede tutto rosa come nel mondo di Barbie. Però è certo, che il mondo è colorato e a me piace tanto coglierne le sfumature.
Grazie e un abbraccio grande 🙂
Meraviglioso. Quando ti leggo viaggio, sento il sole sulla pelle, gli odori, la musica. Un racconto pieno di immagini e sensazioni, struggente, magico e malinconico.
Complimenti!
Grazie Melania, soprattutto per aver condiviso con me le tue emozioni. È bello che questo succeda e lo è ancora di più quando a emozionare sono le parole.
Ciao Cristiana, in questo racconto sicuramente esce fuori l’estro della tua penna, la tua “voce” come si dice. Ed è la solita bellissima voce. Ho apprezzato molto la descrizione iniziale, ma soprattutto la parte finale dal punto di vista di Luz: c’è tantissimo non detto, ma lasci i giusti indizi per cui il lettore può trarre le sue conclusioni, così come Luz trae le sue conclusioni sulla donna, ma ancora noi lettori possiamo trarre le nostre conclusioni sui sentimenti che animano la stessa Luz.
Ciao Marco e grazie per aver notato il ruolo chiave di Luz alla fine del racconto. Mi sono chiesta se davvero avesse visto quella donna incappucciata…Un abbraccio
E’ davvero un bel pezzo, Cristiana. Benché non sia il primo bel brano tra i tuoi che ho letto, sono stato colpito da una freschezza che in altri non avevo colto; per quanto riguarda le mie corde, mi è parso un quadro davvero ben riuscito, dove la personalità prevale su soggetti e schemi. Al di là della qualità dell’ambientazione che credo faccia ricorso a luoghi che ti stanno a cuore, ti avventuri in tema difficile, di quelli da maneggiare con cura e lo rendi inusitato con un protagonista originale. Grazie molte per la bella lettura, trangugiata d’un fiato dapprima, ma sorbita con calma poi, per meglio assaporarla.
Ciao Paolo. In effetti, nella serie che sto pubblicando qui su Open, sto sperimentando uno stile che naturalmente non mi appartiene e che è uno stile fatto di ordine, rigore, tecnica e studio. Un po’ come mettermi alla prova nel tentativo di strutturare un lavoro amplio e completo.
In realtà, ciò che amo scrivere sono i racconti auto conclusivi. Quelli che non li devi pensare perché arrivano come una botta e hanno fretta di essere messi in parole. Ce ne sono alcuni sparsi qua e là sulla piattaforma. Molti, invece, sono stati tolti perché vedranno la luce a breve su carta. Grazie di cuore.
Senza nulla togliere al resto – sei un’ottima Autrice, sempre – nelle storie che ti vengono di getto io ti adoro, perchè dai il meglio di te. Non saprei spiegare come, ma dalle prime righe mi arriva una certa immediatezza, l’urgenza del raccontare, e mi dico: questo non lo aveva programmato. Scorrendo i commenti ho scoperto che non mi sbagliavo.
È bellissimo. I colli allungati delle donne, la veste arrotolata sulle cosce, i balli stretti per sentire meglio…il fisico in qiesto racconto la fa da padrone. Ma è un fisico che riflette il sentire dell’animo, l’anelare dell’amore quando si spinge oltre e diventa quasi disperazione. Ho sentito dire che il bolero è la musica perfetta per il sesso. Qui porta alla morte, l’altro volto dell’amore, quello sconfitto e tradito. Mi è sembrato il miglior modo per chiudere un cerchio e mi è piaciuto tantissimo. Come ho apprezzato tantissimo quel “posso toccare?” (in un’epoca fatta di immagini, dove tutti vogliono solo guardare, mi ha colpita ancora di più).
Nestor porta con sé quel tipo di solitudine difficilissima da afferrare, ma tu l’hai descritta benissimo.
In tanti come falene ci si allungano, attirati da una lice che vale la pena, ma nello sfamarsi succhiano, e chi la da è destinato al buio.
Che bel lunedì, che bel dono ci hai fatto ❤️
Grazie Irene, che sa scavare e che sempre mi indovina. In questo racconto c’è stata proprio l’urgenza della narrazione. Tu lo sai bene, quando arrivano e devi trovare il tempo e il luogo per farli uscire. E chissenefrega di tutto il resto. Era da un po’ che non mi capitava e cominciavo ad avere una certa paura 🙂
E invece, tutto fila liscio, ossia storto. Quello storto in cui si sta bene.
La riflessione sociologica che fai è azzeccata. Tutti vogliono guardare, i nostri personaggi, invece vogliono toccare, non esattamente in senso figurato. E allora, diamo il via alla caccia alle streghe! Quelle che pensano che il bolero sia perfetto per il sesso e magari, guarda un po’, hanno proprio ragione. Grazie anche perché quando ti rispondo, mi si scioglie volentieri la lingua 🙂
Complimenti, Cristiana! Mi è piaciuta molto la storia di Nestor ❤️ e tu l’hai raccontata quasi come una favola: è stato davvero bello leggerla. Bravissima.
Grazie Arianna. Una storia che viene dai tanti libri letti che di quelle storie parlano. Magari sotto forme diverse, ma con la stessa magia. La favola aiuta chi scrive a sdrammatizzare fatti drammatici e rende piacevole la lettura. Un abbraccio.
Lasciando da parte l’ammirazione per cosa e come hai scritto ho una grande curiosità: è solo tua fantasia o l’elaborazione di un racconto sentito nei tuoi viaggi? O un ricamo su un trafiletto di cronaca che hai saputo trasformare come solo la tua preziosa sensibilità sa fare? Comunque sia, complimenti Cristiana. 🌹🌹🌹
Che bello poter rispondere a una domanda come questa. Sinceramente, non vedevo l’ora 🙂
La cosa è semplicemente andata così: seduta al pc, leggendo un buon racconto dalla piattaforma (che nulla centrava con questo), ho semplicemente avuto come una sorta di pensiero, un ricordo che in realtà ricordo non è. Sai che qualche giorno fa proprio qui se ne dibatteva. Alcuni a favore della spontaneità, altri dello studio e della tecnica. Ecco, questo è 100/100 la prima, ossia pura fantasia. Come un’urgenza e, sinceramente, è la parte di me di cui vado più fiera. Grazie Giuseppe e un abbraccio.
Bene, bene, bene. Amo la scrittura di getto, l’intuizione messa nero su bianco senza tanti voli pindarici. Ti riesce bene e ci da immenso piacere. Un abbraccio e una rosa 🌹
💛
Non è un tipo di genere facile da maneggiare, se non si ha esperienza si rischia o di risultare infantili o troppo crudi. La scelta delle parole in questi casi è fondamentale. Secondo me, hai saputo giocare bene con il linguaggio e descrivere le scene senza appesantirle. Anche se non ho familiarità con il genere, non ho avuto un impatto negativo anche perché l’omicidio ha aggiunto un tocco di noir che ha riempito il finale rendendolo, per i miei gusti, pienamente soddisfacente. Mi hai riportato alla mente le sceneggiature di Quentin Tarantino: lì c’è una commistione di generi, ma, come te, lui sa come gestire l’attenzione dello spettatore senza sovraccaricare la storia. L’ho letto con piacere e mi complimento per la tua capacità di scrittura, io non sarei in grado.
Grazie, davvero. Come dicevo nella risposta a un altro commento, grazie soprattutto per l’approccio a un genere che propriamente non è il tuo. In un certo senso denota fiducia nei confronti dell’autore e io, questo ho sentito.
In questo specifico racconto, ho provato a sperimentare quelle che sono le tecniche del realismo magico. Raccontare ciò che è eclatante, speciale, che va oltre la realtà, come fosse normale, senza l’aggiunta di alcuno stupore. Per questo, le parole devono essere misurate e l’atmosfera avvolgente e pacata.
Ciao! Un bel racconto, davvero. Anche se non è il genere che preferisco, la lettura è stata sorprendentemente piacevole.
Non so se sia stata solo una mia impressione o una scelta voluta, ma in ogni gesto e parola di Nestor ho percepito una profonda inquietudine, come se il suo passato continuasse a pesargli .
Ciao mariano e grazie. Grazie soprattutto per esserti approcciato con fiducia a un genere che non è propriamente il tuo. Io, in realtà, lo faccio spesso per via della mia curiosità. Quasi fossi una lettrice onnivora. In ogni caso, per risponderti, Nestor, come quasi tutti i miei personaggi e come la loro creatrice, è profondamente inquieto, come giustamente hai colto. Credo che l’inquietudine d’animo sia una sorta di ‘motore’ che spinge forte. Non importa in quale direzione o da dove.
Stupendo! Complimenti, Cristiana: questa è tra le storie più belle che abbia letto nella nostra community. Hai centrato perfettamente ciò che cerco di fare da tempo: utilizzare una “scrittura trasparente” che fa entrare il lettore nella storia come uno spettatore discreto, senza ostacoli tra lui e il mondo che si crea. Ogni dettaglio è curato, ogni immagine vivida, eppure lasci spazio al non detto. La Casa Rossa vive: odora di frutta matura e lenzuola pulite, risuona di boleri lontani, accoglie e consuma chi la attraversa.
Nestor è il “personaggio”. Magnetico, sfuggente, dolorosamente umano nella sua incapacità di amare.
E poi il finale. Il colpo secco. La musica che non si ferma. La domanda «Posso toccarlo?» che diventa un’eco, un fantasma tra le mura.
Davvero, complimenti.👏👏👏
Credo che la natura e le cose, all’interno di una storia, meritino di respirare di quel respiro che è solamente loro. Credo anche che i nostri personaggi debbano avere vita oltre a noi. Forse lo scrittore è un tramite, forse altro non è che un cantastorie. Forse ancora, altro non fa che guardare, odorare, ascoltare, toccare e poi rielaborare dentro, per far uscire fuori. Non è nostro diritto giudicare o frapporci fra una storia e il lettore. Dobbiamo solamente ‘lasciare andare’ e aspettare eventuali reazioni.
Io prometto che continuerò a studiare, ad aggiornarmi sulle nuove tecniche e poi cercherò di applicarle. Però, quello che mi piace fare di più è vivere la vita e poi leggere tantissimo. Il resto viene da sé. Un abbraccio e grazie.
Condivido tutto quello che hai scritto ❤️
Questo racconto é un concentrato di immagini forti e chiare, di sensazioni e suggestioni che culminano in un colpo di scena inaspettato. Un incipit quasi pittoresco, un’ atmosfera tranquilla, con le ragazze che riposano dopo ogni incontro, le stanze impregnate di eros e un finale che spiazza. Una conclusione della storia, breve ma intensa, che contiene una sua logica perfetta.
Ho l’impressione che questo racconto potrebbe essere un ottimo esempio da manuale, con tutti i requisiti necessari da cui trarre spunto per scrivere testi brevi e concisi.
Cara Cristiana, meriteresti un inchino.
Grazie a te Maria Luisa. Questa storia non è stata pensata, è arrivata da sola, proprio come non mi succedeva da tempo. Proprio l’altro giorno parlavamo qui sulla piattaforma della giusta dose di spontaneità e studio, tecnica, che si devono bilanciare per poter scrivere al meglio. Io ci ho pensato, in questi giorni, e ieri pomeriggio, così per caso, ho capito che la prima mi è molto più congeniale. Un abbraccio.
Una storia di grande malinconia, tra profumi di sudore e note ipnotiche.. un volteggio rispettoso tra peccato e illusioni.. scritto con il cuore, come sempre fai..
Grazie Furio perché in poche, ma bellissime parole, sei riuscito a cogliere quella emozione che ho provato io stessa quando questa storia ha bussato alla porta. Sono così strana che, a volte, là dentro vorrei esserci io. Un abbraccio.
Bella storia. Complimenti.
Grazie Rocco 🙂
Un racconto torbido, triste, che riesce a catturare l’essenza di vite ai margini, con le loro speranze e le loro inevitabili disillusioni. Pochi aggettivi e parole misurate benissimo per lasciar emergere lo squallore senza far sentire mai disgusto. In questo modo resta lo spazio per la compassione verso questi personaggi e per le loro vite.
Sono convinta che un racconto, per arrivare davvero al lettore, debba rispecchiare due anime: quella di chi lo scrive e la propria. Quando va sulla carta, il racconto non è più solamente cosa nostra, ma diventa di tutti. Il punto di partenza, però, resta sempre e comunque l’anima di chi lo ha scritto.
Riguardo ai nostri personaggi, l’errore più comune e peggiore che possiamo commettere è quello di giudicarli. La compassione, invece, è un sentimento, un’emozione che loro meritano. Grazie Guglielmo.